domenica 29 novembre 2009

LETTERA ALL'ON. DENIS VERDINI

Egr. On. Denis Verdini

e p.c. ai parlamentari del PDL.

Sono un simpatizzante del PDL, almeno per ora.

Vorrei farLe presente che ho sempre votato nell’area di cdx anche prima della costituzione del nuovo partito, oggi ho delle forti perplessità a continuare a votare il partito di cui Lei è il coordinatore, data la presenza dell’on. Fini ormai orientato verso una sinistra obsoleta e logora che lui chiama farefuturo.

Non passa giorno che lui ed i suoi seguaci, intralcino il lavoro, già di per sé difficile, di questo governo, con dichiarazioni degne di Di Pietro.

Inoltre quella presentazione al 22/23 dicembre della legge sulla cittadinanza breve, in combutta con il PD , è al di fuori di ogni logica e soprattutto contraria al mandato che noi elettori Vi abbiamo conferito.

Sarà mia cura controllare quali deputati del PDL abbiano votato per questa legge, al fine di non votarli mai più.

Oltre a questo ho riscontrato, la mancata difesa di SB, dalla magistratura rossa, da parte del presidente della camera ed anche una certa “tiepidezza” da parte del resto del partito.

La lettera che le sto scrivendo, pur essendo a titolo personale, è condivisa da moltissime mie conoscenze sia reali che di web.

Posso quindi dire, che alle prossime regionali, se troviamo in lista candidati finiani, non esiteremo a votare per altro partito che dia garanzie sull’immigrazione, sulla sicurezza e che contrasti lo strapotere di questa Europa che si sta profilando orwelliana. Un’ Europa che svilisce tutte le nostre tradizioni, che annienta la nostra cultura, che porterà alla fine della Civiltà occidentale. Cerchiamo almeno di salvare l’Italia, non tanto per noi quanto per i nostri figli.

Distinti saluti

P.S

Se avesse del tempo Le consiglio di leggere questi post, con i relativi commenti sono una minima parte di quello che gira sul web di questo tenore. Non sottovaluti la “base” del CDX, non è trinariciuta.

http://sauraplesio.blogspot.com/2009/11/per-fare-futuro-il-piu-grave-dei.html

http://orpheus.ilcannocchiale.it/2009/11/26/io_non_ci_sto.html

http://laltrasponda.blogspot.com/2009/11/nono-e-meglio-non-fare-futuro.html

http://mangoditreviso.blogspot.com/2009/11/fare-o-durare.html

http://blacknights1.blogspot.com/2009/11/orgogliosamente-stronzo.html

http://gio88-giova.blogspot.com/2009/11/nuova-perla-dei-finioti.html

http://sarcastycon.wordpress.com/2009/11/27/fareschifo/

venerdì 27 novembre 2009

ECCOLO, GUIDO SPORTIVO.

Con Shin Dae Wong

Le interviste di Trepassi.

- Caro Trepassi, chi hai intervistato oggi per il nostro pubblico ? -
- Nientemeno che uno degli Ent ! -
- Ma non ti avevo detto di fare un'intervista nel campo dell'ambiente ? -
- Sissignore -
- E che c'entrano gli Enti, con l'ambiente ? -
- Gli Ent sono una razza antichissima di pastori degli alberi -
- Oh, bene, ...pastori... di ché ? Quando mai gli alberi vanno a pascolare ? -
- Capo, Lei non ha visto "Il signore degli anelli", e in particolare il secondo episodio ? Li si parla proprio degli Ent, quei giganti che sembrano degli alberi parlanti -
- Ah si. -
- Così mi sono recato nella foresta di Fangorn, dove avevo deciso di incontrare Treebeard, di cui le avevo accennato prima. In effetti "Fangorn", in sindarin, vuol dire "Treebeard". -
- Sindarin ? Che lingua è, non la conosco -
- Una lingua inventata da Tolkien, l'autore della saga del signore degli anelli. "Fanga" appunto vuol dire "beard" cioè "barba", e "orne" vuol dire "tree", cioè "albero". -
- Quindi "Treebeard" vuol dire "Alberobarba" -
- Si, ma lo chiamano Barbalbero. -
- E va bene, sei andato da questo signore, e che è successo ? -
- Sulle prime ho notato soltanto gli occhi.
Sembrava vi fosse dietro le pupille un enorme pozzo, pieno di secoli di ricordi e di lunghe, lente, costanti meditazioni; ma in superficie sfavillava il presente, come sole scintillante sulle foglie esterne di un immenso albero, o sulle creste delle onde di un immenso lago. Non so, ma era come se qualcosa che cresceva dalla terra quasi in letargo, o consapevole soltanto della propria presenza tra la punta delle radici e quella delle foglie, tra la profonda terra ed il cielo, si fosse improvvisamente destato e mi stesse considerando con la stessa lenta attenzione che aveva prestato ai prorpri problemi interiori per anni e anni
. -
- Come sei romantico e fantasioso ! -
- Capo, a dir la verità, questa frase l'ho copiata da "Le due Torri", pag.65, ed. Bompiani 2001. -
- Ah, mascalzone ! -
- Mi ha detto "hrum, huum" con voce bassa e profonda come il suono di un violoncello. -
- Trepassi, non vorrai copiare tutto il signore degli anelli, spero ! -
- No, no, vengo al dunque.
Questo signore, cioè, questo pastore di alberi, che aveva l'aspetto di un pino, ed in effetti si chiamava Giuseppe... -
- Aspetta un momento, non avevi detto che si chiamava Fangorn, o Treebeard, o Barbalbero ? -
- Quello era l'Ent che avrei voluto intervistare io, quello che ha recitato nel film, ma sa, questi attori famosi poi si montano la cima... -
- La cima ? -
- Si, quello che per loro è la testa... sempre alberi sono !
Insomma, quello è diventato difficile da avvicinare, e così ho potuto solo intervistare questo giovane, ma promettente Ent, che però lavora nel campo scientifico -
- Fa lo scienziato, il ricercatore, è laureato ? -
- Ma quale scienziato, quale ricercatore, quale laureato, lui, semplicemente, fa il campione -
- Ah, un giovane sportivo dunque -
- No, faceva parte di quei giovani che avrebbero dovuto fornire materiale scientifico nientemeno che a famosi scienziati dell'IPCC. -
- Ma davvero ? Un lavoro assai interessante, immagino -
- Eh no, poveretti. Un lavoro da cavie. Loro forniscono i loro anelli agli scienziati -
- Ah, questi giovani son tutti uguali, con gli anelli dappertutto, sul naso, sulle sopraciglia, per tutto il corpo...che squallore questa moda del piercing ! -
- Ma no, che ha capito ? -
- E che dovevo capire ? -
- Gli anelli che forniscono sono quelli che si formano nel loro tronco, uno ogni anno, man mano che il loro tronco cresce. -
- Ah, quelli ? -
- Si, si sega l'albero, ahimè - e qui Trepassi fece un partecipato sospiro pensando alla dura sorte dei colalboratori scientifici Ent - e si contano gli anelli per vedere quanti anni hanno, e se ne misurano gli spessori, per avere informazioni sulla temperatura e sul livello di CO2, che, quando sono più elevati, nutrono meglio l'albero e lo fanno crescere di più, per cui l'anello di un anno più caldo, e con più CO2 è più florido e spesso di quello di un anno freddo, e con poca CO2. -
- E quanti anni aveva Giuseppe ? -
- Essendo un Ent, un pastore di alberi, non c'è stato bisogno di segarlo, ma gliel'ho semplicemente chiesto. -
- E lui cosa ha risposto ? -
- Tre Anelli per i Re delle Elfi verdi, sotto il cielo che risplende di CO2,
sette per i Prìncipi dei non-giganti
... -
- Non diceva "nani" ? - intervenne Settepassi che aveva capito la citazione
- Non si può più dire "nani", non è politicamente corretto. Si deve dire "non-giganti". -
- Uffa, sta political correctness ! -
- Dicevo,
sette per i Prìncipi dei non-giganti, nelle loro rocche di pietra,
nove per gli Uomini Mortali, che la triste morte attende, ma non prima che si siano accattati il decoder,
uno per l'Oscuro Sire, chiuso nella reggia tetra, davanti ad un monitor collegato al Legnostorto,
nella Terra di Mordor, dove vanno i Troll a leggere quel che deven pensare e scrivere, e dove l'ombra scende,
un anello per domare gli elettori,
un anello per trovarli,
un anello per ghermirli, e nel buio della cabina elettorale incatenarli, finché non scrivono quel che il Signore Oscuro chiede,
e solo i Troll sanno quel che chiede il Signore Oscuro, che nella Terra di Mordor siede, davanti ad una tastiera nera e polverosa, dove l'ombra cupa scende
...
in tutto ventitre anelli, e quindi ventitre anni. -
- E che ti ha detto di interessante, questo Giuseppe ? -
- Ha detto che sono rimasti disoccupati -
- Oh poverini, e perché ? -
- Perché non hanno letto i report dell'IPCC, e non sapevano che dovevano crescere molto di più. Loro, sai, fanno quel che possono, si nutrono di CO2, quando splende il sole, e possono produrre tanto ossigeno -
- Oh, lo so che la loro attività è assai meritevole -
- E quindi crescono solo se ci sono Sole, caldo e CO2, e più ce n'è più crescono -
- Si, questo l'hai già detto -
- Ma gli scienziati dicono che non sono cresciuti abbastanza, che hanno battuto la fiacca, che dovevano crescere di più, e così li hanno licenziati, e non li metteranno più nei loro report -
- Oh che disgrazia, oh che disgrazia ! Ed ora si può fare qualcosa ? -
- Temo di no. Gli scienziati non possono pubblicare dati che contraddicono le loro teorie, e così loro sono spacciati, messi in cassa integrazione, e poi direttamente in pensione. -
- Ma come, non hanno diritto alla mobilità ? -
- Al massimo gli Ent, che hanno le gambe, ma agli altri alberi gli hanno negato anche quella, dicendo che tanto gli alberi non si muovono -
- Oh che cattiveria, oh che soppruso ! -
Trepassi si concesse un altro sospiro, allargò sconsolato le braccia e si allontanò, mentre una brezza leggera muoveva i rami e le foglie di Giuseppe.

martedì 24 novembre 2009

La lezione di Montesquieu su come limitare i magistrati (click)


Giuseppe Bedeschi
Pubblicato il giorno: 24/11/09
Il saggio di Fisichella

Secondo tutti i teorici della società democratico-liberale, questa deve essere incardinata sulla divisione dei poteri. Ma quali sono questi poteri? È ben nota la risposta data dalla vulgata: essi sarebbero il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. Ma si tratta di una risposta del tutto sbagliata, anche se ha dalla sua la forza immarcescibile dei luoghi comuni: infatti (come ci ricordano i costituzionalisti più avveduti, a partire dal presidente Cossiga) il cosiddetto potere giudiziario non esiste (poiché esso non riceve nessuna investitura dal popolo sovrano,e quindi non è affatto un potere); esiste invece l’ordinamento giudiziario, che dovrebbe garantire la convivenza civile dei cittadini.

Dico dovrebbe perché esso è in grado di svolgere correttamente i suoi compiti solo se risponde a regole ben precise. Per esempio, esso non deve essere costituito da una casta onnipotente, senza una rigorosa distinzione fra magistratura requirente e magistratura giudicante: una distinzione che, purtroppo, è assente nel nostro Paese, e tale assenza porta a distorsioni gravissime.

Ma, per tornare alla cosiddetta dottrina della divisione dei poteri, e per capirne a fondo il significato, è opportuno risalire alle sue fonti classiche. E quindi a Locke (il primo grande teorico della società liberale), il quale parlò di separazione e di subordinazione dei poteri (il legislativo e l’esecutivo dovevano essere rigorosamente distinti e separati, e il secondo doveva essere subordinato al primo). Locke non parlò nemmeno di “potere giudiziario”, perché l’esercizio della giustizia civile e penale era per lui un’articolazione del legislativo, e quindi doveva essere assolutamente subordinato ad esso. Ma il pensatore più profondo, più ricco e più suggestivo su questo tema fondamentale è stato indubbiamente Montesquieu, al quale viene attribuita, secondo una definizione alquanto rozza e semplificatrice, una dottrina della “divisione dei poteri”.

Per capire di che cosa si tratti è assai utile l’ultimo libro di Domenico Fisichella, Montesquieu e il governo moderato (Carocci, pp. 195, euro 17,5): un libro che si legge con grande profitto per orientarsi nella difficile e complessa tessitura filosofico-politica del grande francese. Intanto è bene avvertire che l’espressione “divisione dei poteri” non si trova affatto in Montesquieu. E se proprio di “divisione dei poteri” si vuole parlare, si deve dire subito che essa non consiste nella separazione fra legislativo, esecutivo e giudiziario. L’occhio di Montesquieu è rivolto al sistema politico inglese del suo tempo e ai tre organi che ne rappresentano gli interessi permanenti: il monarca, la Camera alta e la Camera bassa. «Ecco dunque», dice, «la costituzione fondamentale del governo di cui parliamo. Essendovi un corpo legislativo diviso in due parti, l’una terrà a freno l’altra grazie alla reciproca facoltà di impedire. Entrambe saranno vincolate dal potere esecutivo, il quale lo sarà a sua volta dal potere legislativo». Dunque Montesquieu teorizza un governo bilanciato, in cui i diversi organi (re, Camera alta, Camera bassa) realizzano, in un sistema di pesi e di contrappesi, un equilibrio costituzionale capace di ostacolare l’affermarsi di un potere assoluto.

E l’ordinamento giudiziario? Il lettore si sarà accorto che Montesquieu finora non ne ha parlato affatto. Et pour cause! Infatti, come sottolinea Fisichella, Montesquieu non solo non annovera il giudiziario fra i poteri fondamentali della monarchia, ma tutti i suoi sforzi sono diretti a porgli dei limiti ben precisi, affinché esso non debordi e non leda i diritti dei cittadini e le prerogative della sfera politica.

Il potere giudiziario, dice il pensatore francese, «non deve essere attribuito a un senato permanente, ma deve essere esercitato da persone scelte fra il popolo, in determinati periodi dell’anno, secondo la maniera prescritta dalla legge, per formare un tribunale il quale rimanga in vita soltanto per il periodo che la necessità richiede».

E dopo avergli apposto questi paletti ben precisi e invalicabili, Montesquieu aggiunge, rendendo ancora più vivida la propria preoccupazione circa la possibilità che il giudiziario debordi dai propri confini: «In questo modo il potere giudiziario, così terribile tra gli uomini, non essendo legato né a una determinata condizione, né a una determinata professione, diviene, per così dire, invisibile e nullo», cosicché noi non avremo «continuamente dei giudici davanti agli occhi», e temeremo «la magistratura, non i magistrati».

Queste parole si leggono nello Spirito delle leggi, un capolavoro apparso nel 1748: ma sembrano scritte ieri, tanto sono sagge, premonitrici ed efficaci.

domenica 15 novembre 2009

I FIORI DEL GIARDINO DI MONTAGNA...




di Marco Cavallotti.

domenica 8 novembre 2009

CHE ROBA ! HA FATTO ANCHE IL CUOCO



E' sempre lui : Shelburn, Duepassi, Guido....

SHELBURN, IL NOSTRO POETA.


giovedì 5 novembre 2009

LE PARABOLE DI SHELBURN


La parabola del lupo pentito e dell'agnellino di Cosenza.

In quel tempo viveva un lupo feroce, autore di molti delitti, pentito però...di aver detto poche bugie, per cui voleva rimediare.
Qualcuno gli suggerì:
- Vedi lupo, quell'agnellino che pascola nei campi verdi, sotto i cieli azzurri ? Tu te lo devi pappare. Vai e mordi. -
E il lupo andò, ma non potendo aggredirlo senza esser visto, dovette dimostrare di averne ragione, e così disse all'agnellino
- Tu mi sporchi l'acqua -
- Ma come potrei se sei tu a stare a monte ? .
...e infatti, superior stabat lupus....e l'acqua scorre da monte a valle...
ma il lupo non demorse (come si dice), e replicò
- Nell'anno - e qui disse l'anno - tu ti facesti dare una borsa con cinquantamila dinàri euro ! -
- In quell'anno i dinàri erano ancora in lire, e non in euro -
- Tu hai incontrato il brigante - e qui ne disse il nome - negli anni 80...anzi nel 94 ! -
- Ma quel brigante nel 93 era in galera -
- Allora l'hai incontrato nel 92. -
- Anche nel 92 era in galera -
- Allora hai incontrato suo figlio -
- Anche lui era in galera, e non avrei potuto incontrarlo -
La folla dei contadini armati di falce, e dei falegnami armati di martello si fece minacciosa contro l'agnellino, urlando
- Sei stato accusato, dimettiti ! -
Un uomo dagli occhi di bragia, e dall'eloquio in perenne disaccordo coi congiuntivi, giunse ad unirsi a loro, gridando
- Dimettiti, fatti processare ! Se io mi avrebbe stato accusato, mi saressi dimesso, dico io. Tu dici che sei innocente ? E che c'azzecca ? Dimettiti ! -
Peccato che la stessa persona avesse appena usufruito dell'immunità parlamentare per non farsi processare, ma, si sa, il codice di Maga Magò dice giustamente che le dimissioni si pretendono da chi si e da chi no.

Parola di Shelburn.


La parabola del lupo e dell'agnello,

Il lupo voleva mangiarsi l'agnello.Ma il cane pastore cercò di impedirglielo.Così le anime buone dissero che il cane era cattivo assai, e vollero che si facesse pace.Pace tra il lupo e il cane pastore.Allontanato il cane pastore, il lupo si pappò l'agnello in quattro e quatt'otto, nel silenzio assordante delle (colpevoli) anime buone.Ancora adesso la raccontano che fu il cane ad aggredire il povero pacifico lupo.Anche se dell'agnello non c'è rimasto nemmeno più il ricordo.parola di Shelburn.

La parabola degli orsi scomparsi.

In quel tempo la gente piangeva dirottamente. Ruscelli di lacrime scorrevano dalle gote rubiconde di tenere fanciulle.Un viandante si fermò a guardare e chiese stupito- Perché piange tutta questa gente ? -- Stanno scomparendo gli orsi -- E come mai ? -- Fa sempre più caldo, non c'è più neve, e gli orsi scompaiono, per sempre, uah, uah, uah ! -- Su non faccia così. E poi, tutta quella neve che vedo ? -- Come può vedere neve se tutti gli scienziati dicono che non ce n'è ? -Il viandante ne raccolse un po' da terra- ...e questa cos'è ? -- Sarà panna montata, che vuole che le dica ? -- Ma è fredda... -- Certamente, la panna montata calda è una vera schifezza -- Non le posso dare torto. Ma questi orsi, quanti erano prima ? -- Erano ben cinquemila -- Ed adesso, quanti sono ? -- Si stima che siano tra i venti e i trenta mila. -- Ma allora sono aumentati. Perché piange la gente ? -- Vede, prima gli orsi che stavano scomparendo erano solo cinque mila. Era un problema. Volendo quantificarlo, era un problema per cinque mila animali.Ora gli orsi che stanno scomparendo sono molti di più, e quindi il problema è più grosso, perché più animali sono in pericolo. -E vedendo il viandante perplesso, aggiunse- Più animali in pericolo, più grosso è il problema. Come fa a non capire ? -- Già - mormorò il viandante grattandosi la zucca - ...come faccio a non capire ? -Parola di Shelburn.

La parabola della montagna

In quel tempo, uno straniero venne nella Terra dell'Arte, e vide una grande montagna.- Come si arriva là in cima ? - chiese ad una persona del luogo.- Ci sono due vie.L'una è irta di ostacoli. A chi vi si avventura viene messo un grosso carico in spalla, e mentre passa nei villaggi la gente lo insulta, e gli fa perdere tempo in ogni modo.Così la maggior parte desiste senza arrivare in cima, chi per paura, chi perché non sopporta i continui insulti o i continui ostacoli pretestuosi, chi perché si stanca o trova altro da fare. -- E l'altra via ? -- Oh, quella... è la teleferica,ma è destinata solo a quelli de sinistra. -E chi vuol capire capisca.parola di Shelburn.

Parabola delle capre e dei cavoli.

In quel tempo, un giovine furbone aveva novanta cavoli.- Ce ne voglion almeno cento, almeno cento ! - gli gridava il padrone.Almeno cento ? Qual'è il problema ?Aggiunse dieci capre, maschi e femmine, e contò:- Bene, adesso abbiamo cento capre e cavoli. -Giusto, ma dopo un certo tempo le capre si mangiarono dei cavoli, e nacquero tante belle caprette.E dopo qualche tempo, il furbone tornò a contare.E indovinate quante capre trovò e quanti cavoli ?Non è difficile immaginarlo.Basta volerlo capire... e chi vuol capire, capisca.Parola di Shelburn.

La Parabola del Buon Napoletano

Allora il Maestro disse: «Un uccellino cadde dal suo nido e rimase per terra mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada; e lo vide, ma passò oltre dal lato opposto.Così pure un Brontolone, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un Napoletano passandogli accanto, lo vide e ne ebbe pietà; avvicinatosi, lo cibò di formiche morte e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede ad un amico e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno".Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo del povero uccellino?Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia».Allora il Maestro gli disse: «Va', e fa' anche tu la stessa cosa».
(Dal Vangelo apocrifo di San Pcosta)

Parabola del lupo e del can pastore.

In quel tempo un lupo feroce azzannava le pecore dei poveri pastori, seminando terrore e morte.Giunto nella Valle dei Rossi Tramonti, si lanciò contro le pecore di un pastore che viveva colà, ma il suo cane reagì con energia, mettendo in fuga il lupo.Il pastore fece alte lodi al suo fedele cane, e quella sera gli dette molta più carne, come premio.Ma il giorno dopo si presentò di nuovo il lupo feroce, in presenza dell'autorità, affermando che il cane pastore doveva essere abbattuto perché assai pericoloso, e come prova mostrò i segni dei morsi che aveva ricevuto.Come andò a finire è scritto nel gran libro di quella valle, ma io mi asterrò dal raccontarvelo, per stimolarvi a pensare.Parola di Shelburn.

La parabola del Diogene moderno.

In quel tempo un uomo con una lanterna elettronica in mano fu visto percorrere le strade del web in pieno giorno, osservando ogni bucum, ogni pertugium, ogni forum, e allontanarsi ogni volta con aria delusa se non disgustata.Un giornalista del Legno Storto lo fermò, e gli chiese- Cosa cerca dunque Lei, buon uomo, con questa lanterna elettronica in mano ? -Diogene levò uno sguardo allucinato verso di lui, che pareva di pietro, ed esclamò con foga:- Cerco l'uomo intellettuale di destra, e non lo trovo -Il giornalista gli chiese ancora- Posso far qualcosa per aiutarLa ? - Ma il filosofo, brandendo un bastone, lo minacciò:- Si tolga da lì davanti, che non vedo il Sole24ore, e nemmeno la Gazzetta del Mezzogiorno... -Parola di Shelburn

La parabola di colori

In quel tempo c'era un bel mercato, affollato di gente che comprava di ogni cosa.
Ma vennero da fuori i messi del tiranno e dissero che nessuno poteva vindere o acquistare delle stoffe di color azzurro, perché erano lo simbolo del principe azzurro, e delle sue stucchevoli favole.
Così fu fatto, e di stoffe azzurre nessuno ne comprò più.

Ma poi tornarono ancora i messi dicendo che non si poteva né vindere né acquistare delle stoffe verdi, perché ricordavano i colori di Robin Hood, e dei suoi amici ladri.
E così fu fatto, e nessuno più ne comprò.

E poi tornarono li messi a proibire di comprare o vindere delle stoffe gialle, che offendevano il Sole, e di quelle bianche che offendevano la Luna, e nessuno più ne comprò di siffatti colori.

E poi tornarono ancora per proibire le stoffe di color rosa, e quelle marroni, e quelle di qualsiasi altro colore che non fosse il grigio.

E così tutto il mondo divenne grigio, e scomparve la vitalità e il sorriso perfino nei visi dei fanciulli.

E chi vuol capire capisca, tanto gli altri son talmente pieni di alterigia che non lo capiranno mai.

Parola di Shelburn.

La parabola dei sapori.

In quel tempo vennero i messi del tiranno e dissero che chi avesse mangiato del sale sarebbe stato imprigionato, perché il sale trattiene i liquidi e fa ingrassare, cosa che fa male alla salute e dispiace al tiranno.

Poi tornarono i messi del tiranno e dissero che chi avesse mangiato dello zucchero o qualcosa di dolce sarebbe stato imprigionato, perché lo zucchero fa ingrassare, cosa che fa male alla salute e dispiace al tiranno.

E tornarono ancora a proibire l'acre e il piccante, e, saputo del nuovo sapore, del brodo di carne, proibì anche di quello, ed ogni commensale avrebbe mangiato solo pane azimo e acqua, per dar onore al tiranno.

Nonostante tanto amore per loro, però, le genti, ingrate, si lamentavano di quel mangiare senza sapori. Ma egli, il tiranno, li rimproverò di voler offendere, mangiando del salato, chi non poteva mangiarne, e mangiando del dolce, chi di quello non ne poteva far uso, e così via.

Nella sua grande saggezza il tiranno si ritirò nelle sue stanze, lasciando che il popolo mormorasse.

Parola di Shelburn

La parabola della trattoria.

In quel tempo un viandante stava consumando la sua cena in una trattoria, ed aveva già alzato la forchetta per infilzare un boccone di costoletta, che aveva appena tagliato, quando il proprietario della trattoria gli tolse il piatto da sotto la forchetta.
- Che insolenza è mai questa ? - sbottò il viandante, con la forchetta ancora per aria.
- Mi dispiace, signore, ma quel signore laggiù è islamico e si offenderebbe se voi mangiaste della carne di maiale, che, sapete, secondo la sua fede è impura assai. -
- Mica gliela fo mangiare a lui, che capirei... che ha da offendersi di quel che mangio io ? -
- Lei può mangiare di carne di maiale a casa sua, ma questo è un luogo pubblico, e non si possono offendere le idee altrui -
- Quelle altrui, no, ma quelle mie, si ? -
- Signore, non v'inquietate per carità, che vi porterò una bella bistecca alla fiorentina, che quella non è di porco. -
Il viandante, che era un tipo accomodante, e per dimostrarlo s'era accomodato sullo sgabello che fungeva da seggiola, acconsentì al cambio, per amor di quiete, ma aggiunse
- Portatemi però un rosso di quello buono, che colla fiorentina è la morte sua ! -
- Abbiamo del Brunello di Montalcino di ottima annata -
- Questo mi aggrada, portatelo dunque. -
E dopo una breve attesa si presentò con una splendida bottiglia
- Sentite che meraviglia, che fragranza esce fuori da quest'orgoglio della mia cantina ! -
- Devo convenire che sia un bel bere. Orsù, versatene - esclamò, alzando il bicchiere
- Non vorrete berne a digiuno ? -
- No, per carità, aspetterò la fiorentina -
L'uomo si allontano, ma mentre il viandante era immerso nei suoi pensieri, tornò, versò il brunello dal bicchiere nuovamente nella bottiglia e fece per allontanarsi
- Ma che diavolo...? -
- Non s'inquieti, per carità, ma dovreste sapere che anche il vino è impuro ed offende un devoto Musulmano -
Il viandante fece per aprir bocca, ma quello s'era già allontanato colla bottiglia.
E tornò poco dopo con una brocca d'acqua fresca.
- Credetemi non c'è nulla di meglio di un sorso di sorgente pura e cristallina -
- Sarà - si rassegnò il viandante, poco convinto.
Ma finalmente il suo viso si illuminò, alla vista di una succulenta e traboccante bistecca.
- Urca, se magna ! - esclamò finalmente giulivo.
Ma aveva appena tagliato un bel pezzo di carne fumante, e l'aveva infilzato colla forchetta, alzandolo all'altezza della bocca vogliosa, quando qualcuno gli tolse la forchetta di mano, buttò il pezzo tagliato nel piatto, e portò via la bistecca.
- Per le mille e mille dune del Sahara, che significa tutto ciò ? -
- Purtroppo - sussurrò imbarazzato il proprietario della trattoria - è entrato quel signore indiano, e, sapete, per la loro religione è offensivo assai mangiar di carne di vacche... ma posso servirvi una spigola che vi farà venir l'aquolina in bocca ! -
- Vada per la spigola - acconsentì il viandante, pur di mangiare
- Eh no ! - s'intromise un altro viandante che era giunto proprio in quel momento - come vegetariano non posso permettere che si faccia uso di carni di animali. Troverete uova, latte, verdure appetitose, e frutta abbondanti per sfamarvi -
- Frutta, verdura, uova e latte ? Ma... e va bene, ma presto, che il mio stomaco reclama con prepotenza ! -
- Un momento ! - l'interruppe un altro viaggiatore entrato in quell'istante - Io sono vegan, e non permetterò che si mangi di uova, o di latte, che son alimenti che provengono da allevamenti...oh, voi non sapete quali orrori, quali lager siano questi allevamenti per quelle povere bestiole, che dovrebbero vivere invece libere e selvagge. -
- E allora vada per frutta e verdura -
- ...ma che non sia colta sull'albero ! Potete mangiare solo di quella che spontaneamente cade dall'albero, e null'altro -
Il viandante però a questo punto perse la pazienza, e quel che accadde dopo è disdicevole assai a raccontarsi.

Parola di Shelburn.

La parabola della bella vacanza.

In quel tempo si discuteva in famiglia su dove andare in vacanza.
Il padre propose di risalire il fiume Istro fino alle due città di Buda e Pest, e magari anche oltre, fino a quel borgo dove si posson mangiare di cotolette più fini di quelle che si impanano a Mediolanum.
Il figlio minore, amante dei fiordi vichinghi, suggerì invece la costa Brava.
Dipietrus saltò su, tutto rosso, esclamando, con occhi di bragia
- Ma dico, dico io, se hai detto che ti piacciono i fiordi...che c'azzecca la Costa Brava ?
Se hai detto fiordi, io anderessi in Danimarca ! -
- I fiordi sono in Norvegia - precisò il solito perfettino
- E se io mi troverebbe in Danimarca, non staressi tanto lontano dalla Norvegia, dico io -
sbottò Dipietrus ancor più rosso, e con gli occhi ancor più spalancati.
A questo punto la figlia bionda esternò con foga la sua preferenza per una vacanza in Germania, tra le tribù dei Cimbri e quelle dei Teutoni, pacifiche ed allegre. Salsiccine e Birra in quantità.
Ma la madre tagliò corto.
- Troppe opzioni, per non far torto a nessuno, faremo torto a tutti. Sceglieremo l'opzione "neutra". Si resta a casa. -
E così fu detto, e così fu fatto.
Amen.

Parola di Shelburn.

La parabola della facciata.

In quel tempo i condomini di un palazzo videro che la facciata era assolutamente sporca e indecente, e la gente che passava di lì criticava aspramente i proprietari di quel palazzo, tacciandoli per taccagni e spilorci. Taccagni di lunedi, e spilorci di venerdi. Per il resto della settimana dicevan di peggio.

Allora essi si riunirono in assemblea e decisero saggiamente di dar mano ai lavori e ridipingere la facciata.

Ma non si mettevano d'accordo sul colore. 14 dei 16 condomini la volevano azzurra, che è il colore del cielo, del mare, del Napoli Football Club, che già allora esisteva, e della nazionale italiana.

Uno la voleva invece rossa, con una bella falce e martello dipinta nell'angolo in alto a sinistra, di un bel colore giallo, affermando che così sarebbe stata artisticamente graziosa.

L'ultimo dei condomini invece non voleva che si mettesse mano ai lavori, e pretendeva che non ci fosse nessun colore, perché un palazzo deve essere neutro, e qualsiasi colore avrebbe offeso le minoranze.

Dato che gli altri pretendevano che in Democrazia prevalesse il parere della maggioranza, si rivolse allora ad una corte straniera.
I giudici di là gli dettero ragione, e così fu stabilito, che il palazzo non dovesse avere colore alcuno.

- Ma nessun colore è anch'esso un colore - esclamò un tale sig. Settepassi - perché ogni cosa ha comunque un colore, e anche se non ne metti alcuno, anche l'assenza è di fatto un simbolo essa stessa... è un ben preciso colore, un inequivocabile pronunciamento politico. -

Ma Settepassi non venne ascoltato, e il palazzo, non curato, incominciò a puzzare.

Parola di Shelburn.

La parabola del Sotuttoio

In quel tempo c'era un navigatore, di nome Sotuttoio e di cognome Voinonsapeteniente, che di porto in porto, di sito in sito, si trovò a galleggiare su un legno storto assai.
Arrivato colà, senza dir né buongiorno, né buonasera, senza salutar nessuno, ché è cosa di vil mortali, esclamò annoiato:
- Visto che mi viene chiesto di parlarne, come se fosse una cosa importante, scrivo cosa penso riguardo alla sentenza della corte europea , riguardante il crocifisso nelle scuole -
...e che volete, eravamo tutti ansiosi di conoscere la sua autorevole opinione, e nessuno di noi avrebbe dormito, se non avesse parlato, come oracolo parlasse.
Così, incapaci di proferir parola, ascoltammo tanta sapienza e tanta saggezza onorare le nostre umili orecchie.
Ed egli benignamente ci onorò, eh sì, ma che non si ripeta, ché non siam degni di cotanto onore !
- Le tradizioni non sono immortali - oh, qual grazia nell'enunciare codesta verità suprema !
- ...non c’e’ piu’ il Faraone - eh no, questo non doveva dircelo, a noi che ancora l'aspettavamo per cena !
- le tradizioni finiscono, e le radici si rompono, per quanto importanti siano state. -
...lo dicevo io di tirar pian piano le carote, che sennò si rompono. Ma ora che l'ha detto pure Sotuttoio starete più attenti.
- ...il cristianesimo e’ stato una importante radice dell’europa, e ha fatto parte della tradizione culturale europea. Oggi non più.
Ripeto: oggi non più. E sarebbe ora che qualcuno avesse il coraggio di dirlo.- e meno male che un coraggioso c'è stato.
e pensa un po', se non l'avesse ripetuto, qual danno ne avrebbero avuto le giovani menti assetate di sapere !
E mentre cotanto oratore parlava, l'umile gente ignorante si addormentava, ma fu svegliata dalla sua voce tonante che urlava
- Potrei mostrarvi la vostra profonda ignoranza, facendovi delle domande trabocchetto banali banali, come per esempio “gli angeli hanno la fede?” oppure che so io “Satana satana puo’ essere considerato un buon cristiano?” per - ehm, qui usò un termine crudo, che mi preme risparmiarvi...dunque diciamo che disse:
- mangiarvi come tanti salamini appesi alla trave. E questo per una seconda proprieta’ che il “cristiano” di oggi ha: non conoscere la propria religione. -
Quale religione conoscono i cristiani, forse quella buddhista, o quella indù ? Molti sono indotti a pensare che il saggio vate pensasse alla religione shintoista.
Tra un sonnellino e u n dormiveglia arrivavano gli strali
- ...voi tutti dovreste passare la vita a chiedervi “come si comporterebbe Cristo in questa situazione? -
e poi
- Lo fate? Vi comportate , ogni giorno, come si comporterebbe Lui? No, non lo fate. Nessuno di voi lo fa.-
e poi ancora
- Cosi’, ripeto, ho cattive notizie per voi: non solo e’ morto il cristianesimo, con tutte le sue “tradizioni”, ma c’e’ di peggio. Il cattolicesimo è morto, ed è morto per colpa dei cattolici. -

La gente cominciava a pensare, ma guarda che brutte notizie che dà il telegiornale, e nessuno si rendeva conto del dramma.
E mentre la povera gente, incapace di recepire tanto verbo, sonnecchiava e qualcuno, ahimè, ronfava sonoramente, la voce continuava a gridare
- Ma la cosa peggiore, è che non sapete nemmeno il perché. Io ho smesso di essere cristiano, e quando dico che ho smesso dico che so che cosa ho lasciato. -
Ma a quel punto non era rimasto nessuno sveglio.
Sotuttoio continuò ad arringare la folla dormiente con voce tonante e occhi di bragia, ma quei miseri omini da poco continuarono a ronfare e a rigirarsi nel sonno, sicché al vate immenso ed adirato non restò che andarsene, sbattendo la porta.
Si udì un grido, e, da dietro la porta un'imprecazione stizzita
- Porca miseria, ogni volta mi chiudo la coda nella porta ! -

Parola di Shelburn.

lunedì 2 novembre 2009

L’immigrazione, risorsa o problema? (click)

Relazione al seminario della Fondazione Magna Carta Identità, responsabilità e libertà, Roma, 3 novembre 2009

di Massimo Introvigne

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  1. Immigrazione, xenofobia, immigrazionismo

Nella magna carta della dottrina sociale della Chiesa per il XXI secolo, l’enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI fissa tre principi fondamentali relativi alla questione dell’immigrazione, che – sottolinea – è «di gestione complessa», comporta «sfide drammatiche» (n. 62) e non tollera soluzioni sbrigative.

1. Il primo principio è l’affermazione dei «diritti delle persone e delle famiglie emigrate» (ibid.). Una volta che è arrivato nel Paese di destinazione, il migrante deve vedersi riconosciuti i «diritti fondamentali inalienabili» (ibid.) e dev’essere sempre trattato come una persona, mai «come una merce» (ibid.).

2. Il secondo principio è che si devono ugualmente salvaguardare i diritti «delle società di approdo degli stessi emigrati» (ibid.): diritti non solo alla sicurezza ma anche alla difesa della propria integrità nazionale e della propria identità.

3. Il terzo principio riguarda i diritti delle società di partenza degli emigrati, che si deve porre attenzione a non svuotare di risorse e di energie, sottraendo loro con l’emigrazione persone che sarebbero utili e necessarie nel Paese di origine. Va sempre posta attenzione al «miglioramento delle situazioni di vita delle persone concrete di una certa regione, affinché possano assolvere a quei doveri che attualmente l’indigenza non consente loro di onorare» (n. 47): anzitutto dove sono nate, e senza essere costrette o indotte all’emigrazione. In occasione del viaggio del 2008 negli Stati Uniti Benedetto XVI aveva precisato: «La soluzione fondamentale è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare. Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella terra d’origine» (Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo diretto negli Stati Uniti d’America, del 15 aprile 2008).

Questi principi sono violati da due distinti atteggiamenti e ideologie. Il primo principio è negato dalla xenofobia – descritta e denunciata da Papa Giovanni Paolo II nel Messaggio per la 89a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2003, del 24 ottobre 2002 –, cioè dalla convinzione che l’altro, lo straniero è per definizione inferiore a chi abita da sempre il Paese di approdo dell’emigrazione e può essere quindi discriminato in quanto straniero. C’è una xenofobia rozza e talora semplicemente stupida, quella di chi scrive sui muri «Morte agli immigrati». E ce n’è una più scaltra e sottile, quella di chi sfrutta la diffusione di questi sentimenti per la manipolazione degli immigrati al servizio di strategie di potere economico – l’immigrato è considerato soltanto un lavoratore che costa meno – quando non criminale. Un certo «turbocapitalismo» davvero considera l’immigrato «come una merce» e non come una persona.

Il secondo e il terzo principio sono violati dall’immigrazionismo – l’espressione è stata coniata dal politologo francese Pierre-André Taguieff e ripresa dal giornalista statunitense Christopher Caldwell nel suo libro Reflections on the Revolution in Europe. Immigration, Islam and the West (Penguin, Londra 2009: il titolo è un omaggio alle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, il testo contro la Rivoluzione francese del 1789 di Edmund Burke, 1729-1797; trad. it.: L’ultima rivoluzione dell’Europa, Garzanti, Milano 2009) – cioè dall’ideologia secondo cui l’immigrazione è sempre e comunque un fenomeno eticamente e culturalmente buono ed economicamente vantaggioso, e negare che lo sia è di per sé manifestazione di xenofobia e di razzismo.
Sarebbe sbagliato sostenere che la xenofobia sia sempre «di destra» e l’immigrazionismo «di sinistra». C’è una sinistra – per esempio sindacale – che manifestando timori per la concorrenza degli immigrati sul mercato del lavoro assume toni xenofobi. E l’immigrazionismo ha una versione «di sinistra» e una «di destra». Nel suo libro Caldwell ricostruisce la genesi dell’immigrazionismo «di destra» in Europa, da Nicolas Sarkozy – peraltro più acceso sul tema da Ministro dell’Interno della Repubblica Francese e più moderato da presidente – a Gianfranco Fini.

C’è peraltro una differenza fra immigrazionisti di sinistra e di destra. I primi pensano che – per fare ammenda del passato coloniale e del presente neo-colonialista e imperialista – l’Occidente debba tollerare dagli immigrati comportamenti che non sopporterebbe mai dai suoi cittadini. La delinquenza e perfino il terrorismo degli immigrati sono visti dall’immigrazionista di sinistra con una certa indulgenza: dopo tutto, dirà, «li abbiamo sfruttati per anni», e se protestano in modo non precisamente compito «non è poi tutta colpa loro». L’immigrazionista di destra assicura che, se viola la legge, l’immigrato sarà trattato con la dovuta severità dalla polizia. «Tutti devono rispettare la legge», ripetono i Sarkozy e i Fini. Si può subito rispondere che questo è ovvio – solo l’ideologismo sfrenato dell’immigrazionista di sinistra suggerisce che qualcuno possa non rispettare la legge –: ma non è abbastanza. Un immigrato che non mette bombe nelle metropolitane, non brucia le automobili del quartiere e non picchia i poliziotti – ma nello stesso tempo vive e pensa secondo valori antitetici a quelli europei – è veramente una risorsa per l’Europa oppure rimane un problema?

Raramente la xenofobia è sostenuta da una elaborazione culturale, se non si vuole considerare tale il ritorno a vecchie teorie della razza da parte di qualche gruppuscolo neo-nazista. La xenofobia si combatte, come notava Papa Giovanni Paolo II nel documento citato, con il richiamo alla figura naturale e cristiana della persona creata, voluta e amata da Dio qualunque siano la sua etnia, la sua lingua e la sua nazionalità. Ci sono però dei «professionisti dell’anti-razzismo» che manipolano pericolosamente la lotta alla xenofobia sfruttandola per diffondere il relativismo culturale,cioè l’idea che tutte le culture sono uguali e che non esistono culture migliori o peggiori di altre. Questo «eclettismo culturale», che rischia di diffondersi anche a causa della globalizzazione che fa incontrare più spesso e più rapidamente le culture tra loro, sostiene – spiega la Caritas in veritate – che le culture sono «sostanzialmente equivalenti» (n. 26). Questa è un’opinione molto diffusa, ma è pure il cuore stesso del relativismo, che la Chiesa non può accettare. Le culture non sono affatto tutte dello stesso valore. Vanno giudicate alla luce della loro capacità di servire il bene comune e i veri diritti della persona, che non tutte le culture rispettano nello stesso modo. Una cultura fondata sulla poligamia e una fondata sul matrimonio monogamico non sono «equivalenti». Alla luce non solo della religione ma anzitutto del diritto naturale, che s’impone a tutti sulla base della ragione, la poligamia è sbagliata e la monogamia è giusta. Sono affermazioni poco «politicamente corrette», ma che vanno assolutamente mantenute se si vogliono difendere i diritti della verità ed evitare di promuovere il relativismo.

A differenza della xenofobia, l’immigrazionismo è sostenuto da argomenti di notevole impegno intellettuale. Non sarebbe dunque giustificata nell’esame del problema una par condicio nel criticare le due deviazioni – xenofobia e immigrazionismo – dai principi che la dottrina sociale fissa in tema d’immigrazione. Dal punto di vista intellettuale l’immigrazionismo è più insidioso, rischia di essere più persuasivo e dunque richiede una confutazione più articolata.

  1. Le cinque tesi dell’immigrazionismo

La propaganda immigrazionista si fonda su cinque tesi fondamentali, che è opportuno esaminare e confutare una per una.

1. La prima tesi è di carattere quantitativo. Sostiene che in Europa, dopo tutto, gli immigrati sono ancora una minoranza e l’allarmismo è ingiustificato. Echi di questa tesi si trovano, per esempio, nel rapporto Caritas/Migrantes Immigazione Dossier Statistico 2009. XIX Rapporto (IDOS, Roma 2009), che – se fornisce dati utili, che tutti utilizziamo e per cui siamo grati ai compilatori – è caratterizzato nei commenti da una buona dose d’immigrazionismo. Gli immigrati regolari (esclusi dunque i clandestini) secondo questo rapporto in Italia sono 4.330.000. La cifra – si dice – può essere considerata alta da chi vede il bicchiere mezzo vuoto. Ma per l’ottimista che lo vede mezzo pieno gli immigrati sono meno del dieci per cento dei circa sessanta milioni di residenti sul territorio italiano. E il dato è analogo per l’Unione Europea nel suo insieme: cinquecento milioni di cittadini, cinquanta milioni d’immigrati. Ci sarebbe dunque posto per tutti. Il problema, però, è che questo ragionamento guarda al dato sugli immigrati come a una fotografia. Ma l’immigrazione è un processo, e dunque è necessario guardare non alla fotografia o al singolo fotogramma ma al film. Ci sono delle bellissime e artistiche fotografie di un uomo che corre. Ma non ci dicono quando è partito, in che direzione corre e dove pensa di arrivare. Così – stando sempre ai dati Caritas relativi agli immigrati regolari – questi erano 2.670.514 nel 2005 e appunto 4.330.000 alla fine del 2008. Proiettando semplicemente il dato – e guardando appunto il decorso nel tempo, il film e non solo la fotografia – ci si accorge che saranno più che raddoppiati in cinque anni, dal 2005 al 2010. Ed erano già raddoppiati, da 1,3 a 2,6 milioni, dal 2003 al 2005. A questi ritmi nel 2030 ci sarebbero in Italia dodici milioni d’immigrati regolari, venti milioni nel 2050. Ed è un film già visto altrove: in Olanda, su tredici milioni di residenti, oltre tre milioni sono immigrati extra-comunitari, e questi sono un milione e mezzo su nove milioni di residenti in Svezia.

Naturalmente, questi dati li conoscono anche gli immigrazionisti. Rispondono invitandoci a un duplice atto di fede: dovremmo credere che in futuro ci saranno meno immigrati, e meno figli di immigrati nati nei nostri Paesi. Sul primo punto, battono la grancassa su dati ampiamente pubblicizzati secondo cui il sovraffollamento demografico è un fenomeno che va sparendo in tutto il mondo. Ma dimenticano che il sovraffollamento demografico non è l’unica ragione che spinge a emigrare. Per limitarsi a un esempio semplice – che presento solo come una prima approssimazione, perché in realtà le concause in gioco sono molte – in molti Paesi dell’Europa dell’Est non c’è nessuna esplosione demografica, anzi ci sono problemi di denatalità. Tuttavia si continua a venire in Italia, non perché non ci sia spazio a casa propria ma perché si vede la televisione italiana e ci si convince, a torto, che il nostro è il Paese di Bengodi dove ci si può arricchire rapidamente.

Quanto al secondo punto, è vero che le seconde e le terze generazioni, per esempio, di marocchini venuti in Italia iniziano a essere influenzate dal clima culturale e morale italiano e a limitare il numero dei figli. Ma questo rimane comunque più alto di quello degli italiani «nativi», e del resto continuano ad arrivare immigranti di prima generazione le cui abitudini demografiche rimangono per un certo periodo di tempo quelle del Paese di origine. Non vi è dunque nessuna certezza che il tasso di crescita dell’immigrazione diminuirà in futuro. E nessun Paese del mondo può permettersi le percentuali d’immigrati che si profilano all’orizzonte italiano ed europeo.

Gli esempi degli Stati Uniti o dell’Australia, invocati dagli immigrazionisti, non sono pertinenti, perché questi sono Paesi composti quasi interamente da immigrati. A meno di non considerare «americani» solo gli indiani e «australiani» solo gli aborigeni. A quel punto avrebbe ragione quel manifesto, per molti versi geniale, della Lega che mostra l’immagine di un pellerossa con lo slogan: «Loro hanno subito l’immigrazione. Ora vivono nelle riserve. Pensaci!».

2. Secondo argomento: accogliere grandi quantità d’immigrati, si dice, è un imperativo morale. Lo affermano politici di sinistra e (talora) di destra, e anche ecclesiastici. Si afferma che questo è il contributo moralmente obbligatorio dell’Unione Europea – anche come penitenza per i peccati del colonialismo – per risolvere i problemi della fame del mondo e del sottosviluppo. Ma, a prescindere dal fatto che presentare il colonialismo come soltanto dannoso e malvagio è piuttosto unilaterale e storicamente discutibile, non c’è nessuna prova convincente che sia meno costoso per l’Europa e più proficuo per il Terzo Mondo trasferire da noi milioni d’immigrati extra-comunitari piuttosto che destinare le stesse risorse ad aiutarli nei loro Paesi d’origine. Ci sono anzi fondati indizi del contrario. Chi afferma che molti immigrati sono ottimi candidati alla cittadinanza ci racconta spesso quanti geni dell’informatica, ottime infermiere e bravi medici vengono dai Paesi del Terzo Mondo. Ma non riflette sul costo etico costituito dal fatto che così facendo si sottraggono ai Paesi d’origine proprio quelle élite che sarebbero loro indispensabili per uscire dal sottosviluppo. L’infermiera ugandese che viene in Italia è sottratta all’Uganda, dove servirebbe come il pane per combattere le epidemie.

Un argomento etico molto usato anche in Italia si riferisce al diritto d’asilo. Tuttavia questo diritto è di rado definito in modo rigoroso, e talora è ridotto a una semplice farsa. Chiunque non si trovi bene in un Paese non democratico o sia vittima di gravi sperequazioni economiche avrebbe diritto a chiedere asilo politico – in una parola, la stragrande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo avrebbe questo diritto.

Al contrario, c’è un argomento etico per opporsi all’immigrazionismo, fondato sul rispetto dei diritti delle maggioranze, non meno importanti di quelli delle minoranze. La maggioranza dei cittadini dell’Unione Europea nei sondaggi e anche nelle elezioni si dichiara contraria ai progetti immigrazionisti. Nonostante l’opinione maggioritaria dei cittadini europei, questi progetti continuano a essere trasposti nelle leggi di molti Paesi. Il fatto che il parere della maggioranza degli elettori sia ignorato non crea forse un problema alla democrazia?

3. Il terzo argomento degli immigrazionisti è di tipo economico. Questa tesi è talora ripetuta acriticamente anche da critici dell’immigrazione. Si dice che l’Europa, a causa della denatalità, ha bisogno d’immigrati – non importa provenienti da dove –: e in ogni caso ci sono «lavori che nessun europeo vuole più fare» e che possono essere svolti solo dagli immigrati. È vero, l’Europa ha un drammatico problema demografico e le cifre sono ormai quelle tipiche di civiltà moribonde. Ma non è certo che l’aumento indiscriminato degli immigrati sia la soluzione, per tre principali motivi.

In primo luogo, gli immigrati extra-comunitari, con i loro bassi salari, spesso tengono in vita temporaneamente posti di lavoro comunque destinati a sparire. Questo accanimento terapeutico non è necessariamente salutare per l’economia. L’industria tessile del Nord della Francia e una buona parte della siderurgia in Germania avrebbero perso comunque la grande maggioranza dei loro posti di lavoro alla fine del XX secolo per ragioni indipendenti dal calo demografico: a causa del progresso tecnologico e della disponibilità di prodotti a costi minori provenienti dalla Cina. Questi posti di lavoro – che non avrebbero potuto essere conservati al salario normale di un operaio francese o tedesco – sono sopravvissuti per qualche anno grazie all’impiego d’immigrati sottopagati. Ma alla fine le officine hanno comunque chiuso. Tenerle in vita artificialmente per qualche anno è stato possibile grazie agli immigrati. Ma i costi hanno superato i benefici. Sarebbe stato meglio chiuderle prima.

In secondo luogo, i «lavori che nessun europeo vuole» sono spesso «lavori che nessun europeo vuole se il salario non è attraente». Esistono pochissimi lavori che gli europei si rifiutano di fare «qualunque sia il salario». La verità è un’altra: ci sono datori di lavoro che preferiscono impiegare per certi lavori gli immigrati, i quali costano meno. Questo altera e distorce il mercato del lavoro, e viola i diritti dei cittadini disoccupati che si vedono passare davanti immigrati disposti a lavorare a basso costo. Si assiste al paradosso per cui in alcuni Paesi, mentre aumenta la disoccupazione, aumenta contemporaneamente anche l’immigrazione.

Per amore di equità, si deve peraltro riconoscere che non tutto in questo argomento degli immigrazionisti è falso. Ci sono settori dove effettivamente senza gli immigrati i problemi almeno a breve termine sembrano di difficile soluzione: il caso delle badanti in Italia sembra, qui, pertinente. Ma l’esempio può essere occasione di distinguere fra immigrati extra-comunitari e intra-comunitari. Su cinquecento milioni di residenti nell’Unione Europea, come accennato, cinquanta milioni sono immigrati. Ma di questi circa venti milioni sono abitanti di un Paese dell’Unione che si sono spostati in un altro. Benché, come sanno gli italiani, questi spostamenti non siano privi di problemi, l’immigrazione intra-comunitaria è di norma più facile da assorbire di quella extra-comunitaria per ragioni giuridiche e anche culturali. Dopo tutto, ci sono molte badanti romene e poche marocchine, cinesi o tunisine.

4. Il quarto argomento degli immigrazionisti è sociale. Sempre a causa della natalità (e naturalmente del fatto che grazie ai progressi della medicina si vive più a lungo), il welfare europeo è in profonda crisi. Per dirla semplicemente, ci sono troppi pochi giovani e troppi vecchi, troppi pochi lavoratori che sostengono con i loro contributi gli enti previdenziali e troppi pensionati. In alcune zone d’Europa in cinquant’anni si è passati da una situazione dove una media di quattro lavoratori sosteneva un pensionato a una dove per ogni pensionato ci sono solo due lavoratori. Di qui la presunta idea geniale dei teorici immigrazionisti: niente paura, ci penseranno gli immigrati extra-comunitari. I due lavoratori che mancano all’appello perché ogni pensionato sia di nuovo sostenuto da quattro pagatori di contributi li importiamo dal Marocco o dal Pakistan. Anche il citato rapporto Caritas/Migrantes 2009 insiste su questo punto: gli immigrati (regolari) sono un buon affare per il welfare perché danno agli enti previdenziali più di quanto ricevono.

Ma le cose non stanno proprio così. Ancora una volta ci si propone una fotografia, mentre per capire abbiamo bisogno di un film. Sarà forse una novità per qualche immigrazionista, ma dovrà farsene una ragione: anche gli immigrati invecchiano e un giorno diventeranno pensionati. In Italia l’immigrazione è un fenomeno relativamente recente e gli emigrati pensionati sono pochi. Ma sono destinati fatalmente ad aumentare. Gli immigrati inoltre di solito hanno lavori poco remunerati, dunque pagano contributi relativamente bassi. Uno studio dettagliato sulla Spagna citato da Caldwell nel suo libro mostra che in cinquant’anni, aumentando del 50% il numero degli immigrati extra-comunitari, le entrate degli enti previdenziali crescono solo dell’8%. Inoltre, fin da subito, sia loro sia i loro figli hanno come chiunque problemi di salute di cui la previdenza sociale si deve fare carico.

Una soluzione, per la verità, ci sarebbe, e qualcuno (non in Italia) l’ha anche seriamente sostenuta, senza neppure farsi dare del nazista: considerare gli immigrati «lavoratori ospiti» e rimandarli a casa quando hanno finito di lavorare, far pagare i contributi oggi ma non versare alcuna pensione domani. La soluzione provocherebbe tensioni tali da non potere essere presa davvero in considerazione da nessuno. E manderebbe anche alla rovina qualunque argomento etico degli immigrazionisti.

5. C’è un quinto argomento, che per la verità gli immigrazionisti esprimono raramente ad alta voce. Ma il loro discorso lo presuppone. È la tesi che la religione degli immigrati sia indifferente. Ogni tanto qualcuno lo dice esplicitamente: siamo laici, e dobbiamo affrontare il problema immigrazione senza tenere conto della religione, di cui potrà occuparsi al massimo la Chiesa. Ma si tratta di una sciocchezza. Anche il più ateo degli osservatori non può non riconoscere che la religione esiste e ha delle conseguenze sociali. Se a Torino, come avviene periodicamente, migliaia di peruviani portano in processione le loro statue della Madonna la gente applaude e i giornalisti manifestano una benevola curiosità. Se migliaia di musulmani occupano il suolo pubblico con le loro stuoie e magari mescolano alla preghiera invettive contro gli Stati Uniti e l’Occidente la gente e i media si spaventano. Denunciare queste reazioni come xenofobe non risolve il problema. Certamente – anche tra gli immigrati – ci sono molti islam, e alcuni sono meno lontani dai valori prevalenti in Europa di altri. Ma se da questa premessa – corretta – si arriva alla conclusione che non esistono caratteristiche specifiche dell’islam si cade nel più completo relativismo, forse di moda in un contesto culturale postmoderno ma privo di senso. Esistono gli islam ma esiste anche l’islam. Che è difficile assimilare alla cultura europea su punti fondamentali che riguardano i rapporti fra fede e ragione, fra religione e violenza, fra maggioranze e minoranze religiose, fra uomini e donne.

Certo, processi di assimilazione d’immigrati islamici, singoli e gruppi, non sono impossibili. Ma in verità nessuna civiltà nella storia è riuscita a fronteggiare senza esserne distrutta l’arrivo in così poco tempo di così tante persone portatrici di una cultura e di una religione sia radicalmente diverse sia forti. Diverso era il caso dei barbari, che portavano in Europa una cultura debole; o degli irlandesi emigrati nel XIX secolo negli Stati Uniti il cui cattolicesimo era diverso dal protestantesimo maggioritario in America: ma non così radicalmente diverso com’è l’islam rispetto all’ethos europeo contemporaneo.

C. Leggi immigrazioniste: l’ora di religione islamica e la cittadinanza breve

Il 30 luglio 2009 gli onorevoli Fabio Granata (PDL) e Andrea Sarubbi (PD) – al dire della stampa, longa manus rispettivamente degli onorevoli Gianfranco Fini e Massimo D’Alema – hanno presentato una proposta di legge (n. 2760) dal titolo Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza. Tra le diverse modifiche legislative proposte, tutte all’insegna di percorsi più facili perché gli immigrati possano ottenere la cittadinanza italiana, la norma saliente che si propone d’introdurre riduce da dieci a cinque anni il tempo di permanenza sul territorio nazionale che consentirebbe, previo un semplice esame di lingua e di educazione civica, di diventare cittadini italiani. Il 16-17 ottobre 2009 ad Asolo (Treviso) la Fondazione FareFuturo, che fa capo all’on. Fini, e la fondazione Italianieuropei, che fa capo all’on. D’Alema, hanno presentato un rapporto – firmato peraltro dalla sola Fondazione FareFuturo – dal titolo Immigrazione integrata e cittadinanza di qualità. Un contributo alla definizione delle politiche migratorie (FareFuturo, Roma 2009). Vi si espongono argomenti a sostegno della proposta di legge Granata-Sarubbi e si lancia l’ulteriore proposta dell’introduzione di un insegnamento della religione islamica nelle scuole italiane, rilevando in via generale – non senza una frecciata anche in direzione delle scuole cattoliche – che «la strada dell’insegnamento facoltativo delle religioni nelle scuole pubbliche, statali e non statali, che garantiscono la qualità dell’interno percorso formativo, è certamente preferibile alle presenza di scuole specifiche a fondamento religioso, che nel nostro contesto rischiano di diventare alternative e contrastanti, fonte di esclusione e di contrasto» (p. 52). Esaminerò brevemente il tema dell’ora di religione islamica e quello della cittadinanza breve, non solo perché sono di attualità ma anche perché sono esempi particolarmente chiari di applicazione pratica dell’ideologia immigrazionista.

1. Ci sono due buoni motivi per respingere la proposta di un’ora di religione islamica nelle scuole italiane. Anzitutto, perché l’ora di religione islamica e non quella ortodossa o Testimone di Geova? E’ possibile che, se parliamo non di origine religiosa ma di contatto più o meno regolare con istituzioni religiose organizzate, queste comunità siano più numerose degli islamici in Italia. I Testimoni di Geova (contati come li contano i sociologi in analogia a ogni altra comunità religiosa, non come si contano loro stessi, che considerano «testimone» solo chi svolge opera di proselitismo suonando alle porte) in Italia sono 400.000 e gli ortodossi – in maggioranza immigrati – almeno mezzo milione, mentre del milione e più d’immigrati di origine islamica è difficile dire quanti mantengano un contatto con la loro religione. Con la crescita della diversificazione religiosa tra un po’ non si potrebbe negare neppure l’ora di religione pentecostale (350.000 fedeli se si considerano gli immigrati), seguita da quella buddhista, sikh, induista e così via. A parte i problemi organizzativi – sarebbe interessante chiedere al ministro dell’Economia on. Giulio Tremonti che cosa pensa dell’idea di pagare con soldi dello Stato centinaia d’insegnanti d’islam, buddhismo e così via – ne risulterebbe una Babele e un supermercato delle religioni. Costituzionalizzando con il Concordato l’ora di religione il legislatore ha voluto riconoscere il ruolo della tradizione cattolica – senza la quale è difficile capire in Italia l’arte, la cultura, la letteratura – nella nostra storia e nel nostro ethos nazionale, non dare a tutti i ragazzi che vivono in Italia la possibilità di trovare a scuola la «loro» religione. L’insegnamento di religioni diverse dalla cattolica è del resto liberamente impartito fuori della scuola.

Secondo: chi gestirebbe l’ora di religione islamica? Tutti i governi, di destra e di sinistra, in Italia ma anche in Francia, in Belgio e in Spagna hanno provato a trovare un interlocutore musulmano unico e rappresentativo. Nessuno ci è riuscito. L’islam (sunnita: quello sciita è un po’ diverso, ma in Italia è pressoché assente) è una religione orizzontale, non verticale: non ha un Papa, non ha vescovi, a rigore non ha neppure parroci. Gli imam sono scambiati per vescovi islamici solo in Italia, grazie ai talk show televisivi. Non sono neppure l’equivalente dei parroci, e nei Paesi musulmani a nessuno verrebbe in mente di considerarli i «capi» dell’islam. Da noi sì, grazie a Porta a porta; ma si tratta di un equivoco. In Francia è viva la discussione su come lo stesso Consiglio francese del culto musulmano (CFCM), costituito dall’allora Ministro dell’Interno Sarkozy per dare allo Stato un interlocutore islamico, nella sostanza non funzioni. Da una parte, per presentarsi come rappresentativo, ha dovuto includere le organizzazioni più fondamentaliste – che lentamente ne stanno prendendo il controllo, proprio quello che Sarkozy non voleva –, dall’altra le liti fra musulmani, e fra i governi che li finanziano (Algeria contro Marocco, Arabia Saudita contro Maghreb), ne paralizzano il funzionamento. Stabilita l’ora di religione islamica anche in Italia occorrerebbe trovare chi impartisca le lezioni. Se fosse l’organizzazione più grande, l’UCOII, l’Unione delle Comunità e Organizzazione Islamiche in Italia (che peraltro si è detta non interessata), che affonda le sue radici nel pensiero fondamentalista, avremmo la scuola di fondamentalismo islamico finanziata dallo Stato. Se non fosse l’UCOII questa – che, piaccia o no, controlla ancora la maggioranza delle moschee italiane (nonostante pregevoli sforzi per creare alternative) – avrebbe ragioni di dire che gli insegnanti non sono rappresentativi, sono «musulbuoni», «sindacalisti gialli dell’islam» o «zii Tom», come va già dicendo per qualunque iniziativa che non la ricomprenda.

Ora di religione islamica a scuola in Italia? Per dirla con l’ispettore Clouseau nel film La pantera rosa «c’è una sola cosa che non va in questa idea: è stupida».

2. Quanto alla cittadinanza breve, la proposta si basa su una confusione fondamentale. La cittadinanza è il cuore – delicatissimo – della nazione. Se per ipotesi paradossale si trasferisse in una nazione in qualche mese un numero di stranieri superiore a quello dei cittadini, e se questi stranieri fossero dichiarati cittadini mettendo in minoranza i «nativi», la nazione – che è ben più di un semplice spazio geografico – cesserebbe di esistere. Certo, è possibile cambiare nazionalità. Ma questa modifica non è creata: è riconosciuta dalla legge. Lo Stato, cioè, prende atto che Tizio che vive in Italia da tanti anni, parla da italiano, pensa da italiano ormai è italiano. Perché il processo sia completo e non ambiguo Tizio dovrebbe, vedendosi riconosciuta la cittadinanza italiana, rinunciare alla sua cittadinanza di origine. L’idea che si potesse avere due cittadinanze era una facilitazione pensata anzitutto per gli italiani d’altri tempi emigrati all’estero. Non dovrebbe avere più ragione di esistere oggi: non c’è in Paesi come la Germania e l’Olanda, mentre c’è nella nostra legge vigente e c’è nella proposta Granata-Sarubbi. Se Tizio si sente italiano, lo dimostri anzitutto rinunciando a ogni altra cittadinanza.

Riconoscere la cittadinanza è la fine di un processo d’integrazione o assimilazione: non è il suo inizio. La proposta Granata-Sarubbi confonde appunto l’inizio e la fine del processo. Concede subito la cittadinanza nella speranza che questa concessione faciliti una successiva integrazione. Gli immigrati moderni – spesso estremamente mobili, pronti a scrutare le condizioni migliori e a studiare il mercato del lavoro per trasferirsi da un Paese all’altro o tornare a casa – raramente dopo cinque anni di soggiorno in Italia hanno cambiato così radicalmente mentalità da non sentirsi più né essere considerati dai loro vicini cinesi, marocchini o nigeriani ma soltanto e a tutti gli effetti italiani. La proposta di legge dunque nasce vecchia, perché pensa a un antico tipo d’immigrato, quello che partiva con il piroscafo per l’America e sapeva bene che non si sarebbe più spostato né sarebbe tornato. Ed è vecchia anche perché – mentre lo studio scientifico dell’immigrazione sempre di più sottolinea che l’integrazione è un fatto qualitativo – dichiara l’immigrato integrato fino al punto da farne un cittadino sulla base del dato puramente quantitativo dei cinque anni di soggiorno. Sugli esami di lingua ed educazione civica non è lecito farsi troppe illusioni in Italia – dove rischierebbero di essere… «all’italiana» –, e nella stessa Gran Bretagna persone poi protagoniste di episodi di terrorismo avevano agevolmente passato esami analoghi. O davvero ci s’immagina che alla domanda dell’esaminatore «Lei è d’accordo con la Costituzione?», qualcuno risponda: «No, io sono d’accordo con Osama bin Laden, viva Al Qa’ida»?

Su una materia così delicata e cruciale come la cittadinanza, davvero è meglio queta non movere, andare con i piedi di piombo e semmai sbagliare per eccesso di prudenza. Del resto nel momento in cui l’Italia vuole allargare le maglie della cittadinanza la Gran Bretagna, che ha avuto le sue esperienze tragiche, nel luglio 2009 ha reso la legge in materia più restrittiva.

D. Che fare?

Lo abbiamo sentito dal Papa all’inizio del nostro discorso: la questione dell’immigrazione è complessa, nessuno ha la bacchetta magica, non ci sono soluzioni miracolistiche o ad horas. Tuttavia, proprio seguendo Benedetto XVI, si possono indicare tre piste per cominciare almeno ad affrontare il problema.

1. La prima è il governo dell’immigrazione. Nessuno Stato europeo oggi – a fronte delle cifre della denatalità – può pensare di «abolire» l’immigrazione, e nessuna forza politica può ragionevolmente chiederglielo, a meno che si tratti di pura demagogia elettorale. Tuttavia l’immigrazione può e deve essere governata. Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2241 insegna che «le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche». Le autorità che rinunciano a governare l’immigrazione non sono buone, ma buoniste, e vengono meno ai loro doveri verso il bene comune.

2. La seconda è la riaffermazione della propria identità culturale. L’immigrazione sgretola le società soprattutto quando non vi trova un’identità forte. L’Europa oggi, dopo avere rinunciato alle radici cristiane tante volte richiamate da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, è talmente immersa nel relativismo da non avere affatto le idee chiare su quale cultura voglia difendere e proporre agli immigrati. In Olanda qualcuno ha deciso di proporre ai nuovi immigrati i «valori olandesi» riassunti in un video che devono obbligatoriamente vedere. Vi si vedono, tra l’altro, due omosessuali che si scambiano effusioni in pubblico e una bagnante in topless. Non è certo che la maggioranza degli olandesi si riconosca in questi valori. Per contro, è certissimo che il video confermerà gl’immigrati musulmani nel loro sentimento di superiorità rispetto all’Occidente decadente. In altri Paesi i corsi sulla cittadinanza proposti agl’immigrati esaltano il presunto diritto all’aborto. È evidente che non si tratta di temi intorno a cui una persona sensata può pensare di costruire un’immagine «forte» dell’Europa o delle sue radici, o di rabbonire immigrati musulmani già di per sé convinti della superiorità morale dell’islam. Vengono in mente le parole del poeta francese Charles Péguy (1873-1914) – che pure scriveva nel 1910 e non aveva conosciuto Antonio Di Pietro e le sue inchieste giudiziarie, dette appunto «Mani pulite» – secondo cui c’è una posizione diffusa che «ha le mani pulite ma non ha mani». Non ha mani chi non ha identità né radici. Ma chi non ha mani non può neppure stringere le mani altrui nel dialogo.

3. La terza pista è molto poco «politicamente corretta». Eppure non si può rinunciare a citarla. La differenza di religione, lo abbiamo visto, è un pericoloso fattore di disintegrazione sociale. Al contrario, la conversione religiosa è un fattore d’integrazione. Ci sono pregevoli studi sulle popolazioni romaní – la più nota delle quali è quella rom, e di cui sono note le difficoltà d’integrazione – secondo cui tra coloro che frequentano assiduamente le missioni cattoliche o protestanti – queste ultime in maggioranza pentecostali – il tasso di criminalità, purtroppo in questi gruppi piuttosto alto, scende rapidamente e in modo significativo. Una volta – e per la verità ancora oggi – eravamo tutti sollecitati a dare il nostro obolo perché i missionari potessero andare a convertire gli africani in Africa. Oggi che gli africani vengono da noi, e sembrerebbe che il missionario non debba più neppure scomodarsi ad andarli a cercare, c’è – purtroppo perfino fra il clero – chi curiosamente sostiene che non si deve cercare di convertire gli immigrati perché sarebbe irrispettoso, maleducato o etnocentrico. Pentecostali protestanti e Testimoni di Geova sul punto ci danno una lezione: fanno molta missione presso gli immigrati, anche musulmani, e ne convertono un certo numero. Libertà religiosa e dialogo da una parte e annuncio dall’altra non sono in contraddizione, anzi vanno insieme. Insegna Benedetto XVI ancora nella Caritas in veritate: «La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (n. 55). Se non sono uguali, annunciare la verità della religione cattolica all’immigrato significa volere il suo bene, e anche favorirne l’integrazione. Chi considera questa prospettiva inopportuna o di cattivo gusto è relativista. Ed è il relativismo il vero motore dell’immigrazionismo: un’ideologia arrogante, intollerante e pericolosa che irrita le maggioranze e prepara la strada precisamente a quella xenofobia che vorrebbe evitare.