lunedì 29 marzo 2010

venerdì 26 marzo 2010

LETTERA DI UN UOMO ONESTO


Cara Emma,

sono rientrato ieri mattina da un tour di force di tre giorni, con prima tappa a Miami dove, su invito del Dipartimento di Stato USA (quello della Signora Clinton così offesa con me, tanto per capirci), ho raccontato la nostra esperienza dell'Aquila davanti ad una platea di tecnici ed esperti che volevano capire come ricostruire Haiti. Mi pare che siano rimasti a bocca aperta davanti al nostro lavoro.
bertolaso papa jpegbonino vista da PDL

Poi sono stato a Port-au-Prince, dove ho toccato con mano l'affetto e l'amore che gli haitiani nutrono oggi per l'Italia, dopo aver visto all'opera il nostro team, la nostra squadra composta da volontari, medici, infermieri, tecnici, vigili del fuoco, marinai, piloti, alpini, genio militare, carabinieri, che usando come piattaforma tecnologica la nostra Ammiraglia, Nave Cavour, hanno svolto un lavoro esemplare che ha riscosso l'ammirazione della popolazione locale e di tutte le organizzazioni bilaterali e internazionali presenti sui luoghi di quel tremendo terremoto.

Abbiamo fatto vedere cosa sia davvero il Sistema Italia, una squadra compatta, coesa, che ha lavorato con il sincronismo di un orologio svizzero e si è meritata le lodi della Signora Ministro degli Esteri Europea, scritte in un telegramma di sintesi della riunione dei Ministri degli Esteri dei Paesi Europei, tenuta a Bruxelles, di cui troverai traccia sul nostro sito.

Abbiamo dimostrato, ad Haiti, come si può coniugare la passione e la disponibilità dei civili con l'organizzazione e la competenza dei militari. Abbiamo, ancora una volta con i fatti, presentato un modello Italia che è il migliore per prestare aiuto in tempi brevi e in modo efficace in qualsiasi parte del mondo indifferente alle telecamere e ai taccuini di chi vuole raccontare verità non vere.

Prima di partire da Haiti ho incontrato Bill Clinton, che mi ha detto:" I love Italy, I love your job", e mi ha chiesto di venire a L'Aquila per capire come abbiamo potuto gestire un terremoto fra i peggiori della nostra storia moderna.

Al mio arrivo in ufficio, ieri mattina, ho trovato ad accogliermi il volantino elettorale che Ti allego.

Un volantino a sostegno della Tua candidatura, quella che conosco come una donna in gamba, preparata, capace e, come noi, abituata a lottare per i propri ideali senza guardare in faccia a nessuno.

Ma sono rimasto sconvolto aprendo il volantino e leggendone il testo, che fa commenti vergognosi, allusioni, riferimenti alla vicenda che mi ha devastato la vita a titolo personale, ma che nulla ha a che vedere con il sistema della Protezione Civile che tutti insieme abbiamo contribuito a realizzare e che si è imposto all'ammirazione dell'opinione pubblica internazionale.

La Protezione Civile viene derisa in modo squallido. Quelli "che lavorano con la Protezione Civile... se la ridono!" è una frase inaccettabile, indegna, di una bassezza paurosa. Chi sarebbero quelli che ridono? Io? I miei collaboratori, quelli che vestono la maglietta bordata con il tricolore che tu conosci benissimo per averla anche indossata quando eri con noi in Sri Lanka? Le migliaia di italiani che hanno "lavorato con la Protezione Civile" dal 6 aprile del 2009 per assistere ed aiutare in ogni modo la popolazione colpita dal sisma?

Alle 3.32 di quella notte io non ridevo, nessuno di noi lo ha fatto. Con l'angoscia e l'ansia nel cuore, con la consapevolezza che ci attendevano giorni drammatici ci siamo tutti precipitati a garantire quei soccorsi e quegli interventi, ai quali moltissimi di noi hanno fornito un contributo determinante.

Basta rivedere le immagini della nostra sala operativa quella notte per capire l'enorme impegno con il quale tutta la Protezione Civile si è precipitata a dare il meglio di sé.

Lo abbiamo fatto per giorni e notti, per settimane e mesi senza mai guardare l'orologio e il calendario, senza sosta, crollando dalla stanchezza e dalla fatica ma andando avanti sempre con totale determinazione, condividendo ogni istante con i terremotati sole, caldo, neve, fango, pioggia e tanta fatica, coinvolgendo in questo sforzo decine di migliaia di persone di ogni parte d'Italia che non si sono risparmiati dando il massimo e il meglio di se stessi. L'abbiamo fatto con sacrifici personali, sul piano dei rapporti famigliari, della nostra vita normale che ci siamo lasciati sconvolgere sapendo perchè lo facevamo e con quale spirito stavamo all'Aquila.

In questi ultimi mesi sono stato oggetto d'indagine, e lo sono tuttora, e intendo precisare che i magistrati non hanno formulato né a carico mio né di altri del Dipartimento nessun capo di imputazione in relazione a fatti accaduti nel corso di esecuzione dei lavori previsti per fronteggiare l'emergenza terremoto in Abruzzo.

I media si sono incaricati di gestire un loro processo, nel quale intercettazioni raccolte a titolo di indizio sono state contrabbandate come prove assolute e inconfutabili sia della mia personale colpevolezza, sia del rischio di lesione grave alla democrazia derivante dal ruolo svolto dal Dipartimento in relazione alla gestione dei Grandi Eventi.

Mi sono limitato, in tutto questo periodo, a difendere la mia onorabilità e la mia estraneità ai fatti di cui si pretendeva fossi il protagonista, senza reagire a strumentalizzazioni ad uso politico peraltro evidenti, giunte sino alla menzogna usata nelle sedi istituzionali, come nel caso delle dichiarazioni infervorate che ho ascoltato in Parlamento nei giorni di discussione del decreto legge, che mi accusavano di voler privatizzare la Protezione Civile senza provare la minima vergogna, quando bastava leggere i testi che questi illustri Parlamentari stavano discutendo per essere sicuri del contrario.

Non ho reagito quando è venuta fuori la storia di questi ignobili faccendieri che ridevano pensando ai futuri guadagni, se non per associarmi alla condanna più ferma di un comportamento semplicemente inumano, che tu sai bene quanto io possa aver gradito. Non ho reagito neppure quando nella tela disegnata dai miei diffamatori si è cominciato a capire che non ero certo io al centro dell'inchiesta, ed anche il Corriere della Sera ha smesso di rubricare le notizie sotto la voce Protezione Civile.

L'ho fatto per rispetto delle Istituzioni ed anche del momento politico, segnato da una campagna elettorale che resterà nella memoria degli italiani come una delle più ricche di offese tra gli schieramenti e più povere di contenuti, offuscati dalle grida e dalle ingiurie scambiate a gran voce tra i contendenti.

Questo non è bastato, con buona evidenza. Oggi non posso accettare che si faccia campagna elettorale usando frasi allusive e gravissime, che denigrano una realtà come la Protezione Civile del nostro Paese, che la stragrande maggioranza dei nostri connazionali stima ed apprezza per quello che ha saputo dimostrare in ogni situazione, per presentarla come una appendice di un circolo di "amicizie pericolose", dove convivono la mia maglietta, le divise dei volontari e gli infami imbecilli che ridono delle sofferenze altrui.

Questo non è giusto né è serio, questa ignobile strumentalizzazione mi scandalizza, come ha sconvolto i miei collaboratori più diretti, compresi quelli che non si riconoscono nella attuale maggioranza di governo.

Per questo ho dato mandato ai miei uffici di chiedere il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato per attuare ogni occorrente azione a tutela del prestigio del Dipartimento stesso a fronte della gratuita diffamazione del PD romano, che "firma" con logo ed indirizzo di posta elettronica il volantino.

So bene che, con ogni probabilità, non hai neppure visto il volantino con la Tua fotografia in copertina. Sono anche certo che, se Tu lo avessi intercettato in tempo, non avresti dato il Tuo ok ad un simile testo. Ma resta il fatto che il volantino è stato prodotto e firmato e considerato legittimo da chi l'ha redatto perchè, con le vicende sia mediatiche che politiche che mi hanno riguardato, è stata data l'impressione che fosse diventato lecito a chiunque sparare sulla Croce Rossa, come si diceva una volta, e tirare in ballo la Protezione Civile per rendere più appetitose notizie false costruite ad arte.

"Lavorare con la Protezione Civile" si può fare in tanti modi, a vario titolo. Siamo in tanti a farlo con onestà e pulizia, sia che si tratti di catastrofi, sia che ci si debba occupare di Grandi Eventi. Poi ci sono i fornitori della Protezione Civile, coloro che vincono gare per le forniture di beni e servizi. Sarà forse necessario rivedere i criteri di ammissione delle imprese alle gare, per individuare anche clausole che escludano le iene che ridono di notte e che impediscano ai servitori dello Stato infedeli di fare danni. Ma, allo stato, considero le accuse che ricevo al riguardo alla stregua delle credibilità che potrebbe avere, per farmi cambiare giudizio su di Te, apprendere che il Tuo parrucchiere picchia la moglie, che l'idraulico che ti ha risistemato il bagno ha rubato, che il Tuo autista è razzista.

Credo sia responsabilità prima ed assoluta di chiunque si occupi delle Istituzioni, di chi si candida a governarle, salvaguardarne l'onorabilità, la credibilità, il buon nome, che costituiscono un patrimonio che chiunque vinca la elezioni deve trovare disponibile. Non si può fare campagna distruggendo la macchina che ci si candida a guidare, legittimando i comportamenti di chi prende senza prove le Istituzioni a martellate e a calci, derubricando la gravità di questi fatti perchè chi li compie è critico verso l'attuale conducente.

Questo non è amore per la democrazia, è pazzia irresponsabile.

Io non ci sto. Se la prendano pure con me, ma nessuno è autorizzato a diffamare la Protezione Civile, che deve continuare ad essere una Istituzione che gode della fiducia dei cittadini, guadagnata sul campo, che ci sia io oppure un altro alla guida del Dipartimento.

Se non ci fosse di mezzo la campagna elettorale, so che ti sentirei e che mi daresti ragione. Aspetto volentieri che prima si voti.

Guido Bertolaso

[26-03-2010]

martedì 23 marzo 2010

A FUTURA MEMORIA


Un articolo a orologeria
Scritto da Marco Cavallotti
martedì 23 marzo 2010

Da sin. Molotov, Stalin, Ezov
Si parla e si straparla di sentenze e di denunce "a orologeria". Questo articolo lo è, senza dubbio. Ma non si lamentino le "vittime" del PD: se avessero saputo ripensare seriamente agli errori ed ai crimini che hanno commesso ed a quelli che hanno consentito di commettere negli ultimi decenni, senza fare una piega e senza minimamente vergognarsi, questo articolo – o meglio, questo promemoria – sarebbe del tutto inutile. Sarebbe una cartuccia a salve. Se spara davvero è tutta colpa loro.

Riportiamo pari pari una lettera del Procuratore sovietico Višinskij: la sua statua troneggiava, fino al 1991, nel bel mezzo della piazza della Lubjanka, sulla quale si affaccia il palazzo del famigerato KGB. Fu uno dei più crudeli e fanatici persecutori del suo popolo, mandò ai Gulag e alla morte centinaia di migliaia di persone, collaborò con un ruolo di primo piano – quello della pubblica accusa – alla persecuzione e allo sterminio di intere categorie di cittadini invisi al regime staliniano.

La lettera che riportiamo, a firma di questo gentiluomo, è indirizzata ad un altro famoso carnefice e coprotagonista del Grande Terrore del 1937-38, Nikolaj Ežov, responsabile del Commissariato del popolo per gli affari interni (Nkvd). Essa riporta un lungo brano di una missiva del Procuratore del Bamlag (il Campo di lavoro correttivo della regione Baikal-Amur), che denuncia orrori e misfatti. Visti mittente e destinatario, nasce il dubbio che la missiva fosse stata concepita, più che per deplorare le condizioni di vita (?) nei Gulag, per denunciare lo "spreco" di manodopera gratuita, sfruttabile per i lavori più gravosi e più folli, come si usava fare in quegli anni, in cui una percentuale rilevante della produzione sovietica era dovuto ai lavori forzati dei prigionieri. Insomma, più che una denuncia – da parte di un personaggio che nei Gulag aveva mandato centinaia di migliaia di persone ben conoscendo la loro fine – la lettera appare come un regolamento di conti tra carnefici. Come è noto, Ežov fu silurato nel '38 e fucilato nel '40.

In quegli anni, Palmiro Togliatti, il Migliore, viveva a Mosca, era perfettamente in grado di vedere tutto dato il suo alto ruolo direttivo, ma evidentemente guardava da un'altra parte. E anche qui, varrà la pena di aprire una parentesi: un partito capace di autocritica e di discussione seria sui propri errori non consente senza proposte di rettifica la pubblicazione di una voce "Palmiro Togliatti", come quella che si trova ancor oggi su Wikipedia in italiano, piena di preterizioni e falsità. E non si dica che queste voci di Wikipedia Italia sono state scritte da altri, magari da "nemici interessati". Ma questa è un'altra storia, della quale parleremo con calma.

Per intanto, converrà soffermarci su un'osservazione generale: questo documento – e il volume che lo contiene – è stato tradotto e pubblicato in Italia in un contesto che sembra tenda a vedere i crimini dello stalinismo non come terribile normalità, ma solo come aberrazione eccezionale, propria del pur vasto mondo del Gulag, e non della società intera dei cittadini sovietici. Sembra spesso che si tenda a mostrare gli orrori del Gulag per farci dimenticare gli altri… E questo è il più grande imbroglio che oggi possa essere tentato nei riguardi nostri, e l'insulto più vergognoso per una popolazione che anche fuori da questi mostruosi campi di sfruttamento e di morte ebbero la sventura di vivere in quei Paesi in quei tempi.

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Nota del Procuratore dell'Urss A. Ja. Višinskij per il Commissario del Popolo agli affari interni N. I. Ežov sui risultati dell'ispezione condotta nel lager dell'NKVD dell'Urss.

19 febbraio 1938

Segretissimo

Al Commissario del Popolo agli affari interni dell'Unione Sovietica Commissario generale della Sicurezza dello Stato

L'ispezione condotta dalla Procura dell'Urss sulle condizioni di detenzione nel lager Bajkalo-Amurskij, Dal'ne-Vostičnyj, Ussurijskij-Pečorskij ha accertato che in alcune sottosezioni di questi campi le condizioni di detenzione sono insoddisfacenti, e in singoli casi assolutamente intollerabili.

Così per esempio nella colonna [ovvero unità] n° 52 della diciassettesima sezione (nella zona della stazione di Bikin, a 8 km dal confine con la Manciuria), sono custoditi 500 detenuti. Essi sono alloggiati in baracche fredde e sporche, con tavolacci sudici. A causa della mancanza di criteri precisi nella distribuzione dei detenuti nelle baracche, gli elementi più corrotti si sono creati le condizioni migliori, hanno occupato i posti migliori (vicino alla stufa), sottraggono la razione e gli abiti di coloro che lavorano, ragion per cui i detenuti non sono stimolati a uscire al lavoro. 222 detenuti non escono affatto; di questi, 98 non lavorano perché sono completamente privi di calzature e vestiti. Fra questi detenuti c'è un gruppo talmente miserabile e infestato dai pidocchi da rappresentare un vero pericolo per quelli che lo circondano dal punto di vista sanitario. Questo gruppo di detenuti si è talmente abbrutito che ha perduto ogni sembianza umana. Per l'insufficienza di cibo (data la razione punitiva), raccolgono rifiuti di cucina e, secondo le parole di alcuni detenuti, queste persone mangiano ratti, cani e, come ha comunicato il capo-colonna, nella zona della colonna è rimasto vivo un solo cane, che appartiene a lui personalmente. A causa del vitto insoddisfacente nell'infermeria sono ricoverati detenuti estremamente deperiti, e anche con le estremità congelate. […]

Il procuratore del Bamlag con la lettera 26 gennaio1938 mi ha comunicato quanto segue:

«Nell'infermeria dormono nudi sui tavolacci comuni, come sardine in scatola (letteralmente, non è un'eagerazione). Per settimane non vengono portati a fare il bagno per mancanza di biancheria. In alcuni reparti ci sono donne (su giacigli di legno) ricoverate insieme agli uomini. La malata di sifilide sta accanto al tubercolotico. Nella corsia comune, sul tavolaccio, ammassati l'uno sull'altro, giacciono insieme malati di risipola (contagiosa) e di malattie gastrointestinali. I tubercolotici insieme ai pazienti chirurgici. Dagli scaglioni in arrivo si prelevano i morti congelati (scaglione di Mosca).

I nuovi venuti non hanno addosso neanche la biancheria, nient'altro che stracci, e il guaio è che nel Bamlag non c'è un solo cambio di biancheria, né un paio di stivali, né un abito di scorta. Hanno il corpo coperto di croste, non vanno a fare il bagno, dato ch non viene data loro la biancheria, sui loro cenci strisciano a centinaia i pidocchi. Non c'è sapone. Molti non hanno nulla da mettersi per uscire alla latrina. La cosiddetta squadra dei convalescenti è costituita […] da una baracca buia in cui vivono senza alcuna biancheria, né giubbe, ma solo con delle giacchette lacere, delle parvenze di uomini, o più esattamente di selvaggi, o uomini dell'età della pietra, e gli scaglioni di gente seminuda continuano ad arrivare, e la gente raggiunge la nuova strada senza vestiti, senza scarpe, e da noi ci sono 20-50 gradi sotto zero. Non ci sono alloggi. Non abbiamo di che costruire alloggi, non ci sono strumenti, seghe, asce. Che fare? Dagli ultimi scaglioni prelevano i malati di tifo petecchiale. Qualcuno, qualcuno di ostile, fa in modo che la gente muoia per strada, muoia una volta arrivata alla destinazione.

Per non trattenere un vagone e non creare un ingorgo sulla linea ferroviaria, gli zelanti direttori della quattordicesima sezione hanno deciso di inviare a piedi per 17 km i detenuti, vestiti così com'erano arrivati, col risultato che del primo gruppo di 750 persone 5 sono morte per strada, e 92 hanno avuto le membra congelate (soprattutto i piedi). Nel secondo gruppo ci sono state 42 persone con segni di congelamento, e 30 nel terzo.

Per lunghi periodi non vengono distribuiti grassi. I malati di stomaco più deboli ricevono lo stesso vitto degli altri. Nell'infermeria non c'è zucchero (quattordicesima sezione). La situazione alimentare è disastrosa. Adesso, prima che le strade diventino impraticabili, 60.000-70.000 detenuti saranno spediti nella profondità della tajga, e i viveri sono garantiti per un solo mese. La gente si può ritrovare senza cibo, tagliata fuori dal mondo da paludi impraticabili, fino al mese di novembre. Centinaia di telegrammi inviati al GULAG sulla situazione catastrofica del campo restano senza risposta. Gli uomini sembrano bestie selvatiche, alcuni sono semifolli. Non ci sono ortaggi freschi. Fra due o tre mesi comincerà lo scorbuto, e intanto continuano a mandare e mandare uomini. In tre mesi e mezzo ne sono arrivati 75.000, e altrettanti sono in viaggio» […]

Sulla base dell'ispezione condotta all'Uchtpečlag ho accertato che anche in quel campo le condizioni di vita dei detenuti sono palesemente insoddisfacenti. Solo al 60% dei detenuti viene fornito un alloggio gli altri durante la stagione invernale sono distribuiti in tende inadatte alla vita in inverno. Neanche il 50% dei detenuti è fornito di abiti pesanti e scarpe. Per tale motivo durante il trasferimento di 2086 detenuti dal lagernyi punkt di Sindor al settore di Tobys, avvenuto il 4 novembre 1937 per disposizione dell'ingegnere capo dell'Uchtpečlag, Maksimovič, 16 detenuti rimasero assiderati durante il tragitto e morirono per il freddo e lo sfinimento. Contro i colpevoli di questo delitto, Maksimovič e altri, la procura del lager ha avviato un procedimento […]

da Oleg V. Chlevnjuk, Storia del Gulag. Dalla collettivizzazione al Grande Terrore, Torino, Einaudi, 1993.