venerdì 29 maggio 2009

Dai comunisti ai «pop brezneviani», ecco la ex sinistra (click)

L’unica cosa certa – oggi – ripercorrendo l’orgia di parole del tempo in cui tutti si chiedevano come sarebbe stata la nuova stagione che si annunciava, è che invece stava finendo una grande storia. Oggi si può dire senza dubbio che il salvataggio non ha avuto l’esito sperato, e la parola «sinistra» ha ceduto il passo a un aggettivo – «democratico» – che gli stessi protagonisti di quella Svolta, all’epoca, consideravano poco meno che una bestemmia. Il Partito democratico non è arrivato come un traguardo, ma come una resa, o un tentativo di lifting. Non ha prodotto la leadership di una nuova generazione, ma il ricongiungimento con un’altra storia di «post», senza più storia. L’unica differenza fra i post-comunisti alla Veltroni e i post-democristiani alla Franceschini è che i primi si vergognano del proprio passato, e gli altri no.

Questo singolare almanacco di paradossi e di idoli infranti, per i leader del centrosinistra, dovrebbe se non altro rappresentare il segnale che qualcosa di profondo non va: è diventato, invece, una delle altre grandi rimozioni del loro dibattito politico. Dopo quattordici anni di battaglie elettorali sempre e comunque drammatiche (fra le politiche del 1994 e quelle del 2008), è che qualunque postcomunista si sia candidato alla guida del Paese – da Achille Occhetto, a Massimo D’Alema, da Piero Fassino (sia pure in tandem) a Walter Veltroni – è stato sconfitto. Tre coincidenze, scriveva Agatha Christie, fanno un indizio. E in questo caso forse può aiutare il fatto che lo stesso sia accaduto a Francesco Rutelli. Nessuno aveva capito – in quel giorno di jacquerie – che insieme alla storia del comunismo si stava rottamando anche quella del socialismo italiano. E che anche questo ennesimo parricidio (dopo il proprio, anche quello del padre degli altri) avrebbe lasciato un vuoto incolmabile. Anche questo epilogo era già inscritto nella storia del 1989, nel dialogo tra sordi, incompiuto e impossibile, tra Bettino Craxi e Achille Occhetto.
La cosa più difficile da spiegare è come sia potuto accadere che tutti e quattro i leader messi in campo dalla sinistra (o da quel che ha preso il suo posto) dopo il 1989, siano stati tutti sconfitti dalla stessa persona: un imprenditore catodico nato prima della Seconda guerra mondiale che di nome fa Silvio Berlusconi. Una delle prime barzellette che finirono nell’archivio del Kgb, quando l’ironia in Unione Sovietica divenne improvvisamente un efferato reato, fu quella che suonava così: «Un giudice si piega in due dal ridere. Un collega gli chiede cosa c’è di così buffo. “Ho appena sentito la storiella più divertente della mia vita”, gli risponde divertito il giudice.

“Raccontamela”, lo prega il collega. E il giudice: “Non posso! Ho appena condannato un tizio a cinque anni di lavori forzati per averlo fatto...”». Ecco, quando sento parlare molti dirigenti del Pd mi viene in mente quel geniale apologo. Il fondatore del Pds – Achille Occhetto – da molto tempo non fa più parte di quel partito, e tantomeno è entrato in quello nuovo che ha preso il suo posto, tra amarezza, rancori e polemiche. È un paradosso: ma loro non ne hanno mai parlato. Hanno derubricato e rimosso. Parlarne significherebbe prendere atto che lo hanno adulato prima e accoltellato poi, e questo non è carino. Altrettanto curiosamente, anche Romano Prodi, fondatore del partito che ha sostituito i Ds – il Pd – si è dimesso a sua volta dalla carica di presidente: e ovviamente anche lui tra amarezza, rancori, e polemiche. È incredibile: ma neanche di questo si è mai discusso, nel Pd. Farlo, avrebbe comportato prendere atto che fino al giorno prima della sua caduta Prodi era considerato un grande statista, e che un attimo dopo è stato degradato a un re Tentenna, debole e incapace. E anche questo, ovviamente, non è carino.

L’ultimo archiviato è stato Walter Veltroni. Era stato acclamato, persino dai suoi peggiori nemici, come un salvatore della patria. Si è dimesso una mattina, con una conferenza stampa tenuta nella cornice suggestiva del Tempio di Adriano, e da quel giorno su di lui non si è più ragionato. Farlo avrebbe voluto dire che è stato considerato un sindaco geniale, e subito dopo un leader inetto e vocato alla fuga. E quindi nemmeno questo era carino. Meglio non pagare mai il conto, e contrarre nuovi “debiti”. Dopo aver sentito un discorso bello ed elusivo, quello dell’addio di Veltroni, ero rimasto a contemplare le lacrime dei suoi fedelissimi e dei suoi Bruto, tutti in prima fila e assolutamente indistinguibili, e ho temuto che presto anche il suo erede potrà subire un trattamento analogo: tumulazione e rimozione, e un conseguente nuovo debito di analisi, acceso a spese della verità.

Questo avvicendarsi di incoronazioni e giubilazioni io lo chiamo “pop-breznevismo”. Perché nella mancanza di una dialettica democratica, esplicita, ancora oggi i postcomunisti e i loro eredi vivono con fatica l’idea che in un partito ci possano essere maggioranze e opposizioni: scomparso il comunismo, un unanimismo di sapore quasi brezneviano (molto più forte e ipocrita di quello che si respirava nell’ultimo Pci) è diventato il costume di un intero gruppo dirigente. Scomparso il comunismo, i suoi epigoni – proprio come l’homo sovieticus perfettamente immortalato da Berlinguer – non dicono mai la verità, e producono caramelle che rimangono attaccate all’incarto. Dicono che non sono più comunisti, e addirittura che non lo sono mai stati: eppure, nella loro vita interna, non sono mai riusciti a propiziare una sfida fra alternative chiare, un duello fra programmi e leader come avviene in tutti i partiti progressisti del mondo. Non c’è stato congresso, dal 1991 a oggi, che si sia aperto senza che se ne conoscesse già l’esito. Il rito del centralismo antidemocratico ha lasciato il posto a quello delle acclamazioni. Si sono spartiti il potere come i Borgia: fra complotti e pugnalate, sempre negando il conflitto e sempre sperando di poter concordare con il più odiato avversario politico cosa avrebbero dovuto fare vincitori e vinti. Tra un colpo di stiletto e uno scappellotto paternalista. Sempre cooptando il nemico con le regole della prossimità familistica, mai sfidando l’avversario con quelle della democrazia.

di Luca Telese

giovedì 28 maggio 2009

Contare sempre di più in europa significa dare più forza all'Italia e costruire un'Europa più forte e più sicura, per il bene del nostro popolo.<br/>Elezioni europee 2009, sabato 6 giugno e domenica 7 giugno metti un X sul simbolo "Il Popolo della Libertà" e scrivi Berlusconi.
www.forzasilvio.it

martedì 26 maggio 2009

E VISSERO FELICI E CONTENTI...


Quando sento parlare i grandi della terra come si usa impropriamente dire, mi sorge il dubbio che tanto grandi non siano se riescono a dire una valanga di stupidaggini da far ridere i polli.

Netaniahu va da Obama e cosa gli dice l'uomo piu' importante della terra? Il Presidente della piu' grande potenza del mondo? Gli dice la frase piu' disgustosamente retorica, stupida e falsa che bocca umana possa pronunciare riferendosi al Medio Oriente:

"Israele e i palestinesi dovranno vivere fianco a fianco, in pace e sicurezza!"

"Side by side in peace and security".

E da Israele e' partita una gran risata. 5 milioni e rotti di risate.

Fianco a fianco, in pace e sicurezza? Peace and Security?

Ma dove, ma quando, ma come?

Ma mister Obama lei sa quello che dice? Non si tratta di una favola, Mister Obama, non e' una storiella cui nemmeno le sue figlie crederebbero, e' una cosa seria, e' la sopravvivenza di Israele in gioco.

La fine della storia, la nostra storia, non sara' "e vissero felici e contenti" se voi grandi non cambierete atteggiamento nei confronti dei palestinesi e della Lega Araba. La storia, la nostra storia, finira' ancora una volta in tragedia e noi abbiamo gia' dato a sufficienza, glielo posso assicurare.

Mister Obama, con tutto il mio rispetto e la mia simpatia, lei non puo' raccontare barzellette sulla tragedia di due popoli, si, dico due popoli perche' , per colpa di un mostro di nome Arafat che ha reso la sua anima al demonio solo nel 2004, nemmeno i palestinesi si sono divertiti in questi ultimi 60 anni. I palestinesi soffrono, come noi, da Arafat in giu', perche' nemmeno Abu Mazen scherza in prefidia e quell'altro laggiu' a Gaza, Hannaye', che vive ammazzando palestinesi, rubando ai palestinesi, tenendoli in ostaggio tanto e' sicuro che il mondo da la colpa a Israele e ne approfitta esattamente come faceva il Mentore di tutti i mostri, l'Arraffa di cattiva memoria.

Mister Obama, come dovrei chiamarla, Hussein o Barak? Dipende?

Mister Obama, i palestinesi vogliono la pace e la sicurezza , peace and security, eliminando Israele e lo dicono chiaro e tondo. Possibile che lei non lo capisca? Possibile che nemmeno il Santo padre lo abbia capito quando e' venuto qui a dissertare contro "il Muro" che a noi da la vita e, si, la sicurezza.

E' mai possibile che non capiate niente voi grandi del mondo?

I palestinesi vogliono:

1. Far entrare in Israele tutti i profughi palestinesi attualmente viventi, senza diritti umani ( ma nessuno ne parla), nei paesi arabi. L'URNWA stessa si e' fatta una legge ad hoc e cioe' che i palestinesi sarebbero stati, unico popolo al mondo, profughi a vita e per diritto ereditario.

Roba da chiodi, vero Mister Obama?

Si , roba da chiodi, ma in base a quella legge i circa 600mila arabi di Palestina, fuggiti per suggerimento arabo da quello che sarebbe diventato Israele e moltiplicatisi come i pani e i pesci, all'infinito, dovrebbero rientrare in Israele.

Quanti sono, Mister Obama? Nessuno lo sa, si pensa qualche milione.

I palestinesi vogliono:

2. Gerusalemme est , con la citta' vecchia e tutti i luoghi santi, capitale del futuro stato di Palestina.

Vediamo, Gerusalemme non e' mai stata una citta' araba, men che meno palestinese visto che i palestinesi si sono autoinventati abbastanza recentemente allo scopo di dar fastidio a Israele commuovendo il mondo col loro, inventato, stato di poveri palestinesi che lottano contro i perfidi giudei per riavere una terra che non e' mai stata palestinese.

E lo sa, Mister Obama, cosa significherebbe dare Gerusalemme ai palestinesi? Significherebbe perdere l'accesso ai Luoghi Santi per cristiani ed ebrei.

E lo sa, Mister Obama, cosa ancora? Dal 1967 gli arabi di Gerusalemme sono aumentati del 291%. Si rende conto cosa significa? Significa che in altri 40 anni tutta Gerusalemme sara' araba, i Luoghi Santi trasformati in moschee, il Muro del Pianto riavra' ad esso appoggiate le latrine pubbliche come durante l'occupazione giordana.

Oltre agli eterni profughi da insediare in Israele e a Gerusalemme Capitale, i palestinesi vogliono che Israele dimentichi tutte le guerre con cui fu aggredita e contro le quali vinse alla grande e ritorni alle linee armistiziali del 48/49.

Benissimo, accontentiamoli, poi uno sputacchio, un semplice sputacchio, mister Obama e ci buttano in mare, sempre se prima non ci avra' fatti diventare cenere quel Ahmadinejad cui lei fa l'occhiolino almeno una volta alla settimana e che le risponde regolarmente a calci negli stinchi.

Peace and Security, side by side, eh? Mister Obama...Hussein....

Giu' i muri, eh Santo Padre?

E poi?

Ma perche' ci volete tanto male? Perche' in nome di una finta pace volete ancora e ancora e ancora sacrificare gli ebrei! Perche'? Siamo stati il popolo piu' perseguitato della terra. Basta!

Lasciateci vivere, lasciateci in pace. Basta!

Perche' non ha il coraggio, o uomo piu' potente del mondo, Mister Obama, di dire ai palestinesi di andare al diavolo e di accontantarsi di avere quello che USA e Israele sono pronti ad offrirgli, soprattutto tenendo conto che prima era il nulla che possedevano.

Perche' il Papa non ha avuto il coraggio di dire che e' quel muro che salva la vita degli israeliani e che restera' alto nel cielo fino a quando le belve non si saranno esaurite?

Perche' siete sempre pronti a darci addosso?

Mister Obama, fra qualche giorno verra' a trovarla anche Abu Mazen che le spiattellera' le sue pretese e le elenchera' i suoi no, innumerevoli no, ad ogni proposta di peace and security, la prego, Mister Obama, dimentichi di chiamarsi Hussein e pensi di chiamarsi semplicemente Barak che in ebraico significa fulmine e sappia trovare il coraggio di incenerire con le sue parole quel negazionista ed ex terrorista travestito da agnellino.

Sappia rispondere con dei NO alle sue richieste assurde perche' solo prendendo le difese di Israele e del suo diritto alla sicurezza, perche' la pace e' meglio lasciarla nei bigliettini dei Baci Perugina, si potra' sperare in un futuro. Finche' liscerete il pelo ai terroristi non si arrivera' da nessuna parte.

Ahhh, mister Obama, un' ultima cosa, si ricordi ogni tanto, tra un discorso su Guantanamo e l'altro e lo sforzo di dare una vita migliore ai terroristi ivi reclusi, si ricordi, dicevo, che un ragazzo di 19 anni , di nome Gilad, e' stato catturato dai palestinesi tre anni fa e da allora nessuno ne ha notizia e pochi nel mondo ne parlano...sa e' solo un ragazzo ebreo.

Non era un terrorista, mister Obama, era un ragazzo che non aveva ancora sparato un solo colpo per difendere il suo Paese, lo hanno preso e da quel giorno Gilad e' sepolto .... si spera vivo....tra le sabbie di Gaza.

Se lo ricordi mister Obama.......Hussein, ooops, mi scusi, volevo dire Barak, Barak Obama!

Il nostro ragazzo si chiama Gilad Shalit, oggi ha 22 anni e da tre anni non vede un essere umano e non sa niente del suo Paese e dei suoi famigliari.

Gilad, Gilad Shalit! Non lo dimentichi.

Grazie Mister Obama!

Deborah Fait

domenica 17 maggio 2009


il XXIX certamen ciceronianum ad arpino, dove nacque cicerone

Campionato del mondo di latino,
podio tutto al femminile

La campionessa è Ilaria De Regis, liceale di Cinisello Balsamo (Milano). Romane le altre due classificate

MILANO - È una ragazza di Cinisello Balsamo (Milano), Ilaria De Regis, la campionessa del mondo di latino. Tutte ragazze, e tutte italiane, sui tre gradini del podio al XXIX Certamen Ciceronianum Arpinas 2009, la più prestigiosa tra le gare dedicate alla lingua latina tenutasi da venerdì a domenica ad Arpino (Frosinone), patria del grande oratore Marco Tullio Cicerone. A Ilaria De Regis, del liceo classico Giulio Casiraghi di Cinisello Balsamo, è andato il premio di 1.100 euro offerto dalla città di Arpino e il premio speciale «Borsa di Studio in memoria di Giulia Carnevale» consegnato dai genitori e dalla sorella della studentessa arpinate morta nel terremoto dell'Aquila. «Il brano proposto era bello - ha detto la vincitrice - la parte che mi è piaciuta di più è stata la prima, in cui c'è l'esortazione a vivere appieno la vita anche se si parte svantaggiati. Nel mio commento ho sottolineato proprio la possibilità di essere felici anche in condizioni avverse». Al secondo posto si è classificata Chiara Mancini del liceo classico Giulio Cesare di Roma, terza piazza per Giulia Virgilio del liceo classico Tasso di Roma.

17 maggio 2009

www.certamenciceron
ianum.it


venerdì 15 maggio 2009

Papa Benedetto XVI
Enciclica « Spe salvi », § 38-39 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)

« Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi »


La misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana... La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine. Ma anche la capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è costitutiva per la misura dell'umanità, perché se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte; allora regnano la violenza e la menzogna...

Soffrire con l'altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell'amore e per diventare una persona che ama veramente – questi sono elementi fondamentali di umanità, l'abbandono dei quali distruggerebbe l'uomo stesso. Ma ancora una volta sorge la domanda: ne siamo capaci?... Alla fede cristiana, nella storia dell'umanità, spetta proprio questo merito di aver suscitato nell'uomo in maniera nuova e a una profondità nuova la capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità. La fede cristiana ci ha mostrato che verità, giustizia, amore non sono semplicemente ideali, ma realtà di grandissima densità. Ci ha mostrato, infatti, che Dio – la Verità e l'Amore in persona – ha voluto soffrire per noi e con noi.

mercoledì 13 maggio 2009

Se questo Papa è criticato a prescindere (click)


La preghiera di Benedetto XVI lasciata al Muro del Pianto .

«Dio di tutti i tempi nella mia visita a Gerusalemme, la Città della pace, casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani, porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni, le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo. Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati. Manda la pace sulla Terrasanta, sul Medio Oriente e su tutta la famiglia umana. Smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome affinché camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione».

venerdì 8 maggio 2009

SE N'E' ANDATO DON GIANNI BAGET BOZZO (click)


Addio don Gianni, è morto a 84 anni Baget Bozzo, politico e intellettuale.

mercoledì 6 maggio 2009

CURZIO MALAPARTE. (click)


Malaparte e Napoli / La storia di due nemici per "La pelle"

Malaparte e Napoli / La storia di due nemici per "La pelle"
Roma, 5 mag (Velino) - Stroncature sui giornali, anatemi nelle chiese, perfino il "bando morale" del Consiglio comunale, in grado di unire, sulla base di una generale riprovazione, comunisti e monarchici. Poche opere letterarie possono vantare tanto ostracismo nella città in cui sono state ambientate quanto "La Pelle". Nel giro di poche settimane, infatti, il romanzo di Curzio Malaparte - che la casa editrice Adelphi ha annunciato di voler ristampare a breve - inanellò a Napoli una serie di critiche senza eguali. Tutta colpa dello spietato ritratto dello stato di degrado e abiezione morale che all'indomani della Liberazione da parte degli americani si impossessò della città, incarognita dal conflitto e indotta per fame alle più turpi bassezze. Proprio come sarebbe avvenuto in seguito anche a Saigon, Beirut, Sarajevo e a tutte le città devastate dall'interno da un lacerante conflitto. Una tematica già di per sé scabrosa, ulteriormente appesantita dallo stile barocco di Malaparte e da un certo compiacimento nelle descrizioni più truculente. Era l'autunno del 1949, esattamente 60 anni fa, e nell'Italia che muoveva i primi passi nella democrazia, Napoli era considerata la capitale della cultura. Ovvio quindi che denunciarne l'abiezione imperante potesse essere interpretato come un'intenzione di mostrare che la città era ancora immatura per un tale ruolo.

Il risultato fu un'ostilità generalizzata, a cominciare dal mondo della cultura: il romanzo fu stroncato sia dai critici militanti che non, a cominciare dai quotidiani cittadini Il Roma e Il Mattino. Solo Edmondo Cione, filosofo idealista allievo di Benedetto Croce, fece propria una posizione più elaborata basata sul recupero della napoletanità, un'operazione basata comunque sulla ricerca dei galloni del passato per respingere la pochezza del presente. Emilio Cecchi sull'Europeo non si risparmiò: "Diciamo pure che egli ha fatto, Dio lo perdoni, una di quelle cose che veramente non si fanno. Meglio quasi il silenzio o l'ipocrisia che codeste equivoche bravure. Ha tirato in ballo, spogliato d'ogni decenza, miseria, vergogne, atrocità troppo gelose per adoperarle a scopo letterario". "Caro Cecchi, col silenzio e l'ipocrisia si diventa accademici d'Italia", fu la lapidaria risposta di Malaparte. Prese apertamente posizione anche il cardinale Alessio Ascalesi, che appena una decina di anni prima aveva benedetto le truppe che partivano per l'Africa e che nel romanzo era stato accusato di non aver assistito spiritualmente il popolo napoletano pur sapendo il degrado morale in cui stava sprofondando la città. Il porporato mobilitò le chiese e i parroci della diocesi e pochi mesi dopo "La pelle" finì nell'Indice dei libri proibiti.

"Fu una reazione mobilitata dalla piccola borghesia per il modo in cui veniva messo in mostra il senso morale della popolazione, perché di certo i ceti inferiori non avevano letto il libro", spiega al VELINO Luigi Parente, docente di Storia contemporanea all'istituto Orientale, che al caso ha dedicato il saggio "Una città contro. La polemica Napoli-Malaparte nel secondo dopoguerra". Una reazione "d'istinto" della società civile con una forte connotazione campanilistica, che in breve allignò anche nella politica. "La città d'altronde era un laboratorio politico di primo piano, perché fra la Liberazione e gli anni Cinquanta furono sperimentate soluzioni che venero poi estese a livello nazionale - rammenta Parente -: le Quattro giornate come prodromo della Resistenza, la politica nuova del Pci dopo la svolta di Salerno, il trionfo della destra poi diffuso a tutto il Mezzogiorno". I conservatori rispolverarono la grande tradizione della "Napoli nobilissima"; la sinistra socialcomunista, per bocca di Mario Alicata (fra i maggiori interpreti teorici del conformismo zdanovista), attaccò lo scrittore perché "La pelle" non parlava degli operai e dei lavoratori, secondo la consueta modalità adottata per eludere le critiche scomode.

Il risultato fu così una convergenza che si espresse pienamente il 15 febbraio 1950, quando fu addirittura il Consiglio comunale a occuparsi del caso Malaparte, al quale fu perfino impedito di difendere in aula le proprie ragioni. A convocare l'assemblea, con un ordine del giorno ad hoc, furono i consiglieri Michele Parise e Giuseppe Cicconardi, rispettivamente dell'Uomo Qualunque e del Partito liberale. La seduta fu talmente accesa da indurre il consigliere monarchico Antonio Nardone a gridare: "Bruciamo questo libro nell'aula". Alla fine, fu raggiunta l'unanimità sulla necessità di un "bando morale". Solo il consigliere Gennaro Fermariello, un ex azionista, si astenne. Fu l'unico a parlare delle turpitudini di quei giorni del 1944 come del segno della Vandea. Ma la polemica fra un'opera di narrativa e la cultura napoletana non finì con Malaparte. Nel 1953 protagonista di un episodio simile fu, ancora una volta, un autore non partenopeo: Anna Maria Ortese. La sua colpa? L'ultima parte de "Il mare non bagna Napoli" (1953), intitolato "Il silenzio della ragione". Un impietoso ritratto del mondo degli intellettuali napoletani che avevano fatto parte del cosiddetto Gruppo Sud, come Michele Prisco, Domenico Rea e Pasquale Prunas, appiattiti sulla conservazione dell'esistente più che sul desiderio di trasformazione. Fra le critiche del Pci, si distinse quella di un giovane deputato non ancora trentenne. Il suo nome era Giorgio Napolitano.

PACE E AMORE


Grazie Marcello.

venerdì 1 maggio 2009

INFORMAZIONE CORRETTA (click)


Alan Dershowitz, un avvocato coraggioso che non si limita a frequentare solo i tribunali. Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/04/2009, a pag. 41, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Un vero liberal deve difendere Israele ".

NEW YORK — In Italia Alan Der­showitz è di casa dal 1974. Allora si recò nel nostro Paese per incontrare Umberto Terracini, dirigente del Pci d’origine ebraica favorevole a una politica più pro-Israele. Dopo 35 an­ni il giurista-scrittore di Harvard, pa­ladino dei diritti civili, torna a Roma con una missione: frenare l’ondata di odio anti-israeliano che, mette in guardia, «oggi non scaturisce più soltanto dalle forze estremiste».
La sua tournée italiana è stata or­ganizzata da Amy Rosenthal, docen­te di Relazioni internazionali al­l’American University di Roma e comprende anche un incontro con alcuni deputati, tra cui Fiamma Ni­renstein. L’occasione: l’uscita in Ita­lia del libro Processo ai nemici di Israele (Eurilink editore), dove Der­showitz mette sotto accusa l’intelli­ghenzia occidentale: «Intellettuali — spiega — come lo scrittore spa­gnolo Antonio Gala, secondo cui gli ebrei meritano un altro Olocausto se non abbandonano Israele».
Nella sua lista nera: l’ex presiden­te Usa Jimmy Carter (che ha scritto Palestine. Peace not Apartheid) e Stephen Walt e John Mearsheimer, autori di La Israel Lobby e la politica estera americana (Mondadori). «Mi preoccupa che la retorica anti-israe­liana più violenta non appartenga più a frange dell’estrema sinistra, ma al mainstream », precisa Der­showitz, che cita i Nobel Harold Pin­ter, Carter, José Saramago e De­smond Tutu, oltre a Noam Chomsky («studioso di fama mondiale»), ma non Norman Finkelstein, «spazzatu­ra che nessuno prende sul serio».
A Roma Dershowitz approda do­po i riflettori di Durban II, dove è sta­to allontanato quando si accingeva a sfidare il presidente iraniano Ahma­dinejad. «Ad applaudire con più en­tusiasmo le sue farneticanti esterna­zioni sull’Olocausto e Israele — accu­sa — erano purtroppo gli ebrei bar­buti del Neturei Karta. Un gruppo che auspica l’annullamento totale del sionismo».
L’ebreo antisemita: un ossimoro che lo tormenta. «L’odio anti-israe­liano è diventato una sorta di rito d’iniziazione. Per essere accettati nel­l’estrema sinistra agli ebrei si chiede di diventare più anti-israeliani degli arabi e più palestinesi dei palestine­si, buttando alle ortiche la propria eredità». Si tratta, teorizza, di un ri­torno all’Inquisizione, «quando era­vamo costretti a convertirci e a di­ventare più cattolici del Papa. Gli ebrei disposti a vendere l’anima al diavolo esistono da sempre».
Il suo assillo oggi è spiegare al mondo che non bisogna essere di de­stra per amare Israele. «Barack Oba­ma, Hillary Clinton, Ted Kennedy, Irwin Cotler ed io siamo tutti liberal e pro-Israele, come il resto della sini­stra moderata Usa». La sua coscien­za sionista è germogliata a William­sburg, il quartiere di Brooklyn dove è nato nel 1938 da una coppia di ori­gine polacca: Claire, computista, e Harry, fondatore della Young Israel Synagogue: «I miei erano ebrei orto­dossi ma moderni. Da piccolo gioca­vo a baseball e correvo dietro alle ra­gazze come i miei amici protestanti e cattolici. Oggi l’ebraismo è spacca­to in due tra ultraortodossi e laici: il tipo di quartiere dove sono cresciu­to io non esiste più in America».
A 14 anni aveva trovato il primo la­voro, alla Sohn Delicatessen, una fab­brica di insaccati kosher della Lower East Side. «Dovevo annodare lo spa­go tra un hot dog e l’altro e un gior­no rimasi chiuso nel freezer». Dopo la laurea in legge a Yale nel 1962, nel ’67, a solo 28 anni, diventa il più gio­vane docente in legge nella storia di Harvard, dove, tra gli ex alunni, an­novera Eliot Spitzer, John Sexton, Joe Klein, Barack e Michelle Obama. Difendere gli emarginati era nel suo Dna. Si fa strada come avvocato dei poveri e dei bistrattati, per esem­pio dei condannati a morte di colo­re. «La pena capitale è un’atrocità razzista che li penalizza. E solo quan­do la vittima è bianca». Ma tra i suoi clienti ci sono pure Vip ricchi e famo­si come Patricia Hearst, Mike Tyson, Michael Milken. «Certo, ma la metà dei miei assistiti non paga un cente­simo », ribatte. Di O.J. Simpson, as­solto col suo aiuto, dice che «non comparirà tra i processi del secolo accanto a Norimberga, ai coniugi Ro­senberg o Sacco e Vanzetti, e sarà scordato dalla storia».
Per assicurarsi l’immortalità ab­bandona spesso la toga di avvocato, per indossare i panni di scrittore pro­lifico, autore di ben trenta saggi, tra cui i bestseller Reversal of Fortune e
Chutzpah. «Scrivo ogni giorno dalle tremila alle quattromila parole. La mia segretaria le ha contate: un mi­lione l’anno, oltre 40 milioni in tut­to. Però non so usare il computer e scrivo solo a penna».
Dershowitz ha appena ultimato il suo terzo romanzo: The Trial of Zion,
un thriller legale che parte da un at­tentato terroristico per esplorare, attra­verso cinque fami­glie, il conflitto ebraico-palestinese in Terra Santa dal 1885 ad oggi. Nel 1994 aveva pubbli­cato Il demone dell’avvocato (Mon­dadori), il suo primo lavoro di fic­tion (la storia semiautobiografica di un avvocato alle prese con un clien­te colpevole e pericoloso) e nel 1999 Just Revenge, ispirato allo sterminio della famiglia materna durante l’Olo­causto. «Sono stato influenzato da Emanuel Ringelblum, che ha immor­talato l’esperienza nel ghetto di Var­savia nascondendo i diari in cartoni del latte sottoterra. E da Elie Wiesel, oggi mio caro amico. Non parlo solo de La notte ma anche de Gli ebrei del silenzio che mi spinse ad andare in Unione Sovietica e a lavorare dieci anni per gli ebrei russi». I suoi libri preferiti? « I fratelli Karamazov, An­na
Karenina, Il Principe di Machia­velli. E poi l’opera omnia di Philip Roth, Primo Levi, Amos Oz e Saul Bellow».
Alan Dershowitz oggi è anche un famoso blogger, per l’«Huffington Post», il «Jerusalem Post» e «Front Page». «Sull’'Huffington Post' scri­vono le migliori e le peggiori firme d’America: le più ridicolamente d’estrema sinistra reagiscono ai miei post con invettive antisemite inaudite. Ma va bene così, perché il mio mestiere è provocare». Una pas­sione, questa, che rischia di costar­gli due anni di carcere in Italia, dove è stato denunciato dal Gip Clementi­na Forleo per aver osato, in un’inter­vista del 2005, definire «vergogno­sa » la sua decisione di assolvere cin­que militanti islamici dal reato di ter­rorismo internazionale. «Il caso di­mostra come il sistema giudiziario italiano non contempli neppure la li­berta d’espressione. Ma il mio Paese non accetterà mai l’idea medievale che un cittadino Usa sia perseguito all’estero per un’opinione espressa in patria, dove il primo emendamen­to ne tutela la liberta di parola. Il di­partimento di Stato mi ha conferma­to che sono il primo americano del­la storia ad essere incriminato in Ita­lia per un’opinione espressa a casa mia».
Le pecche del Belpaese sono an­che altre. «Mi duole dover dire che è troppo morbido coi terroristi, e non parlo solo dell’'Achille Lauro'. Oba­ma sa di non poter contare sull’Italia come alleato affidabile nella guerra contro il terrorismo alla stregua di Francia e Inghilterra. Da voi e in Spa­gna, poi, il potere giudiziario è in mano a magistrati d’estrema sinistra che considerano i terroristi combat­tenti per la libertà».
La morale cattolica buonista? «Non c’entra. Al contrario, penso che il ruolo del Vaticano sia e conti­nui ad essere estremamente positi­vo sul versante dei diritti umani e ci­vili e della tutela dei poveri, immigra­ti e deboli in generale».

" La nobiltà del sionismo"

Piera Prister Bracaglia Morante

Ci chiediamo perche’ l’aviazione israeliana non abbia ancora distrutto
i siti atomici iraniani anche se ne ha la capacita’ militare e la
forza morale per farlo, come ha gia’ fatto nel 1981 con l’impresa
leggendaria di Ilan Ramon che distrusse ad Osirak gli arsenali
nucleari di Saddam facendoci sognare e fantasticare. Un’audace impresa
che si e’ ripetuta poi nel 2007 quando i piloti israeliani hanno
bombardato con tempismo e rapidita’ i reattori nucleari nordcoreani
che erano arrivati su una nave a Tartus in Siria perche’ quei due
barattieri fraudolenti, Kim Jong Il della Corea del Nord e Bashar al
Assad di Siria avevano stipulato un baratto, armi nucleari in cambio
di grano.
Ma temiamo che la nuova amministrazione americana non voglia dare
l’appoggio all’impresa.
Ce la fara’ Israele da solo, ce la faranno Bibi Netanyahu e Avigdor
Lieberman e i nostri intrepidi piloti israeliani a distruggere i siti
nucleari iraniani e a farci tirare un sospiro di sollievo, ora che i
mullah stanno perfezionando la bomba? Ce la fara’ la gloriosa
aviazione israeliana a condurre a termine l’impresa rischiosa di
volare piu’ lontano, e piu’in basso dei radar iraniani per bombardare
i siti dove si stanno costruendo i reattori nucleari e armi di
distruzione di massa?
Perche’ si aspetta tanto? Israele ha la capacita’ militare per farlo,
ha piloti coraggiosi ed esperti capaci di sacrificare le loro vite per
la sopravvivenza di Israele, loro sono quanto di meglio ci sia sulla
terra, quelli che si battono per gli ideali del Sionismo, che sono poi
gli ideali nobili della democrazia e del rispetto dei diritti umani,
ideali che il mondo occidentale, decadente e rammollito ha
dimenticato.
O forse Israele da solo non puo’ farcela senza il via libera di
Obama. Come sarebbe possibile d’altronde l’impresa di sorvolare gli
spazi aerei iracheni senza violarli ed individuare esattamente le
coordinate geografiche dei siti dei reattori nucleari che sono
nascosti in gallerie scavate sottoterra e non sono visibili dall’alto,
senza il beneplacito dell’amministrazione americana e del supporto
della sua intelligence? Obama non lo permetterebbe mai sin da quando
anche sembra aver sposato la dottrina di D’Alema basata
sull’equidistanza. Purtroppo siamo in una situazione di stallo, non si
muove una foglia e l’incapacita’ delle democrazie di dettare un
ultimatum all’Iran ci espone al rischio di morte nucleare, da parte di
un Iran che nel frattempo e’ diventato piu’ forte e ha alzato il tiro
del ricatto per isolare internazionalmente Israele e fargli intorno
terra bruciata.
E’ chiaro che Israele deve far affidamento solo su se stesso.
In sessantun' anni dalla sua fondazione ci sono sempre stati i
negazionisti dell’esistenza dello stato di Israele, piccoli e grandi,
piu’ o meno velati, anche tra i cosiddetti amici che ora piu’ che mai,
uno dopo l’altro stanno tutti defilandosi, abbandonando la causa di
Israele e facendo il gioco dei suoi nemici. Qui, negli Stati Uniti
pare d’essere arrivati al paradosso che tutti sono ebrei ma che
nessuno o pochi sono sionisti, anche in mezzo a tante organizzazioni
ebraiche. L’imperativo a priori che l’esistenza di Israele non sia
negoziabile si sta sgretolando, mentre mai si dovrebbe abbassarne la
soglia morale. Persino la tradizionale amicizia degli Stati Uniti con
Israele si sta incrinando sotto i colpi che gli assesta il filoarabo
presidente Obama che si inchina a 45 gradi alla maesta’ di re Abdullah
–il geloso depositario della shariah cioe’ della pratica della
poligamia, del taglio della testa e della mano- ma che poi non si
inchina nemmeno idealmente, di fronte alla nobilta’ del Sionismo, anzi
osa intromettersi nella sovranita’ di uno stato libero e democratico
come Israele per dettare legge sulla creazione di uno stato
palestinese sicuramente terrorista alle costole dello stato ebraico.
Ma ha trovato Netanyahu e Liebermann che sono il pane duro per i suoi
denti e che gli hanno risposto picche. Loro sanno bene che ai nemici
per difendersi, bisogna sempre mostrare i denti piu’ affilati, dato
che Obama & Company sono cosi’ miopi che non sanno distinguere tra
chi rivendica a se’ il diritto alla vita come gli Ebrei e chi invece
vuole solo la morte e il terrore, come i Palestinesi, giacche’
l’amministrazione Obama non ha esitato a devolvere senza
precondizioni 900 milioni di dollari per la ricostruzione di Gaza dopo
la sua autoinflitta distruzione, che vanno ai terroristi di Hamas che
a Gaza la fanno da padroni, fior di denaro che andra’ a finanziare
nuovi attacchi terroristici, perche’ e’ cosi’ che verranno spesi quei
soldi non certo per costruire la pace.
Tutti sono pronti a sacrificare Sion sul tavolo delle trattative e la
Storia si sta ripetendo come negli anni trenta… si e’ rimasti cosi’ in
pochi a difenderlo e tra questi l’Italia con il benemerito ministro
degli Esteri Frattini e non ci sono giganti alla Netanyahu e alla
Lieberman che possano reggere alle ondate soverchianti che lo
minacciano.
Abbiamo tollerato infingardamente che si infangasse il Sionismo in
nome del quale gli Ebrei hanno sormontato avversita’ insormontabili
per millenni fino ad oggi, e che ha preso forma ed esistenza nella
rifondazione dello stato di Israele nello spirito dei suoi padri
fondatori, ricostruito sulla roccia granitica di milioni e milioni di
morti. Per Israele e per la terra di Israele gli Ebrei non si sono mai
piegati, hanno resistito agli insulti e alle umiliazioni, curvi e
laceri nelle lunghe marce e deportazioni; hanno resistito innocenti
alle accuse di deicidio, ai ghetti, alla fame e alla sete, al caldo e
al gelo. E alle fiamme e alle ceneri. Ma caduti e risorti sono sempre
li’ a ricordarci la nostra vergogna e la vergogna del mondo. Loro sono
i forti che non hanno mai rinnegato se stessi! La comunita’
internazionale se ne lava le mani, gia’ in passato ha abbandonato gli
ebrei al genocidio che si e’ protratto fino a ieri non solo nei campi
di sterminio nazisti ma anche negli eccidi di massa avvenuti in
Romania e poi con l’Operazione Barbarossa, in Ucraina e nelle
Repubbliche Baltiche, ad opera dei sovietici che collaborarono con i
nazisti nell’eliminazione di milioni di ebrei, da come e’ emerso
dall’apertura degli archivi di Stalin dopo la caduta dell’URSS ma che
moltissimi ancora ignorano.
Qui negli Stati Uniti siamo in molti ad essere spaventati dalla
politica ammicchevole e di ammansimento dei nemici della nuova
amministrazione americana che ha allentato la guardia e che in tutta
la sua politica sperperona ha ridotto al minimo le spese militari. Ci
sembra essere ritornati indietro agli anni di Jimmy Carter con
l’aggravante che allora il terrorismo era nascente ed ora, dopo l’11
settembre, e’ diventato piu’ potente e minaccioso. A noi e’ chiaro
cosa il terrorismo ci stia preparando, soprattutto con
un’amministrazione politica smidollata che non incute piu’ paura e
che e’ pronta a trattare con i nemici. Ci e’ anche chiaro che quei
paesi definiti canaglia dalla precedente amministrazione Bush, stanno
alzando la cresta e chiederanno al tavolo delle trattative, perche’
Barack Obama e’ pronto a trattare, che non solo l’America abbandoni la
sua tradizionale politica di amicizia con Israele ma che il suo
territorio si riduca ulteriormente in cambio di “pace”. E’ la solita
storia ed adesso sono loro che dettano le condizioni perche’ a momenti
avranno la bomba atomica e quindi il coltello dalla parte del manico.
E’ vero che abbiamo al governo due statisti del calibro di Netanyahu
e Lieberman, che ci rincuorano molto per il loro amore per Israele, e
che ci fanno sognare che si ritornera’ ai tempi della distruzione
dell’arsenale atomico di Osirak, o anche alla piu’ recente impresa in
Siria. Ora pero' la realta’ e’ diversa perche’ quei tempi gloriosi
sono passati e chissa’ se ritorneranno. Ma il Sionismo malgrado i suoi
detrattori rimane l’unica forza in campo e l’ultimo baluardo della
civilta’, capace di contrastare il pericolo maligno rappresentato da
chi vuole sovvertire una societa’ basata sulla democrazia e sulla
tolleranza, che garantisce il rispetto delle donne e dei diritti
umani, volta alla diffusione dell’alfabetizzazione e della cultura
fino al raggiungimento del benessere e della felicita’.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=29203