mercoledì 26 novembre 2008

DI MILAN KUNDERA E...



Maupasant, Verga, Kundera e la realtà
Scritto da Gianni Pardo
mercoledì 26 novembre 2008

Maupassant, Verga e Kundera sono tre grandi autori pessimisti.
Maupassant sembra pensare che la realtà sia fondamentalmente negativa. E sia tanto naturalmente, tanto innocentemente negativa, che la prevalenza dei personaggi “cattivi” sui personaggi “buoni” deriva da un loro migliore adattamento alla realtà com’è. In un mondo senza Dio, i grandi principi sono pure facciate dietro cui si nascondono i veri intenti degli uomini immorali, quasi sempre vincitori. Coloro che hanno un sincero atteggiamento morale sono viceversa gli ingenui, coloro che non hanno capito come stanno le cose: e dunque i perdenti.
In Maupassant non c’è crudeltà. Non c’è nemmeno cinismo: c’è disincanto. S’incontrano tante persone miserabili e interessate, vili e avide, prevaricatrici e bugiarde, che alla fine le persone stimabili divengono eccezioni insignificanti, quantités négligeables. Non è un piacere osservare come va il mondo, ma volendolo rappresentare onestamente, non si può che mostrarlo com’è. La società come egli la descrive somiglia ai documentari sui leoni: un mondo in cui il più forte deruba gli altri predatori o divora vivo il più debole e alla fine – lungi dall’avere scrupoli – dorme beato all’ombra, interrompendosi solo per stirarsi e sbadigliare.
Ovviamente, anche per il Francese sono necessari dei punti d’osservazione, e cioè dei personaggi che possono essere positivi (Boule de Suif) o negativi (Bel Ami). Ma ciò non cambia l’essenza del racconto, cioè l’affresco sconsolato della società com’è. Se la protagonista, la prostituta Boule de Suif, è positiva, ecco che incontra borghesi negativi; mentre l’arrampicatore sociale senza scrupoli, Bel Ami, protagonista negativo, incontra e sfrutta anche persone per bene. Poco importa: in ambedue i casi prevalgono i cattivi e il mondo rappresentato – il vero protagonista - è lo stesso.
Verga è anch’egli un grande pessimista, ma il suo è un mondo meno naturalistico di quello di Maupassant. Mentre nel Francese la prevalenza di certi personaggi si spiega con la loro mancanza di scrupoli, e si potrebbe dire in forza della loro maggiore intelligenza, in Verga si ha quasi l’intervento di una divinità malevola. I suoi protagonisti non sono né più ingenui né più deboli degli altri: è il Fato, che li vince. La barca dei Malavoglia è carica di sfortuna e non per caso, ma per un’ironia feroce, si chiama “La Provvidenza”. È la tempesta, deus ex machina cieco e impersonale, che rovina i Malavoglia. Così come è la sfortuna che perseguita Gesualdo, fino a derubarlo costantemente del sapore della vittoria ampiamente meritata. Gesualdo è nato per vincere, è talmente abile, talmente positivo, che da Mastro diviene Don; e se non trionfa è perché l’autore lo perseguita. Mentre da un lato sorvola sui suoi successi, narra e sottolinea per esteso le sue sconfitte: in queste condizioni anche la storia di Giulio Cesare diverrebbe quella d’un vinto. Persino quando è costretto a dar conto delle sconfitte dei suoi nemici, Verga lo fa distrattamente, come non contassero. La sorella di Gesualdo scende in guerra contro di lui ma alla fine non ne ricava nulla e l’autore scrive sobriamente che in quella battaglia lei s’era rovinata. S’era rovinata. Fosse capitato al protagonista, non ci sarebbe stato risparmiato nulla del suo dispiacere, delle sue umiliazioni, del suo fallimento.
Maupassant è obiettivo, Verga bara. E tuttavia lo fa con una tale arte, che alla fine col cuore gli crediamo. Per criticarlo bisogna essere usciti dai suoi libri da parecchio tempo, tanto da poterci riflettere a mente fredda.
Poi ci sono altre differenze, chiarissime: Maupassant è un superiore maestro di stile, Verga scrive male; e poco importa che ciò avvenga più o meno volontariamente. Maupassant è freddo, Verga è un grande artista. Maupassant fotografa, Verga dipinge.
Il caso di Kundera è ancora diverso. Il suo mondo non è popolato da personaggi in prevalenza negativi, come in Maupassant, e non esiste neppure un Fato che si accanisca contro il protagonista. È quest’ultimo che, per debolezza, si mette in guai sempre più grandi. Perché è un debole che non sa prendere in mano il proprio destino. Il romanzo dunque non implica un giudizio sulla società: si limita ad essere la storia di questo protagonista e il resto del mondo è visto da lui. Di fatto ruota intorno a lui.
In Kundera un protagonista positivo è impensabile. O almeno, i suoi protagonisti sono positivi nell’anima e nelle intenzioni, ma falliti nella vita reale. I suoi romanzi sono probabilmente più spiritualmente autobiografici di quelli di Verga. Il Catanese infatti il suo bravo successo sociale a Roma l’ha avuto, lo stesso Maupassant è noto, oltre che come romanziere, come sportivo e come grande amatore superdotato. Kundera invece sembra proiettare l’esperienza della frustrazione. Il suo mondo è disperato, il suo racconto descrive una parabola in senso balistico: un uomo vola verso la vita ma a poco a poco le cose si mettono in maniera tale che il volo declina verso il basso, fino alla catastrofe. Catastrofe costituita quanto meno dalla sua rassegnazione. Il protagonista della “Plaisanterie” (“Lo Scherzo”) avrebbe mille ragioni per cercare di vendicarsi del suo rivale ma quando ne ha l’opportunità sente che è troppo tardi. Non ne ha più voglia. Forse non ne ha più il diritto. E forse ha capito che comunque – a causa di quell’uomo o d’un altro uomo, poco importa – egli era condannato alla sconfitta.
Kundera sembra dire che i migliori sono più sensibili, più delicati, più indifesi degli altri, e per questo sono destinati alla sconfitta. “Il pensiero ci rende tutti vili”, diceva Amleto. La nobiltà d’animo ci predestina alla morte e all’umiliazione, pensava Vigny. Ma mentre Amleto alla fine prende in mano il proprio destino, mentre Vigny di questa sconfitta si fa un’aureola e di questo martirio agita la palma, Kundera sembra solo spiegare come mai egli non abbia saputo difendersi, nella vita. Come mai egli non abbia avuto ciò che meritava.
Questo tuttavia fa sì che la sua opera non abbia né il vasto respiro sociale e umano di Maupassant, né la poesia di Verga. Sembra essere l’autore d’elezione dei disadattati, di coloro che preferiscono pensare che il mondo, e non loro, sia sbagliato.
Kundera rischia d’essere l’autore ideale di coloro che hanno bisogno d’un alibi per la propria debolezza


Kundera, il delatore
Scritto da Gianni Pardo
mercoledì 26 novembre 2008

Pierluigi Battista, sul Corriere del 24.11.’08, riferisce della recente scoperta che Milan Kundera, il grande scrittore che tanto ha avuto da patire dal comunismo, nel 1951 è stato a sua volta un delatore politico a danno di tale Miroslav Dvoracek. Costui, per causa sua, ha scontato quattordici anni di galera.

La notizia ha fatto scandalo ed ha suscitato un dibattito, soprattutto sull’opportunità di far conoscere questa orrenda verità. Cosa stupefacente. In realtà, l’unica discussione comprensibile sarebbe stata quella sulla fondatezza della notizia. E dal momento che proprio questa discussione è mancata, perché la notizia è fondata al di là di ogni dubbio, è di ben altro che bisogna parlare. Fra l’altro l’interrogativo che pone Battista non mi sembra fondato. Egli scrive: «Cosa deve fare un ricercatore se, indagando negli archivi, si imbatte in un nome celeberrimo, in una gloria letteraria, in un grande intellettuale di cui viene unanimemente onorata l'integrità etica e il rigore culturale?»
Di questa di integrità etica è sempre stato lecito dubitare. Infatti Milan Kundera è un grande scrittore. È un grande intellettuale e un grande testimone dell’oppressione comunista. Ma non si può dire che sia un grand’uomo. Questa amara verità è rivelata innanzi tutto dalle sue opere. Utilizzerò ciò che ho scritto il 29 ottobre del 2002 non per libidine di autocitazione, ma per provare che tutto questo era chiaro anche anni fa. Prima della rivelazione di questi giorni.
«Il suo mondo – scrivevo nell’articolo su Maupassant, Verga e Kundera, qui per chi volesse leggerlo – non è popolato da personaggi in prevalenza negativi, come in Maupassant, e non esiste neppure un Fato che si accanisca contro il protagonista. È quest’ultimo che, per debolezza, si mette in guai sempre più grandi. Perché è un debole che non sa prendere in mano il proprio destino. Il romanzo dunque non implica un giudizio sulla società: si limita ad essere la storia di questo protagonista e il resto del mondo è visto da lui. Di fatto ruota intorno a lui. In Kundera un protagonista positivo è impensabile. O almeno, i suoi protagonisti sono positivi nell’anima e nelle intenzioni, ma falliti nella vita reale. I suoi romanzi sono probabilmente più spiritualmente autobiografici di quelli di Verga.
[…]
Kundera sembra proiettare l’esperienza della frustrazione. Il suo mondo è disperato, il suo racconto descrive una parabola in senso balistico: un uomo vola verso la vita ma a poco a poco le cose si mettono in maniera tale che il volo declina verso il basso, fino alla catastrofe. Catastrofe costituita quanto meno dalla sua rassegnazione.
[…]
Sembra essere l’autore d’elezione dei disadattati, di coloro che preferiscono pensare che il mondo, e non loro, sia sbagliato.
Kundera rischia d’essere l’autore ideale di coloro che hanno bisogno d’un alibi per la propria debolezza».
Debolezza e frustrazione, ecco il leitmotiv delle sue opere. Ecco la sua trasparente autobiografia. Non c’è dunque da stupirsi se è giunto all’abiezione di denunciare qualcuno a quella stessa polizia politica che sembra essere l’incarnazione del male in “La Plaisanterie”. C’è chi ha la forza di fare il male, c’è chi ha la debolezza di fare il male, e non è detto che questo secondo valga più del primo.
Probabilmente, una parte del successo di Kundera è dovuta al fatto che gli intellettuali, stanchi di glorificare la virtù (in senso latino), stanchi anche della violenza del Ventesimo Secolo, sono rimasti incantati da questi infiniti epigoni di Amleto. Siamo tutti troppo pensosi per essere energici, troppo capaci di visione dialettica del mondo per prendere risolutamente posizione, troppo sensibili, infine, per essere forti. Ma si dimentica che Amleto alla fine ha la forza di fare una strage. Si dimentica che la debolezza non giustifica nessuno, piuttosto ci squalifica. E non c’è tanto da condannare Kundera, che i suoi difetti ce li aveva proiettivamente descritti in centinaia di pagine quanto da capire che un vero uomo sa pensare, sa sentire, sa amare ma se necessario sa anche combattere. E se non sa farlo, non è un vero uomo. È uno che denuncia un altro uomo alla polizia politica e lo manda in galera per quattordici anni.

giannipardo@libero.it

lunedì 24 novembre 2008

ALTER EGO, DROGA E CERVELLO (click)

Le droghe. Definizione e classificazione


Definizione di droga

Con il termine droga si indica ogni sostanza capace di alterare, gli equilibri dei diversi, ma interconnessi, livelli su cui può rappresentarsi il nostro essere: il livello biologico, quello psicologico e quello sociale. Gli equilibri del primo livello sono quelli della fisiologia. Le droghe interferiscono con i processi biochimici finalizzati al mantenimento delle condizioni normali dell'organismo e soprattutto agiscono sui meccanismi delle funzioni cerebrali, interferendo sugli eventi biologici che sono alla base delle normali attività delle cellule nervose: la trasmissione e l'elaborazione di impulsi nervosi, cioè a dire di segnali ed informazioni.

Gli equilibri del livello psicologico costituiscono la rappresentazione mentale e comportamentale dei meccanismi cerebrali di cui abbiamo appena parlato. Perturbando le funzioni delle cellule nervose, le droghe compromettono o addirittura annullano gli equilibri psicologici e quindi la capacità di adattamento dell'individuo e le possibilità che esso ha di far fronte a situazioni di disagio intrapsichico, ambientale o interpersonale.

Le droghe condizionano le possibilità d'inserimento sociale dell'individuo, minando da un lato le sue capacità adattative e dall'altro determinando una reazione di emarginazione da parte del tessuto sociale. Gli equilibri del livello sociale sono legati alle condizioni dei due livelli precedenti, ma, a sua volta, il livello sociale influenza e vincola la dimensione psicologica e quella biologica.

Il significato dei comportamenti, delle abitudini, degli stili di vita che un individuo ricava dalla cultura e dall'insieme dei valori della società è infatti uno dei fattori che più condizionano l'esito del riaggiustamento psicologico e quindi biologico conseguente all'uso delle droghe. Il valore storico-culturale di normalità e di devianza, infine, è l'elemento che più contribuisce a determinare l'atteggiamento della società nei confronti di chi fa uso di droghe e quindi, conseguentemente, le possibilità che ha quest'ultimo di adattarsi con i minori danni possibili alla sua nuova condizione.

lunedì 10 novembre 2008

KRISTALLNACHT


Era un mattino freddo e nebbioso il 10 novembre 1938; il nostro maestro entrò di corsa in classe, senza fiato, lui, che era sempre calmo e tanto gentile, aveva il viso tutto rosso per l'agitazione e con le mani tremanti fece segno verso la porta gridando: «Bambini, per l’amor del cielo, presto, correte a casa vostra!».
Non ricordo come uscii dalla scuola; tutti spingevano e tiravano affollandosi sul portone d'uscita, poi via di corsa.
Rimasi ferma lì, in mezzo alla strada, ipnotizzata da quello che vidi: ragazzi della Hitlerjugend nelle loro divise assalivano con bastoni e sassi la nostra scuola, prima rompevano i vetri delle finestre e poi tutto quello che c'era da rompere nelle aule e negli uffici.
Piangevo per il terrore: la mia casa era lontana, non ero mai andata a casa da sola, non sapevo nemmeno come tornare. Poi, non riuscivo a capire cosa volessero quei ragazzi da noi e dalla nostra scuola.
Anche loro non erano altro che ragazzi … sì, più grandi di me, ma ragazzi come ero io: che cosa gli avevamo fatto?
Improvvisamente mi sentii afferrare per la mano. A passi veloci, a me sembrava di correre, entrammo in un negozio. Non conoscevo l'uomo che mi aveva trascinata con sé, ma il mio istinto mi disse che voleva aiutarmi, allontanandomi da quei ragazzi impazziti e dalla folla di curiosi.
Il negozio era una calzoleria e lo sconosciuto che mi aveva portato lì, un calzolaio tedesco; con l'aiuto della moglie cercò di tranquillizzarmi, ma io, scossa dal gran piangere, non riuscii a tirar fuori una sola parola. Fra i miei quaderni trovarono il mio indirizzo e dopo un'infinità di tempo l'uomo tornò insieme a mio padre: mi calmai solamente fra le sue braccia.
Ringraziando quelle brave persone, papà mi prese per mano e mi disse con voce solenne: «Ricordati bene di questo giorno, bambina mia: sembra incredibile fino a che punto un popolo civile come quello tedesco sia potuto arrivare! La mia gioventù l'ho passata a Lipsia; nella guerra mondiale 1914-1918 ho combattuto in prima linea per l'Austria e la Germania sul fronte italiano, sono stato ferito e ho quattro medaglie e adesso, dopo ventisette anni di vita qui a Lipsia, devo vedere questo spettacolo crudele... Dov'è la giustizia?».
Mio padre chiuse la mia manina fredda nella sua grande mano calda e rassicurante e così camminammo per lungo tempo per strade che sembravano bruciare per le fiamme che uscivano da case, negozi e grandi magazzini ebrei, mentre i pompieri cercavano di salvare con le loro pompe d'acqua le case e i negozi non ebrei!
Vandalismo dappertutto: spaccavano con i sassi le vetrine dei negozi; vidi perfino che dalle finestre o dalle vetrine buttavano di tutto, mobili, quadri e altro.
Distruzione, furti e disperazione; donne e bambini piangenti... perfino tanti uomini avevano lacrime d'umiliazione negli occhi, non capivano il perché.
Passammo sopra un ponte e vedemmo che sulle due sponde del canale alcune SS costringevano degli ebrei anziani con lunghe barbe a saltare da una riva all'altra. Il canale non era molto largo, ma per gli anziani era uno sforzo eccessivo: tanti cadevano nell'acqua gelata, svenivano; allora venivano rianimati dalle SS e costretti a continuare, ancora e ancora...
Passammo vicino alla grande sinagoga, dove mio padre aveva l'abitudine di andare a pregare, ma che terribile spettacolo ci aspettava lì!
Dalla sinagoga uscivano fumo e fiamme; uomini con i vestiti stracciati o bruciati e il volto nero per il fumo uscivano di corsa da quell'inferno, stringendo tra le braccia i libri della Torà: cercavano di salvare quello che avevano di più caro e di più santo, i rotoli scritti a mano, detti libri del Pentateuco. Vedemmo che anche il nostro rabbino correva fra le fiamme. Sembrava che le SS si divertissero, ridevano rumorosamente.
Non riuscivo a capire come degli esseri umani potessero trasformarsi in belve feroci. Era proprio vero quello che era scritto nelle fiabe: c'erano una volta maghi e streghe cattive che trasformavano le persone a loro volontà.
Ma dov'erano le buone fate, che venivano a salvare i poveri innocenti?
(Regina Zimet-Levy, Al di là del ponte, Garzanti, pp. 35-37)
La notte dei cristalli non è più tornata, la le sinagoghe incendiate sì, i cimiteri ebraici profanati e devastati sì, gli ebrei aggrediti, picchiati, assassinati per strada, o rapiti e torturati a morte, sì.

È accaduto, dunque può accadere, ha detto qualcuno, e infatti continua ad accadere.

Cerchiamo almeno di non raccontare a noi stessi che si tratta di storie vecchie.

E cerchiamo di non inventarci “buoni motivi” per giustificare gli aggressori: nel 1938 non c’era Israele, e non c’era una causa palestinese, e ciononostante è accaduto.

(guardate se non sembrano quelle di Gaza ...)

LA NOTTE DEI CRISTALLI -altre foto (click)







domenica 9 novembre 2008

QUESTA L'OPPOSIZIONE CON CUI CONFRONTARCI

La Rice "scimmia", Schifani "verme"
Ecco la galleria degli insulti sinistri
di Paolo Beltramin
Parole come pietre. Dalla comunista che esulta per la morte della Fallaci al segretario del Pdci che vorrebbe farsi saltare in aria al Billionaire: così parla chi accusa il premier

«Berlusconi deve capire che le parole sono come pietre», avvisa Veltroni il 24 ottobre. Lui, l’uomo del dialogo, che aveva appena annunciato: «Con Berlusconi la democrazia è svuotata come nella Russia di Putin» (28 settembre); «Con Berlusconi c’è una cappa di piombo sul Paese» (22 settembre); «Dico al Pd: scatenatevi contro Berlusconi, quartiere per quartiere» (12 settembre). Non sempre le parole resistono a lungo come le pietre: appena 6 mesi fa, Veltroni spiegava che «è troppo facile quando si sta all’opposizione usare toni esasperati». Spesso le parole restano soltanto negli archivi, come l’articolo di Lidia Ravera sull’Unità del 25 ottobre 2004, appena «riscoperto» dal Foglio: «Con quelle guancette da impunita, Condoleezza Rice è la “líder máxima” delle donne-scimmia». E ancora: «In quanto pacifista contraria alla politica estera di Bush mi sparerei un colpo. In quanto femminista lo sparerei direttamente a lei, il colpo... “con dolcezza”...».
Con dolcezza, perché siamo tutti antirazzisti. Come Andrea Camilleri, che intervistato dal quotidiano spagnolo El País il 21 ottobre ha indicato la «soluzione» al problema Berlusconi: «Ha 72 anni, farà il Capo dello Stato e poi dovrebbe anche morire». Giovedì scorso, al liceo Mamiani di Roma, Camilleri ha parlato agli studenti del ministro Gelmini: «Di sicuro non è un essere umano. Dovremmo chiamare i professori di chimica per capire che cos’è». Forse potrebbe aiutarci anche Marco Travaglio, che ha già scoperto la vera natura biologica del presidente del Senato: «Se dopo De Nicola, Pertini e Fanfani, ci ritroviamo con Schifani, sono terrorizzato dal dopo: le uniche forme residue di vita sono il lombrico e la muffa. Anzi, la muffa no perché è molto utile».
Siamo tutti antirazzisti e Dacia Valent è più antirazzista degli altri. Perché lei, ex europarlamentare del Pci, spirito libero della sinistra radicale, lei che ha festeggiato la morte di Oriana Fallaci con lo slogan «Cancro 1 – Fallaci 0», è cittadina italiana ma è di origini somale. E sa bene che l’etnia, la nazionalità, il colore della pelle sono tutti uguali. Un mese fa ha scritto sul suo blog: «Italiani bastardi, italiani di merda e ci aggiungo bianchi». Italiani «stupidi, ignoranti, pavidi, vigliacchi, zecche, pulci e figli di puttana». «Brutti come la fame, privi di capacità d’ingegno se non nella volontà delle vostre donne di prostituirsi e di prostituire le proprie figlie».
Poi ci sono le parole dei comici. Come quelle di Sabina Guzzanti al «No Cav Day» di piazza Navona. Il Papa? «Quando tra vent’anni sarà morto, starà dove deve stare, all’inferno tormentato da diavoloni frocioni attivissimi». Daniele Luttazzi invece spiegò in tv, su La7, come «sopportare» la politica estera di Berlusconi: «Io ho un mio sistema, penso a Giuliano Ferrara immerso in una vasca da bagno con Berlusconi e Dell’Utri che gli pisciano addosso, Previti che gli caga in bocca e la Santanché in completo sadomaso che li frusta». E proprio Luttazzi, in teatro, aveva già dimostrato che neppure Ferrara è un essere umano, ma «il residuo di sperma e cacca lasciato sul lenzuolo dopo un rapporto anale».
Altre parole sono finite nella mail di Stefano Lorenzetto, editorialista del Giornale, che ha deciso di renderle pubbliche. Le ha scritte lo scrittore Sandro Veronesi, arrabbiato per un articolo, augurandosi che lo stesso Lorenzetto se ne andasse «a farselo stroncare in culo per il resto dei suoi giorni. E quando starà per morire io pregherò Dio perché le conceda altri 10 minuti di vita, così che le stronchino il culo per altri 10 minuti». Un paio di giorni dopo scrive a Lorenzetto il regista Giovanni Veronesi, fratello di Sandro, lombrosiano convinto: «Sul tuo sito c’è la foto della tua bella faccia da stronzo e da lì si capisce già di che cazzo d’uomo stiamo parlando».
Altre parole, dettate all’Ansa, sono finite in un libro. Titolo: Berlusconi ti odio (2005). Il premier è stato definito tra l’altro «irresponsabile», «pagliaccio», «volgare», «intollerante», «impudente», «antidemocratico», «folle», «incapace», «portasfiga», «vigliacco» e pure «stalinista». Un aggiornamento sugli epiteti coniati negli ultimi anni: «Psiconano», «nano ghiacciato», «nano scongelato» (Beppe Grillo dixit); «rozzo» (Mario Monicelli, proprio ieri mattina); «Al Capone col panama» e «Al Tappone» (queste sono di Travaglio). Per Tonino di Pietro il premier è «un magnaccia», per Oliviero Diliberto «un dittatorello sudamericano». Proprio Diliberto, alle Invasioni barbariche, ha confessato una fantasia bizzarra: andare al Billionaire di Briatore «imbottito di tritolo».
La tradizione è lunga. Massimo D’Alema, che ha appena definito il ministro Brunetta «un energumeno tascabile» (ma poi si è scusato), nel 1994 si augurava di vedere Berlusconi «mendicare in piazza Duomo». A quei tempi Umberto Eco su Repubblica analizzava così il sostrato socio-culturale degli elettori: «buoni e pensanti» quelli del centrosinistra, «malvagi» oppure «stupidi» quelli del centrodestra. Chissà, forse il raffinato intellettuale aveva in mente l’analisi di Palmiro Togliatti all’indomani del trionfo della Dc di De Gasperi alle elezioni del 1948: «Hanno vinto i preti, le vecchie e i deficienti».

giovedì 6 novembre 2008

Analisi su Obama e McCain nell'imminenza delle elezioni del 4 novembre 2008

Siamo ormai agli sgoccioli, in America si vota oggi, anche se gia' milioni di cittadini americani aspettando pazientemente in fila hanno gia' votato grazie all' "early voting".
C'e gia' stato un grande afflusso di elettori nella passata settimana, perche' queste elezioni sono considerate come cruciali.
Anche per un osservatore neutrale, la battaglia fra i due contendenti Barack Obama e John McCain per la Casa Bianca e' stata impari sin dall'inizio.
Barack Obama e' il candidato del partito democratico, amato dai media e da tutte le celebrita', che si presenta come un messia infatuato di se stesso, che ripete all'infinito alla folla che gli fa eco, gli slogan: " We are the ones we have been waiting for" e "Yes, we can", preferito dalla quasi totalita' dei media, malgrado sia un candidato il cui passato non sia affatto chiaro e la cui personalita' e' un mistero anche per i giornalisti che lo hanno seguito adesso quasi da due anni. Con tutte le sue illiberali amicizie - non ultima quella di cui molto si discute in questi giorni con un professore palestinese, Rashid Khalidi della Columbia University, che sostiene che Israele e' una "Apartheid system in creation", con cui Obama era molto amico e compagno di merende sin dagli anni '90 a Chicago - ci si chiede chi veramente sia questo Barack Obama, anche se incredibilmente potrebbe divenire Presidente.
Ci si chiede anche come mai quello che e' stato definito il senatore piu' a sinistra (liberal) del Senato - quello che nel 2001 ha rilasciato un intervista dove deprecava che la Warren Court non fosse stata "progressista" abbastanza perche' non interpreto' nella Costituzione Americana la "giustizia economica e distribuitiva ("never ventured into the issues of redistribution of wealth and sort of more basic issues of political and economic justice in this society" Il Chicago Sun Times http://www.suntimes.com/news/huntley/1252150,CST-EDT-hunt31.article, parole in gergo della lotta di classe - possa poi nelle interviste al pubblico sembrare cosi' pacato cosi' centrista cosi' rassicurante.
Salvo poi fare una gaffe enorme nel rispondere a "Joe the Plumber" (l'idraulico) che il suo scopo e' appunto di ridistribuire le ricchezze.
John McCain e' il candidato del partito repubblicano, un vecchio leone e un eroe di guerra che si batte strenuamente per il suo paese, avversato fino alla derisione da tutte le televisioni cosiddette liberali.
In continuazione mettono in risalto, sbeffeggiandola, la goffaggine fisica di McCain, che e' dovuta ad una minorazione delle braccia, per le torture subite ad Hanoi, perche' rivelasse i segreti militari che gli aguzzini non riuscirono ad estorcergli.
I democratici dimenticano che il grande presidente democratico americano Franklin Delano Rooselvelt, si muoveva su una sedia a rotelle e che certo per questo non fu meno grande.
Non fatevi ingannare dall' aspetto di John McCain "I-saw-Putin-in-the-eye-and-I-saw-three-letters-KGB!"
Sara' minato nel corpo ma non nello spirito.
In tutte le battaglie che ha mai fatto, lo davano per perdente, ma non per questo si e' arreso, anzi, famosamente e gloriosamente disse "preferisco perdere un'elezione che una guerra" riferendosi alla Guerra in Iraq, e se i nostri soldati stanno vincendo oggi lo dobbiamo anche a lui, perche' ha rifiutato di tirarsi indietro e ha mosso mari e monti perche' ai nostri soldati fosse permesso di impugnare la strategia vincente.
Amiamo la satira perche' e' sinonimo di democrazia, ma non ci piace quando bersaglia unidirezionalmente e ripetitivamente solo il candidato repubblicano e la sua vice Sarah Palin di cui senza pieta' gli avversari hanno detto peste e corna persino nei salotti televisivi, e questo si ripete disgustosamente ogni giorno.
C'e' del marcio sotto, come c'e' del marcio quando Barack Obama e' apparso come se gia' fosse stato investito della presidenza, seduto dietro uno scrittoio, il 31 ottobre in "prime time", nell'ora di maggior ascolto, su sette maggiori stazioni televisive a reti unificate, per chiedere il voto agli elettori al suono del canto patriottico "America The Beautiful".
E costoro sarebbero i cosi' detti liberali, dov'e' andato a finire il pluralismo dell'informazione e dove e' andato a finire il buon giornalismo, ce lo chiediamo!
Questa e' la piu' abietta propaganda indegna di una democrazia, che ci ha nauseati e ci ha fatto rivoltare lo stomaco, infuriati e memori della "par condicio" dei tempi d'oro di Marco Pannella ed Emma Bonino quando apparivano alla televisione italiana con il bavaglio sulla bocca, come dovrebbe apparire ora McCain che e' oscurato da tutti i media che la fanno da padroni, questo e' il piu' becero tentativo di lavaggio del cervello a cui speriamo che gli Americani si sottraggano e ci auguriamo lo respingano con il voto.
Abbiamo fiducia nel popolo americano che pratica la democrazia senza interruzione sin dalla fondazione degli Stati Uniti, il 4 luglio 1776, una democrazia basata sul principio del "Common Sense" di Thomas Paine, quel senso comune che e' ormai radicato nel pragmatismo americano, grazie a quel filosofo e giornalista che scrisse, stampo' e diffuse tra i coloni, il suo pamphlet di 47 pagine, venduto a centinaia di migliaia di copie e scritto con un eloquio semplice e accessibile a tutti, per informarli e prepararli alla rivoluzione contro la tirannide inglese e guidarli alla conquista dell'indipendenza e della democrazia, che avvenne senza gli eccessi e senza tanto spargimento di sangue, come avvenne invece in altre rivoluzioni.
Ci si deve piuttosto chiedere invece da dove Obama tiri fuori tutti quei milioni di dollari e chi lo finanzi per potersi permettere anche di spendere quella cifra iperbolica di denaro solo per quel suo messaggio a reti unificate della durata di mezz'ora.
Neanche il presidente Gorge Bush nel suo tradizionale " state of the Union Address" parla da sette reti unificate.
Di Obama sappiamo poco, non sappiamo con sicurezza dove sia nato, dove abbia frequentato le scuole inferiori e superiori, con quale passaporto abbia viaggiato all'epoca e chi abbia pagato per le sue ingentissime tasse all'Universita'.
Non sappiamo con chiarezza e nonostante la legge McCain-Feingold, chi siano coloro che lo sostengono con donazioni di denaro, ci si chiede se parte del denaro e' di provenienza straniera. Non e' ben chiaro il suo legame con ACORN, un organizzazione ormai investigata in parecchi stati per frode elettorale, tranne che si sa che Obama fu un loro rappresentante in quanto avvocato, e contribui' al loro "operato" anche in qualifica di "leadership trainer" e dono' $ 800,000 alle loro operazioni, inizialmente mascherando il pagamento come un pagamento per "stage, lighting or sound".
Il tutto e' tuttora un mistero!
Ma siamo tranquille che l' alba del 5 Novembre rinforzera' la nostra fiducia nei nostri concittadini, questo non e' un paese da lotta di classe, l' invidia delle ricchezze altrui non alberga qui. Gli Hugo Chavez del mondo non ci affascinano.
Questo e' il paese dei guadagni col sudore della fronte, questo e' il paese dove tutti a prescindere dai propri natali e anche a prescindere dall' erudizione, possono divenire ricchi domani, se solo ci credono e lavorano duro per perseguire quel fine.
Questo e' il paese dove poliziotti e pompieri si sono lanciati in palazzi in fiamme e pericolanti per salvare coloro che lavoravano li'.
Ve l' immaginate un atto cosi' eroico in un paese di lotta di classe?
I poliziotti in tale paese chiederebbero cosa gli verrebbe in tasca a loro. Direbbero "tengo famiglia"!
No. John McCain vincera' il 4 Novembre.
Non ci saranno sondaggi che tengano.
E quelli che preferiscono una presidenza debole, e un'America pervasa dal malessere europeo della lotta di classe, del finto buonismo, delle tasse alle stelle e dell'antisemitismo di governo, rimarranno delusi.
Piera ed Emanuela Prister
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999930&sez=120&id=26451