giovedì 26 marzo 2009

ECCO PERCHE' I MUSULMANI CI ODIANO (click)




«Lo scontro di civiltà? Non è una trovata polemica, né tantomeno politica. È, molto semplicemente, una realtà storica». Bernard Lewis (foto sotto), 92 anni, è il più illustre islamista vivente. Il suo primo viaggio in Medio Oriente è del 1937: giovane studente dell’università di Londra si stabilì in Palestina per studiare arabo ed ebraico. Col tempo ha imparato anche aramaico, turco, iraniano, oltre a una mezza dozzina di dialetti diffusi nella regione. Dall’ufficio dell’università di Princeton, sulla costa est degli Stati Uniti, parla con entusiasmo del suo ultimo libro uscito in Italia, Le origini della rabbia musulmana, pubblicato pochi giorni fa da Mondadori, una raccolta di saggi con un denominatore comune, i rapporti tra il mondo musulmano e il nostro, il rancore dell’islam verso l’Occidente.

Allora, professor Lewis, perché l’islam ci odia?
«Le do due ragioni: perché ha un grande senso della storia e perché definisce la sua identità in termini religiosi».

E cioè?
«Nel mondo occidentale, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, tendiamo a vivere nel presente, a dimenticare la storia, a cancellarne la consapevolezza. Nel mondo musulmano non è così. Le faccio un esempio: ai tempi della guerra tra Irak e Iran, negli anni ’80, mi colpì il fatto che la propaganda radiofonica delle due parti era piena di allusioni alla secolare storia di rivalità tra i due Paesi. E parlo di allusioni, riferimenti appena accennati, soprattutto al periodo medioevale, che perfino i contadini analfabeti riuscivano a cogliere. Quanto al secondo aspetto bisogna tener presente che in occidente tendiamo a definirci per nazionalità, per Paese. Nell’islam quello della nazionalità è uno sviluppo recente, non molto radicato. Noi definiamo la nostra identità su base nazionale e solo in seconda battuta su base confessionale. Loro fondano l’immagine di sé sulla religione e solo dopo vedono il Paese, la nazione».

E dunque…
«Dunque noi parliamo di occidente e di islam in modo più o meno generico. Loro vedono in maniera nettissima la distinzione tra i due mondi. E la interpretano nel senso più forte, come separazione tra credenti nel vero Dio e infedeli. E sono del tutto consapevoli della tensione, che dura ormai da 14 secoli, tra due realtà religiose, naturalmente simili ma incompatibili».

Che cosa intende?
«Voglio dire che islam e cristianesimo hanno più cose in comune tra di loro che con tutte le altre religioni. Da questo punto di vista si può quasi parlare di uno scontro interno tra religioni rivelate. Da sempre islamici e cristiani si parlano e discutono. Possono farlo perché hanno una piattaforma che li unisce. Non potrebbero farlo con cinesi o indiani».

Eppure, lei dice, sono anche incompatibili.
«Al mondo ci sono molte religioni ma solo due, tra le maggiori, hanno la pretesa universalistica di possedere la verità ultima ed esclusiva: cristianesimo ed islam. Da qui nasce il conflitto, più dalle similarità che dalle differenze: dal senso della propria missione divina. Da questa concezione di partenza il mondo cristiano si è via via allontanato. Non dimentichiamo invece che il mondo islamico ha appena iniziato il quindicesimo secolo della sua era. Pensiamo a che cosa era il cristianesimo del quindicesimo secolo, in preda alle guerre di religione tra protestanti e cattolici. Loro vivono ancora in quel mondo».


Da qui lo scontro di civiltà…
«Ancora più precisamente lo scontro tra due civiltà religiosamente definite. Certo oggi noi non siamo più soliti parlare di cristianità contrapposta all’islam, usiamo toni più sfumati, ma il fondamento è quello. E ripeto, la cosa più interessante è che la consapevolezza dello scontro sia molto più alta nel mondo islamico che in quello occidentale».

Guardando al mondo occidentale, lei scrive nel libro, l’islam teme soprattutto una cosa, il secolarismo.
«È di sicuro il peggior nemico degli islamici: ridurre o minimizzare il significato della religione nella vita umana. L’evoluzione che nei secoli si è verificata nel mondo cristiano è legata al punto di partenza: sin dall’inizio il cristianesimo ha visto una distinzione tra ambito religioso e ambito diverso dalla religione, tra Dio e Cesare. Nel mondo musulmano non è così. Guardi quanto sono diverse le circostanze: Gesù fu crocefisso, i suoi seguaci perseguitati. Quando i cristiani si impadronirono dell’impero romano c’era già una chiesa come istituzione separata. Maometto non fu crocifisso, creò non solo una comunità religiosa ma anche uno stato, di cui divenne subito il capo. La loro storia è di totale compenetrazione e identificazione tra governo e religione. Pensi che nella lingua araba, pure molto ricca di termini e sfumature, fino a tempi moderni non esistevano coppie di parole come laico-ecclesiastico o religioso-secolare. Quando sono state introdotte è avvenuto solo grazie alla minoranza cristiana di lingua araba che ha sviluppato un vocabolario di impronta culturale occidentale».

Chi alla persistenza di uno scontro di civiltà si è sempre ispirato è Osama bin Laden. Per lui gli occidentali erano e rimangono “Crociati”.
«Osama ha saputo parlare in maniera esemplarmente efficace all’immaginario collettivo dei suoi correligionari, diventando agli occhi delle masse arabe una specie di Robin Hood rispettato e ammirato. Un uomo incorrotto che, a differenza di quasi tutti gli altri leader della regione, non ha approfittato della sua posizione per passare dalla povertà alla ricchezza, ma che anzi era ricco e ha scelto la povertà. Anche se io penso che ormai dobbiamo parlarne al passato: non credo che sia ancora vivo o quanto meno nelle condizioni di esercitare un ruolo significativo. Le immagini e le dichiarazioni dei primi tempi avevano davvero una forza notevole. Era un maestro di oratoria e prosa in lingua araba, e gli arabi hanno sempre avuto un debole per i grandi oratori. Le sue parole, al di là dei suoi atti hanno avuto un grande impatto. Ma i suoi messaggi più recenti sono incerti e sfuocati. Da far dubitare, appunto, che sia lui a parlare».

mercoledì 25 marzo 2009

«LE REILIQUIE DI PIETRO E ALTRI 39 SANTI» (click)


San Benedetto
Trovati anche resti di Benedetto. Il curatore del British Museum: «Aprirlo ci ha emozionati»
L'altare portatile e il tesoro nascosto
«Le reliquie di Pietro e altri 39 santi»
Il piccolo tabernacolo è stato esposto per anni senza che se ne conoscesse il contenuto. Ora la svolta

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Fabio Cavalera

LONDRA — «Sì. Lì dentro ci sono minuscole ossa di San Benedetto. E pure frammenti di San Pietro. Come anche i capelli di San Cristoforo ». Dice James Robinson uno dei due curatori della sezione medioevale del British Museum. Il tesoro è nella sala 40 della sezione dedicata alle reliquie religiose. L'hanno scoperto per caso. E forse, lo stesso British Museum, non si rende ancora conto di che cosa ha in casa e di che cosa sta per mostrare al pubblico da oggi, data di inaugurazione della collezione appena sottoposta ai raggi X dai ricercatori.
In una teca di vetro blindata, vicino a una croce in argento e pietre preziose, è appoggiato un «altare portatile» del 1200 che ha una storia misteriosa e rischia di passare via quasi inosservato. La targhetta che lo presenta parla genericamente di «relics», resti, appartenenti a 40 santi. Nulla si spiega di San Benedetto e neppure di San Pietro e di San Cristoforo. Particolari che sembrano non interessare. L'altare è arrivato a Londra nel 1902, acquistato da una collezione privata, e per parecchi anni è rimasto un oggetto di straordinaria bellezza privo però di richiamo spirituale, quasi anonimo nonostante le iscrizioni in oro e le lavorazioni in avorio, una testimonianza-simbolo delle liturgie che si celebravano o si improvvisavano dove non esistevano spazi consacrati alla messa ma non una rarità alla quale dedicare più di una manciata di secondi.


Poi il British Museum ha deciso di ristrutturare e ridare lustro a questa sua ala quasi di secondaria importanza e passaggio, schiacciata dalla maestosità dell'archeologia egizia, greca, romana e dai capolavori unici che ad esse sono associati. E così, un po' per caso, un po' per rivalutare un patrimonio che sonnecchiava e che non stuzzicava particolari fantasie il piccolo «altare portatile», 35 centimetri di altezza per 25 di larghezza, ha rivelato il suo segreto. Se lo portava dentro da otto secoli. «Beh, devo ammettere che ci siamo emozionati quando l'abbiamo aperto». James Robinson ha fatto di tutto perché la sua sezione rinascesse a nuova vita ma di certo non sapeva che lì, sotto una pietra quadrata incastonata sul fronte, c'erano reperti che per la cristianità hanno un valore inestimabile. «Quaranta pezzi di tessuto molto pregiato e ognuno avvolge le ossa di altrettanti santi. Alcuni hanno una targhetta altri ne sono privi. Li abbiamo esaminati con cura e appartengono, questi tessuti, a varie epoche, dal quinto fino all'undicesimo e dodicesimo secolo. Non vi è dubbio alcuno sulla loro autenticità. Così come sul contenuto».


Davanti, i rilievi in avorio della crocefissione e della Vergine col Figlio. Sul fondo, l'incisione del nome di Teodorico III identificato come l'abate del convento di Hildesheim in Germania fra il 1181 e il 1204 e che custodì l'altare. Nel retro, in successione, i nomi dei santi le cui reliquie sono conservate nella cavità.
È un mistero come questo oggetto sacro sia riuscito a sopravvivere nei secoli. Quel che è sicuro è che all'inizio del Novecento il British Museum, attraverso suoi emissari, entrò in contatto con un collezionista privato, il quale nulla conosceva di ciò che nel «sottofondo» veniva custodito. L'istituzione londinese lo comperò per una cifra modesta, registrata nei libri della contabilità ma «riservata », e lo mise in esposizione, dopo i dovuti approfondimenti, senza immaginare ciò che aveva in pancia.


Negli anni Ottanta il piccolo «altare portatile» fu finalmente aperto ma inspiegabilmente il risultato dell'operazione restò confinato nella routine delle ricerche museali. Solo ora il curatore della sezione medioevale dedicata alle reliquie religiose ha preteso, alla vigilia del lifting per la sua galleria, un'altra ispezione del reperto. E il segreto si è svelato. Troppo tardi, però, per apparire sia sull'etichetta esposta nella sala 40 sia sul catalogo sui «capolavori dell'arte medioevale» che dedica una pagina con foto all'altare ma non fa menzione di San Benedetto, San Pietro e San Cristoforo. Un tesoro che resta pur sempre «nascosto ».

lunedì 23 marzo 2009

domenica 22 marzo 2009

FRANCESCO D'ASSISI


Signore, fa' di me uno strumento della tua pace.
Dove e' odio, fa' che io porti l'amore.
Dove e' offesa, che io porti il perdono.
Dove e' discordia, che io porti l'unione.
Dove e' dubbio, che io porti la fede.
Dove e' errore, che io porti la verita'.
Dove e' disperazione, che io porti la speranza.
Dove e' tristezza, che io porti la gioia.
Dove sono le tenebre, che io porti la luce.
Maestro, fa' che io non cerchi tanto di essere consolato, quanto di consolare,
di essere compreso, quanto di comprendere,
di essere amato, quanto di amare,
perche' e' donando, che si riceve,
perdonando, che si e' perdonati,
morendo, che si risuscita a vita eterna.
(Francesco d'Assisi)

domenica 15 marzo 2009

sabato 14 marzo 2009

Lettera ad un Professore che non potrà leggerla.

Al mio Professore di storia e filosofia dell’allora glorioso Liceo scientifico Federico Enriques di Livorno.
Caro Professore, sono passati molti decenni, ahimè, da quando imberbe studente del terzo anno cominciai a muovere i primi passi nel mondo della filosofia sotto la Sua guida.
Ingenuamente pensavo che sarà mai questa filosofia? Io conosco i teoremi di Pitagora, di Euclide, di Talete, con tutte le relative dimostrazioni, so risolvere problemi di algebra e geometria non saranno quattro chiacchere ad impensierirmi.
Ricordo perfettamente le prime due lezioni: Lei spiegò per due ore ed io, ma non solo io, non capii assolutamente le parole né tanto meno i concetti da Lei espressi.
Alla terza lezione cominciai ad avere dei seri dubbi sulle mie capacità intellettive.
Solo in seguito mi resi conto che Lei, volutamente, aveva adoperato un linguaggio difficile facendo scontrare la mia vergine mente con parole e concetti come metafisica, ontologia, gnoseologia, logica, per spronarmi al ragionamento, colpendomi nell’orgoglio e per farmi studiare.
La sfida era cominciata. Subii per tutto l’anno scolastico, ma alla fine riuscii a “vendicarmi” o meglio Lei riuscì nel Suo intento.
Devo riconoscere che non ero un soggetto facile, mi aveva insegnato bene Lei, se spiegava il cristianesimo io ero l’anticristo, se Lei spiegava Nietzsche io ero S. Paolo, se Lei spiegava Aristotele io ero Copernico.
Caro Professore, o meglio il Nostro come La chiamavamo noi studenti, scimmiottando il libro di testo, non siamo, una volta che una volta, riusciti a metterLa in difficoltà. Eppure avevo dei compagni di classe brillantissimi.
Qualunque domanda Le ponessimo puntuale arrivava la Sua più che esaustiva spiegazione ed anche una pronta controdomanda che ovviamente, il più delle volte, ci metteva in difficoltà.
Alla fine del quinto anno, qualcuno pensò di chiederLe se non avesse una qualche lacuna.
Ci pensò un attimo e poi ci disse, con aria seria e un po’ desolata, che sì, in effetti, una lacuna l’aveva. Un sogghigno beffardo aleggiò sui nostri volti, ma durò pochissimo la famosa lacuna era nientemeno sull’economia del subcontinente indiano fra il IV e il V secolo avanti Cristo.
Non ho mai saputo se avesse voluto prenderci in giro o meno, infatti cambiammo rapidamente argomento perché una Sua domanda sull’economia del III secolo avrebbe avuto effetti devastanti.
Ricordo, e come farei a non ricordalo, le Sue domande in preparazione della maturità, che noi studenti chiamavamo spazio-temporali: sì, illimitate nel tempo e nello spazio.(allora si portava il programma degli ultimi tre anni, cioè tutto).
Nelle interrogazioni la Sua domanda preferita era: la conoscenza dagli albori della filosofia fino a Croce e che non provassimo a sorvolare su qualche filosofo, perché una raffica di interrogativi ci avrebbe investito e travolto.
Se lo facesse oggi ci sarebbe una rivolta con tanto di manifestazione antimoratti, antiamericana con contorno di bandiere della pace e girotondi.
A proposito di politica, questa era l’argomento che più ci divideva: Lei cristiano e di sinistra, io di destra ed agnostico, Lei partigiano ed io profugo istriano.
Per me ogni occasione era buona per farle rimarcare come l’ Urss fossa più imperialista degli Usa.
A una Sua domanda su Kant, in maniera assolutamente provocatoria, esordii dicendo: Kant, il famoso filosofo russo nato a Kaliningrad… praticamente fu un suicidio.
Quella stessa sinistra, che Lei amava tanto, fu proprio quella che La tradì in ciò che di più caro aveva: il Suo ruolo di educatore, di Demiurgo delle nostre anime.
Quanto avrà rimpianto, negli anni del sessantotto la nostra classe: discepoli vivaci, ma rispettosi nessuno di noi si è mai sognato di darLe del tu o di apostrofarLa: ” Ehi prof.”!
Quella sinistra, che stava emergendo, non Le piaceva e la piega che aveva preso la scuola ancora meno.
E’ per questo che Lei rinunciò all’insegnamento e poco dopo scomparve ancor giovane?
I miei compagni di classe ed io non La dimenticheremo.
Addio, Professore, a Dio se Dio esiste.

nota: Kaliningrad è l'odierno nome di Königsberg città tedesca della Prussia orientale annessa alla russia sovietica,senza alcun motivo storico."La città venne pesantemente bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale, e totalmente rasa al suolo finché non venne conquistata dai soldati dell'Armata Rossa. I pochi abitanti tedeschi sopravvissuti furono espulsi in massa dalla città e sostituiti da popolazioni russe, e anche gli edifici storici superstiti come il castello dell'ordine teutonico vennero in seguito demoliti per fare posto ad edifici in stile sovietico in una sorta di damnatio memoriae di tutto ciò che era tedesco. Solo dopo la caduta del muro di Berlino l'ex cattedrale, con la tomba di Immanuel Kant, precedentemente in rovina, è stata restaurata e costituisce uno dei pochissimi edifici storici della città." (da Wikypedia)
Per me, proveniente dall'Istria era come un gemellaggio ed una grossa provocazione per i sx.

giovedì 12 marzo 2009

di VITTORIO G, ROSSI (click)


Il morto è tutto contento d'esser morto

LA NUOVA MESSA FUNEBRE HA PERDUTO QUEL SUO SEVERO VIGORE
CHE COSTRINGEVA A RIFLETTERE ANCHE CHI NON È CREDENTE

di Vittorio G. Rossi

Non si sa più come morire; la Messa da morto come è adesso fa piangere più di prima; ma non fa piangere per il morto: fa piangere per la Messa. Dico Messa da morto; dovrei dire Messa esequiale: ma io non sono un intellettuale come quelli che hanno fatto la Messa nuova da morto; e allora dire Messa da morto mi fa vedere la cosa; e dire Messa esequiale non me la fa vedere, ci devo pensare su un momento. Non mi piace parlare di cose della morte; ma la Messa da morto riguarda più i vivi che i morti; quello che riguarda i morti, non lo possiamo sapere. La morte è una cosa tremendamente seria, la più seria di tutte le cose che possono capitare all'uomo; perché l'uomo che ha fatto quel passaggio, potrà diventare angelo o diavolo o niente; ma ha finito di essere uomo, e questa è una perdita, su cui non si piangerà mai abbastanza.

La vecchia Messa da morto faceva sentire quel dramma tremendo; la Messa da morto che c'è adesso, è come andare a cogliere margheritine nel prato e il parasole in mano.

Le hanno cambiato anche il colore; prima era nera, adesso è viola; il nero poteva disturbare l'uomo di adesso, fargli venire i complessi, come si usa adesso; come per le sculacciate ai bambini, una volta si davano come confetti; adesso dicono che l'onda della sculacciata può arrivare al cervello, e uno che stava per diventare un altro Leonardo da Vinci, diventa un cretino da ospizio. Il viola è come il vino allungato con l'acqua, non è né vino né acqua; non è né caldo né freddo, né vivo né morto; è un piccolo trucco per fare passare la morte come un aperitivo.

Quell'invocazione che si ripeteva lungo tutta la vecchia Messa, requiem aeternam dona eis, Domine, era grandiosa; era una invocazione a Dio nella grandiosa maestà dalla lingua sacra, non quella volgare di adesso, la stessa che serve per comprare i ravanelli in piazza del mercato; era l'invocazione a Dio di placare la tempesta, e riempiva e scrollava la volta della chiesa e dava un brivido a quelli che provvisoriamente restavano sulla sponda di qua. Adesso quell' "eterno riposo" della Messa nuova è adatto a uno che va in pensione, e si spera che gliela paghino. La Messa di adesso è fatta quasi tutta di salmi; e la poesia dei salmi è una grande poesia, grandi blocchi monumentali di poesia; ma trasferita nella lingua per comprare i ravanelli, e tradotta da gente brava a fare le liste della biancheria da mandare in lavanderia, la poesia dei salmi e delle altre letture sacre è diventata la poesia delle liste della biancheria.

"Il giusto, anche nel caso di morte prematura - troverà riposo. - Vecchiaia veneranda non è la longevità - né si calcola dal numero degli anni. - La canizie per gli uomini sta nella sapienza". Era un pezzo del Libro della Sapienza: era poesia, e poesia augusta; è diventato un pezzo di una polizza di assicurazione sulla vita. E anche in chiesa, anche alla presenza di un morto, non si sa se ridere o piangere.

Per mille anni e più la Chiesa cattolica ha insegnato a pensare a una parte importante del genere umano; ha avuto con sé la grande arte, la grande poesia, la grande musica; ossia mille anni di civiltà occidentale sono stati mille anni cattolici; e ora si è ridotta a fare i rifornimenti nei magazzini del linguaggio dei politici e dei sindacalisti, gente notoriamente piena di sapienza e belle lettere. E non dice più "la santa Messa"; dice la "Messa comunitaria"; e la messa non sa più di anima, cosa strettamente individuale; sa di mensa aziendale. Non dice più "i fedeli" o "i credenti", come dice così bene l'islam; dice la "comunità di base"; e sa di comizio e tessera in tasca; a se Dio ha fatto lui i cieli e la terra con sopra questa bella razza degli uomini, non deve dare molta importanza alle tessere in tasca. E allora la Chiesa cattolica ha potuto togliere tranquillamente dalla Messa le preghiere alla Madonna piene di dolce poesia; togliere il così detto ultimo Vangelo, cioè il principio del Vangelo di Giovanni, quello "In principio era il Verbo. E il Verbo era presso Dio e il Verbo ora Dio"; e niente di più spirituale è mai stato detto da bocca d'uomo. E nello spazio rimasto libero hanno collocato cose spirituali e poetiche come "questo pane, frutto della terra e del nostro lavoro... questo vino, frutto della vite e del nostro lavoro"; ed è roba che sa di cooperativa agricola.

Quando la Chiesa cattolica ha ripudiato il latino, una voce altissima della Chiesa Cattolica ha detto che finalmente quelli che pregavano avrebbero capito quello che pregavano. Quella voce era la voce delle grandi parole; così poteva sembrare che tutti i secoli di preghiere fatte dagli uomini erano andate in fumo, perché essi non sapevano quello che dicevano. Ma il giorno che un uomo pregante capirà quello che sta dicendo, potrà smettere di pregare; la preghiera è un discorso con le cose invisibili e inconoscibili, cioè col mistero; e se il pregante riesce a sapere che cosa c'è dentro il guscio del mistero, può smettere di pregare e mandargli una cartolina postale; basta che non la mandi con le poste della nota repubblica fondata sul lavoro. La religione è di là da tutte le spiegazioni; è fuori di tutte le prove sperimentali; i ragionamenti sulle cose che non si possono osservare, sperimentare, misurare, sono spiegazioni che non spiegano niente. Fin che restano idee, le idee non sono né vere né false, né buone né cattive: sono idee, cioè discorsi ben fatti o mal fatti, e si chiamano le dialettiche. E le dialettiche sono le equazioni differenziali degli imbecilli di oro fino. Se invece di dire Agnus Dei qui tollis peccata mundi, uno dice "Agnello di Dio, che ti assumi i peccati del mondo", ne sa quanto prima; cioè in qualunque linguaggio lo dica, dice una cosa che è tenuta in piedi non dalle prove, come il così detto principio di Newton, ma dal crederci o non crederci. Montagne di parole sono state dette e scritte per spiegare che cosa vuol dire o per dire che non vuol dire niente; ma l'uomo che lo dice o lo sente dire, può sentire dentro di sé una grande luce che si apre e splende come un sole; oppure non accendersi niente; dipende da lui, non dalle parole dette o sentite.

Hanno tolto cose poetiche della Messa; e solo la poesia, non le spiegazioni, può fare vedere le cose che non si vedono; e lo spazio tolto alla poesia lo hanno dato alla predica. Facevano la Messa nuova; e si sono lasciati scappare l'occasione gaudiosa di chiudere la bocca ai predicatori. La Chiesa cattolica non saprà mai quanta gente ha perduto per via dei predicatori. Il gesuita portoghese padre Vieira era un grande predicatore: 300 anni fa ha fatto la predica ai predicatori; gli ha detto che piuttosto che parlare a quel modo, era meglio tacere che parlare. San Francesco parlava agli uccelli, e gli uccelli lo ascoltavano perché gli pareva uno che parlava come loro, uno di loro; adesso quando il predicatore predica, mi viene la voglia di essere un grande peccatore, per fare dispetto a quel predicatore.

Quelli che hanno fatto la Messa nuova, hanno capito che non bastava sfrattare il latino, per dare più spiritualità alla Messa; e hanno inventato le strette di mano. È la cosa più comica che sia mai stata fatta in una chiesa cattolica. Ci sono vecchie pettegole che si voltano indietro alla ricerca di altre mani da stringere; non gli bastano quelle laterali. Ma io guardo in su; non vedo mani da stringere; il teatro in chiesa non mi è mai piaciuto.

Hanno sfrattato il canto gregoriano, e non c'è canto più religioso, religiosamente più puro di quello; hanno sfrattato la grande musica. Forse hanno ascoltato quelli che dicevano che la Chiesa cattolica è un prodotto dell'Occidente; ma anche la scienza e la tecnica sono un prodotto dell'Occidente; eppure gialli e neri adoperano con disinvolto fervore le cose meccaniche, le medicine, i modi di vestire e comportarsi dell'Occidente. Qualcuno che non era uno stupido, ha detto che hanno fatto più miracoli i santi scolpiti e dipinti, che non i santi vivi; ed è vero; però si è dimenticato della musica, della grande musica. La grande musica ha portato a Dio più gente, che non tanti secoli di teologia; quel vento misterioso che entra nell'uomo, e lo invade, e lo muove come il vento muove il mare; e l'uomo piange o ride beato, si sente felice o triste, e non sa perché; e quella è la musica, la grande musica; e l'uomo poteva vedere la faccia di Dio, che nessuna descrizione della faccia di Dio è mai riuscita a fargli vedere. E la Chiesa cattolica, una volta considerata intelligente anche troppo, ha buttato la sua grande musica fuori bordo; ai pesci. Leonardo diceva che quando suonano le campane, nel suono delle campane l'uomo può mettere tutto quello che vuole; le sue gioie, i suoi dolori, le sue speranze. Ora nella nuova Messa cantata, quella per i vivi e quella per i morti, i canti nuovi offrono gioielli come questo: "Mi risplenda la luce del ver - e mi guidi sul retto sentier"; o come quest'altro: "... evitiamo di dividerci tra noi - via le lotte maligne, via le liti", e altre stupidaggini come queste, innumerevoli. E poi la musica, la musica nuova che accompagna quelle stupidaggini, e fa venire le rughe alla pancia. Il muezzin che dal minareto musulmano chiama alla preghiera dell'aurora, grida ai quattro venti, "è meglio pregare che dormire! ... è meglio pregare che dormire!"; e fa commozione anche a chi non è musulmano; e ora coi suoi nuovi canti e suoni la Chiesa cattolica sembra dire ai suoi fedeli, che è meglio dormire che pregare. Ma nelle pietre delle chiese cattoliche c'è ancora la eco viva dei vecchi canti, delle vecchie musiche; e il giorno che quella eco gloriosa si sarà spenta, la Chiesa cattolica si potrà mettere a vendere caramelle e pianeti della fortuna. La vecchia liturgia cattolica ha fatto arrabbiare tanta gente; ma non ha mai fatto ridere nessuno.

Dalla Messa da morto hanno tolto il Dies irae. Devono aver pensato che potevano conturbare le anime gracili di questi tempi svirilizzati; e hanno demolito la Messa da morto. Quando nella Chiesa scoppiava quel canto, "Dies irae, dies illa. Solvet saeclum in favilla... Il rimbombare della tromba per i campi seminati di sepolcri... Prostrato a terra, invoco pietà"; quel canto faceva un rimbombo immenso dentro l'uomo che ascoltava, credente o non credente, perché la morte riguarda tutti, credenti e non credenti. La religione si regge sull'esistenza del dolore e su quella della morte; nessuno può abolire definitivamente dentro l'uomo una religione, se non abolisce il dolore e la morte. Quel canto tremendo lo metteva con la faccia dentro la faccia della morte; e allora lui cercava disperatamente la faccia di Dio; la faccia di quello che non muore. E il Libera; il Libera che anch'esso doveva essere cantato in latino; perché solo così, con una lingua che non è quella per comprare i ravanelli, l'uomo può dire a Dio la sua disperazione; dirgli che lo liberi dalla morte eterna, "Libera me, Domine, de morte aeterna... quando verrai a giudicare il mondo col fuoco...".

La Messa da morto era qui, in questi canti terribili e virili; quando si celebrava in una chiesa di villaggio, quella chiesa diventava immensa, una grande cattedrale. Poi l'uomo vivo usciva a testa bassa dalla chiesa dietro il morto, perché quei canti continuavano a rimbombargli dentro, come quando il cielo è pieno di folgori e tuoni. Ora nella Messa nuova il prete parla lui della morte; lui che non sa che cosa è la vita, dovrebbe spiegare ai vivi che cosa è la morte. Così la Messa da morto è diventata una Messa coi fiori di plastica, e il burro e la marmellata. Il morto cinguetta sul ramo, come un passerotto; e tutto contento che è morto, e ora si metterà a tavola con gli angeli, i santi, i martiri, i patriarchi, il pane e burro e marmellata. Ma io ho già detto al mio parroco, uomo pio, che se mi celebra quella Messa del pane e burro e marmellata, io mi rifiuterò di morire. Però la nuova Messa da morto è la Messa di questa Chiesa cattolica di adesso; la grande Caterina da Siena direbbe che essa ha perso l'anima virile; dove i preti fanno quello che vogliono, si travestono come vogliono; e quei teologi nuovi che vogliono una religione cattolica da rivedere continuamente e a rivederla siano i parrocchiani e il loro parroco, e facciano le votazioni, per esempio, votare se oggi che è giovedì nell'ostia consacrata c'é Cristo o non c'è. E quegli uomini di chiesa che parlano del giorno che nel posto di Dio si metterà il Pithecantropus, ossia l'ominide di Giava, perché l'uomo è tutto. Una volta bruciavano anche per cose più piccole di queste; adesso quelli che dicono queste cose, non sono buoni neanche come legna da bruciare.

da "Epoca" 26 settembre 1971

martedì 10 marzo 2009

A proposito del”Motu proprio” di Benedetto XVI (click)

Sono stato consigliato d’ascoltare una conferenza del Rev. Nicola Bux (*) sul tema ” La liturgia tra tradizione e innovazione”. Organizzava la conferenza il comitato pisano S. Pio V.

Il tema, interessante anche da un punto di vista storico politico, oltreché religioso, mi ha incuriosito ed, ancor di più Il riferimento alla liturgia di Pio V.

Questo papa, non molto apprezzato da certi ambienti clericali, che ignorano o, ancor peggio, fanno finta di ignorare, che grazie al Suo impegno fu costituita la Lega Santa che sconfisse i turchi nella famosa battaglia del 1571 a Lepanto, respingendo un pericoloso assalto islamico alla nostra Cultura Occidentale. Se per più di quattrocento anni non siamo stati islamizzati, lo dobbiamo anche a questo papa.

Oggi, mi sembra che un’altra battaglia di Lepanto sia cominciata, ma questa volta la stiamo perdendo, più per colpa nostra che per meriti del nemico.





Il prof. Bux, ha voluto chiarire alcuni aspetti delle intenzioni di Benedetto XVI, nel promulgare il Motu Proprio, non recepite da molti e travisate da certi ambienti anche clericali. Lo ha fatto in modo chiaro ed efficace, che denota la sua lunga esperienza di professore e di teologo ai massimi livelli, non per niente è consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Non mi addentro in questioni puramente teologiche, più consone agli addetti ai lavori, che a un post di recensione, quale questo vuol essere.



Mi hanno colpito, queste due puntualizzazioni.

Il perché il Papa non abbia “imposto” il rito tridentino è al di fuori di ogni polemica, la spiegazione è semplicissima : l’esempio.“Noi Papa diamo l’esempio”.

In pratica non ha voluto commettere lo stesso errore di quando, dopo la fine del concilio Vaticano II, il nuovo rito, quello in lingua locale, fu imposto, direi anche con una certa rudezza.

(NDR.Questo ve lo posso confermare personalmente, a quel tempo ero già adulto, e notai perfettamente questi atteggiamenti, poco spirituali e poco caritatevoli, presi a prestito da ideologie allora imperanti.)

La seconda osservazione, sul perché sia stato rivalutato il rito tridentino è ancora più disarmante.

Quel’è lo scopo della liturgia? Pregare Dio, ovviamente, e se uno preferisce farlo in latino dov’è il problema? D’altronde, fin da quando S. Pietro e S. Paolo fecero di Roma la sede del cristianesimo, il latino, a quel tempo lingua universale, divenne la lingua ufficiale della chiesa e lo è ancora oggi.

Un osservazione, interessante, che a prima vista può sembrare ininfluente, è quella della posizione del celebrante la Messa rispetto all’altare.

Nella prima parte della Messa viene divulgata la parola del Signore al popolo dei fedeli, per cui è giusto che il sacerdote sia rivolto verso coloro che ascoltano, ma nella seconda parte, (offertorio,consacrazione e comunione) vi è la adorazione di Dio e quindi il celebrante, fedele tra i fedeli, è più logico che sia rivolto, insieme agli altri, verso la divinità.

La conclusione che si prospetta sono un Messale latino con front pagina in lingua locale: ed è un giusto compromesso. Il latino è una lingua stabile che non si evolve più, mentre le lingue di uso comune si modificano continuamente, mutando anche il significato delle parole; pertanto un aggiornamento periodico si rende necessario.

La Messa con rito tridentino è una chance in più per la chiesa, molti fedeli e soprattutto i giovani guardano ad essa con interesse, riconoscendole un ruolo mistico e di concentrazione sulla preghiera che si è perso con l’avvento del nuovo rito. Quindi il nuovo è accettare la liturgia tradizionale, compenetrandola con la parte migliore dell’innovazione, il tutto senza stravolgere il significato di liturgia che è, fondamentalmente, l’adorazione della divinità, da parte dei fedeli.



Mi è sembrato, per qualche ora, di essere tornato sui banchi del liceo e vi confesso con un certo rimpianto, se aggiungete che il prof. Bux si è prestato anche a rispondere ad alcune mie domande, ciò non ha fatto altro che accrescere il piacere di una bella serata di Cultura, che è scivolata via fino a tarda ora.

(continuare la lettura clickando sul titolo)

Una vera Messa Cattolica.





Ho già scritto altrove della conferenza sul “Motu proprio” di Benedetto XVI, tenuta dal rev. Prof. Nicola Bux.
In seguito sono stato contattato dal comitato pisano S. Pio V, che mi chiedevano se avessi gradito presenziare ad una Messa in latino secondo il rito tridentino.
La cosa mi ha un po’ sorpreso e, molto probabilmente, non sarei andato, se non fosse che ne ho parlato con dei vicini.
Una coppia piuttosto anziana, molto religiosa, che larvatamente ha espresso il desiderio di potervi assistere, ma non guidando più, non avrebbero saputo come recarsi in quella chiesa, alquanto distante.
In fondo, pensai, posso far loro un favore e così dissi che li avrei accompagnati volentieri.
Era una chiesa parrocchiale di un piccolo comune in mezzo alla campagna, come ve ne sono tanti in toscana, non di eccelso valore artistico, ma ben tenuta e linda.
Il parroco vedendo tre volti nuovi, è venuto a salutarci e si è intrattenuto con noi per alcuni minuti, era evidente la sua contentezza e cordialità. Muniti di libretto in latino, con a fronte traduzione in italiano, ci siamo accinti ad ascoltare.
Una Messa semplice senza orpelli, senza chitarre e canzoncine, è stato come un tuffo in un passato, ormai remoto, quando piccoletto ci andavo con la mamma. La mia sorpresa più grande è stata sentire, il mio vicino, un ragioniere di 87 anni, che sapeva tutta la Messa in latino a memoria. Eppure doveva essere almeno 40 anni che non ne ascoltava una!
Un omelia semplice e perfettamente aderente al passo del vangelo, nessun “stravagante” riferimento politico e allora mi sono detto: finalmente una vera messa cattolica.
Si può credere o meno, ma, certamente, la messa in latino, al tempo stesso semplice e solenne, ispira di più che un’ omelia politicizzata e con musichette da cabaret.

Immagini sulla 9° di Beethoven

domenica 8 marzo 2009

HERAT - 8 MARZO 2009 (click)



8 Marzo: una tenente salentina
aiuta le «deboli» donne di Herat
tenente paola Treglia ad HeratSi fa presto a dire donna, in un Paese occidentale. Più problematico dirlo in Afghanistan dove la vita di una persona vale quanto un sasso lanciato durante una lapidazione. Ad Herat, tra gole e montagne, ci ha pensato una ragazza di Maglie a celebrare la giornata della donna: è una tenente dell’esercito italiano che fa parte del contingente nella regione ovest. Paola Treglia, con l’aiuto del maresciallo di 3ª classe dell’Aeronautica militare Virginia Cichella , e del caporalmaggiore Diana Bellomo, ha inventato una giornata in rosa pur vestendo la mimetica.
E, d’improvviso, quello che potrebbe essere nel resto del mondo un rito che si ripete in maniera un po’ stanca, si trasforma in una iniziativa rivestita da un significato «forte».
tenente paola Treglia ad Herat
«Invece che la solita cena fra ragazze – spiega l’ufficiale leccese - abbiamo pensato che fosse meglio fare qualcosa di utile a favore delle donne di questo Paese, dove la condizione femminile è ancora lontana dall’ot - tenere una parvenza di parità. Abbiamo quindi deciso di effettuare una donazione di materiale umanitario a due istituti di recupero di personale femminile, già costruiti dagli italiani negli anni scorsi».

Si tratta di centri protetti dove le fasce più deboli della popolazione, che per la tradizionale cultura locale sarebbero abbandonate ed ostracizzate dalla società, trovano invece un ricovero ed un sostegno: donne violentate, mogli ripudiate, vedove non accettate dalla famiglia del marito. Queste donne, insieme ai loro bambini, trovano rifugio nei centri di assistenza.

tenente paola Treglia ad Herat«A loro va il nostro affetto e la nostra opera in questo giorno dedicato in Europa al ricordo di una tragedia avvenuta negli Stati Uniti oltre cento anni fa – dice la ragazza con le stellette - ma dalla quale una nuova consapevolezza della energia delle donne è apparsa in tutta la sua forza». Hanno contribuito all’attività umanitaria il Rotary Veneto, Rotary Friuli, Caritas di Bergamo e Protezione civile di Foligno. (Biagio Valerio)


8/3/2009

mercoledì 4 marzo 2009

L'ultimo mutuo soccorso

Corsivo









L'ultimo mutuo soccorso

Anna, Lina, Enrico e Marcello, quattro liceali all’esame di maturità.

Dopo cinque anni di duro Liceo arrivò il giorno degli esami finali: la tanto temuta maturità.Non era un esame da poco, sei scritti e nove orali ed in più dovevano essere preparati sul programma degli ultimi tre anni, in pratica su tutto quello che avevano studiato.
In quinta erano rimasti in dodici e tutti molto affiatati, ma i quattro, che sedevano due al primo banco e due al secondo, avevano cementato una solida amicizia, tanto solida, che il professore di lettere affibbiò loro il nomignolo di società del “mutuo soccorso”. Infatti se uno di loro si trovava in difficoltà, su qualche argomento, prontamente scattava,da parte degli altri, un aiuto sotto forma di suggerimento.Finite le lezioni, prepararono gli esami insieme, ospitandosi a turno nelle rispettive case e così, per un mese, mentre gli altri erano al mare, si sacrificarono in maniera disumana.
Lina era, sicuramente, la più dotata del gruppo, una formidabile latinista: la migliore di tutta la scuola. Per fortuna che c’era lei, la versione di latino era un brano difficile, ma con pochi suggerimenti, ben dati, mise tutti in grado di fare una buona traduzione.
Arrivò il giorno atteso e temuto: quello dell’esposizione dei quadri con i risultati; con comprensibile timore e con il cuore che pulsava al massimo, si accinsero a leggere la sentenza.
Un urlo, più di liberazione che di gioia: tutti e quattro promossi! Un ottimo risultato, erano i tempi in cui se zoppicavi in una materia, ti rimandavano a settembre e se eri deficitario in tre, ti facevano ripetere l’anno senza tanti complimenti.
La sera stessa Enrico chiamò Marcello e tutto eccitato gli disse: sai papà, per premio, ci offre a tutti una serata alla Bussola, quando c’è Mina, macchina ed autista; telefona a Lina che io chiamo Anna.
All’epoca, la Bussola delle Focette in Versilia, era il locale più “in” d’Italia, arrivarci con tanto di macchina con autista ed in abito da sera, era certamente un evento memorabile.
Lina non aveva il telefono, così chiamò la zia, che abitava accanto e che faceva la sarta, pregandola di farla venire all’apparecchio. Ciao Lina, e tutto d’un fiato disse: il papà di Enrico ci offre una serata alla Bussola, quando c’è Mina! Dopo un attimo di silenzio: sai non so se il mio babbo mi ci manda e soggiunse un po’ mestamente, poi non saprei cosa mettermi.
Sarebbe voluto sprofondare e mentalmente si dette dello stupido, nell’ euforia del momento non aveva pensato, che la sua famiglia l’aveva fatta studiare con grandi sacrifici e che comprare un abito da sera con tutti gli accessori, era una spesa che non si sentiva di chiedere in casa.
In un attimo gli passarono per la mente i cinque anni di liceo, gli esami fatti insieme, gli aiuti che generosamente gli aveva dato e si disse che questa volta il “mutuo soccorso” doveva funzionare anche fuori della scuola: costi quello che costi.
Senti: pensa a convincere il babbo per il resto non ti preoccupare, in qualche maniera faremo.
Chiamò Anna, Enrico aveva già messo molto, per cui era una questione che dovevano sbrigare loro due, le spiegò la situazione ed anche lei convenne che Lina doveva venire in tutte le maniere con loro.
Potrei darle un mio vestito, ma andrebbe rifatto tutto lei è molto minuta; visto che non ci arrivava da sola, Marcello, scandendo bene il suo cognome, disse: nei tuoi negozi avete migliaia di metri di stoffa, non fare la tirchia! Il messaggio era chiarissimo, tanto che rispose tra il risentito e lo scherzoso: non vorrai alludere al fatto che sono ebrea vero? No, solo che sei molto oculata nelle spese… Datti da fare e non lesinare sui centimetri, ricordati che deve essere un abito lungo. In cinque anni non l’aveva mai sentita dire una parolaccia, evidentemente in tutte le cose c’è sempre una prima volta……
Rimanevano da trovare una collana, la borsetta e le scarpe. Per la collana, non c’erano problemi la sorellina di Marcello aveva ereditato dalla nonna alcuni gioielli ed essendo troppo giovane, aveva ampiamente sottovalutato il loro valore e li avrebbe prestati facilmente; aveva anche una borsetta in lamè d’argento, ma a quella teneva moltissimo. Cara sorellina! Che cosa vuoi, fu la sua sospettosa risposta; ecco…mi dovresti fare un favore….dovresti prestare a Lina una collana e …e la tua borsetta da sera. Ah! per andare alla Bussola? Bene bene bene, pensò: il caro fratello ha bisogno di me.
Sai anch’io dovrei andare ad una festa, ma babbo, da sola, non mi ci manda….se….però mi accompagnassi tu…cambierebbe idea. Non era proprio un ricatto, ma gli assomigliava molto….
Alla fine giunsero ad un’equa transazione: una parure di perle, un braccialetto d’argento e la borsetta di lamé; in cambio l’avrebbe accompagnata alla festa, sarebbe tornato a riprenderla, pur rassicurando il loro padre che sarebbe rimasto tutto il tempo con lei. Ora rimanevano le scarpe. Aveva racimolato qualche soldo dagli zii per la promozione e decise di sacrificarli in questa operazione; presa la borsetta andò nel negozio in cui erano soliti servirsi in famiglia, pensando che uno sconto glielo avrebbero fatto.
Ciao Marcello, lo salutò il proprietario del negozio, li vuoi un bel paio di mocassini estivi?….sono appena arrivati. No voglio un paio di sandali con il tacco alto e, tirando fuori la borsetta, di questo colore. Sandali? Borsetta? E ridendo: ma guarda che strano effetto ti hanno fatto gli esami di maturità…. Beh gli dovette spiegare per filo e per segno tutta la storia e fu un bene.
Prese un paio di sandali: ecco questi dovrebbero andare bene, sono i più belli che abbia in negozio. Per essere belli erano belli, anzi bellissimi, ma, avevano un grosso difetto, costavano tre volte quello che poteva spendere, anche chiedendo uno sconto, erano sempre fuori portata. Un po’ imbarazzato gli disse: te li pago una parte subito e una parte un po’ alla volta. Sul momento rimase in silenzio, fece un bel pacchetto e, mentre glielo consegnava, bofonchiò: io a queste condizioni non vendo. Prendi i sandali e vai. Ciao.
Era stato molto generoso, il fatto che Marcello, Enrico ed Anna, con le rispettive famiglie, fossero suoi clienti avrà anche influito, ma sicuramente non era stato obbligato a farlo.
Squillò il telefono e con voce gelida Anna annunciò: Marcello, ho la stoffa, passami a prendere che la portiamo alla zia di Lina. Il tono non ammetteva repliche, se l’era presa a male per quello che le aveva detto prima.
Lina e sua zia abitavano nel quartiere livornese chiamato Venezia, la parte più antica della città, un susseguirsi di ponti e canali con i caratteristici scali.


La sua costruzione risale alla fine del ‘500.





Una parola in più meritano gli scali, essendo una città dedita, da sempre, al commercio le rive dei fossi erano, quasi ovunque, dotate di attracchi per le imbarcazioni che trasportavano le merci da stivare nei magazzini, ricavati sotto le case. In seguito, la fine del regime di porto “franco” e lo svilupparsi della città verso sud, fecero declinare questo quartiere, oggi, per fortuna, è stato quasi del tutto ricuperato.





Negli anni ’60 erano ancora ben visibili i pesanti segni lasciati dall’ultima guerra, molti i palazzi distrutti e quelli danneggiati rattoppati alla meglio. Proprio in uno di questi abitava la famiglia di Lina e, mentre attendevano che sua zia aprisse la porta, Marcello chiese ad Anna di che colore fosse la stoffa. Turchese. Turchese? Sarà uno scampolo che avevano in negozio, pensò.

Lei intuì cosa gli passasse per la testa e soggiunse: ”Non dire ad alta voce quello che stai pensando perché, altrimenti, la nostra amicizia finisce qui”.Alla vista della stoffa la zia, che facendo la sarta di tessuti se ne intendeva, esclamo: è di seta! Il turchese è il colore di moda! Mostrandoci una rivista, disse lo faccio uguale a questo, verrà un bellissimo vestito!

Marcello non ebbe bisogno di leggere nel pensiero di Anna, quello che gli voleva dire l’aveva ben stampato a chiare lettere sul volto: ”hai visto, cretino”

In effetti aveva fatto le cose in grande, un tessuto molto costoso ed aveva, persino, aggiunto una bottiglietta di smalto per unghie madreperlato. Le scuse furono doverose.

Marcello si attendeva qualcosa dai suoi ma, come al solito gli avrebbero fatto un “inutile” regalo “utile”, questa volta si sbagliò: ricevette una congrua cifra di denaro.

La sera dell’uscita, in casa di Lina c’era un certo fermento, gli ultimi ritocchi al trucco ed ai capelli, la zia che le sistemava il vestito, un andirivieni di amiche e parenti; tutti avevano qualcosa da dire e da suggerire. Finalmente scese, a tutte le finestre del palazzo c’era gente a guardare e a commentare ma, i più bei commenti furono quelli della sua nonna: “ oh mamma ! come è bella la mi’ Lina! E quella macchina è più lunga del “filobusse”! E poi quei du’ ragazzi vestiti come pinguini del parterre (lo zoo)…ma “un è mi’a ‘arnevale…”. Zitta nonna, quello è l’abito da sera per gli uomini…. Ah, se lo dici tu … rispose non convinta, “Deh!sarà…ma a me mi sembrano pinguini”.

Anche Enrico aveva fatto le cose in grande: tavolo per quattro in prima fila, proprio vicino al palco, dove si sarebbe esibita Mina.


Venne il cameriere a prendere le ordinazioni e Marcello anticipando tutti, con una certa nonchalance ordinò: “ci porti una bottiglia di champagne e che sia Dom Perignon”. Erano i tempi in cui James Bond furoreggiava in tutti i cinema ed era il mito dei ragazzi di allora. Si era appena allontanato il cameriere che i tre in coro gli dissero: “ma che sei impazzito!” Piatti e bicchieri per tutto il resto dell’estate te li lavi da solo!Ragazzi ricapitoliamo il tutto. Abbiamo fatto un’ entrèe hollywoodiana, siamo arrivati con una macchina uguale a quella del presidente della repubblica, con tanto di autista in livrea, voi ragazze siete in abito da sera e noi in smoking, cioè come pinguini per dirla come tua nonna, i paparazzi fuori, non sapendo chi fossimo, nel dubbio ci hanno fatto anche le foto, siamo seduti in prima fila nel locale più famoso d’Italia per ascoltare Mina… e che volevate ordinare? una Coca Cola con quattro cannucce? Il ragionamento non faceva una grinza ma, dovette mostrare loro il portafoglio ben rifornito per tranquillizzarli, poi la voce squillante di Mina riempi di allegria e spensieratezza il locale.

Fu l’ultimo intervento del ”mutuo soccorso”, dopo pochi mesi la “società” si sciolse tristemente. Un male incurabile aveva reciso la giovane vita di Lina e la loro sincera amicizia, offuscando, per sempre, con il dolore, i più bei ricordi di quegli anni giovanili.



martedì 3 marzo 2009

Dissolvenza

lunedì 2 marzo 2009

Anni '80 dalla Versilia al Golfo di Baratti




Il dualismo della vita, oscillante tra gli arché del bene e del male, tra vette agognanti il cielo e terribili deserti, tra dotta conoscenza e luoghi comuni, tra spirito e materia, tra poesia e prosa, tra razionale ed irrazionale, ha tracciato, in questi mari, con mano tremolante, la rotta dell’incerto navigare dell’esistenza.


“Nel mezzo del cammin di nostra vita”, quando il corpo biologico riesce ad esprimere, nella sua interezza, la spavalda volontà di potenza della mente, un manager, superrazionale, supertecnologico, assertore del tutto previsto e calcolato, un meccanismo praticamente perfetto, è convinto di eludere questa tentennante logica manichea.


Anni ’80. Dalla Versilia al golfo di Baratti sulla costa degli Etruschi.


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Un lavoro durissimo per cinque giorni alla settimana, poi due giorni di relax, nei quali concentrare tutta la sua vita privata di scapolo impenitente. Non gli era oltremodo difficile, trovare, per il finesettimana, qualche ragazza disposta, a viaggiare in macchina sportiva, ad andare nei migliori alberghi, nei ristoranti ai primi posti della guida Veronelli e nei più famosi locali notturni, una vita che, allora, gli sembrava il massimo. Una volta gli andò buca, non che gliene fosse importato più di tanto, ma fu il giorno in cui crollò il mito del superuomo e si decise il suo futuro per sempre.


Voleva mettere in atto il piano B, ossia cena frugale in casa, con grande sollievo per il suo fegato, musica classica e sprofondarsi nella sua poltrona preferita con un buon libro, quando incontrò un amico, che, nel vederlo, non riuscì a nascondere un sorriso ironico. Se sei qui vuol dire che, stasera, non hai niente da fare, dammi una mano, viene la mia ragazza, ma con un’amica allora capisci….Gli ricordò, maliziosamente, alcuni suoi favori e non poté rifiutare.




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Nella luce soffusa, di un piccolo ed esclusivo pianobar di un lussuoso hotel affacciato sul mare, le note di “September morn” si diffondevano languide e un po’ melanconiche, in un’atmosfera ideale per innamorati, volgendo lo sguardo vide l’amico con le due ragazze. Bionda, capelli lunghi fluenti sulle spalle, un bel viso con un sorriso un po’ enigmatico, un’eleganza sobria, non appariscente, un’ottima cultura ed educazione, promettevano una piacevole serata.





Conversarono a lungo, ma avvertiva in lei un certo distacco nei suoi confronti, tanto che il saluto finale fu, un quasi glaciale, ciao.


Nei giorni a seguire, si sorprese, sempre più spesso, a pensare a lei, finché decise di rivederla, ma come fare? Non avrebbe accettato, da lui, un invito per una cenetta tête à tête, gli aveva, con una scusa, perfino rifiutato il suo numero telefonico.


Erano alcuni anni che non organizzava una festa, così comunicò la sua intenzione, alla “tata”, una cara signora, che l’aveva visto da piccolo e che continuava a curare la casa, anche dopo la scomparsa dei suoi genitori. Lo guardò e sorrise. Una ragazza vero?…era l’ora che tu mettessi la testa a posto, soggiunse.


Era un’artista per queste cose, organizzò un cena perfetta, apparecchiando la tavola in maniera superba. Ogni dettaglio era stato curato nei minimi particolari. Per segnaposto le signore avevano una rosa tea gialla, ma per lei una rosa rossa. Aveva capito il genere di musica che le piaceva, pertanto registrò un nastro ad hoc, insomma tutto previsto e calcolato, come sua abitudine. Così, almeno, credeva e con l’animo diviso fra timore e speranza, si apprestò ha ricevere gli invitati.


La festa riuscì bene, anzi benissimo per gli amici, mangiare e bere a sbafo fa sempre piacere e mette di buonumore. Due non si divertirono: lei e lui. Nonostante la bella musica e l’allegria degli amici, non riuscì a rompere il ghiaccio, era palesemente impacciato, una situazione per lui nuova, che sfuggiva al suo controllo. Andando via, lei non prese neanche la rosa, insomma, una disfatta su tutta la linea. Il suo io razionale gli suggeriva di lasciar perdere, non ne valeva la pena, c’erano tante donne al mondo, ma, rinunciare così, assomigliava troppo alla storia della volpe a proposito di una certa uva. Cercò di capire cosa gli stesse succedendo, possibile, si chiese, che tutta la sua razionalità e la sua sicurezza, fossero scomparse di colpo? Giunse all’unica conclusione plausibile, la sua parte d’irrazionalità si stava prendendo una grossa rivincita e dovette ammettere, con sé stesso, che malgrado i suoi 35 anni, era innamorato, innamorato cotto e, per giunta, non corrisposto.


Aveva bisogno di un periodo di riflessione per cercare di riprendere un certo equilibrio, fece felice il grande capo andando, dove nessuno voleva andare, in certi puzzolenti paesi arabi a visitare ricchi clienti, ma altrettanto puzzolenti. Dopo 15 giorni, non ne poteva più, soprattutto della cucina che gli chefs orgogliosamente chiamavano internazionale, cioè, una vera schifezza. Il tarlo, che lo rodeva dentro, non accennava a placarsi, anzi il desiderio di rientrare e rivederla aumentava sempre più.


In ufficio era veramente insopportabile, al punto che, una sua collega, gli chiese cosa avesse. Era la sua più stretta collaboratrice, una ragazza con un viso passabile ed il resto nascosto da abiti lunghi e larghi, scarpe in terra, insomma un po’ scialba ed insignificante, ma, d’altronde, quel che contava, era la sua efficienza sul lavoro.


Una volta si era sfogata con lui, quando il suo ragazzo l’aveva lasciata, memore, di questo fatto, le confidò le sue ansie e seguì i suoi consigli. Gravissimo errore, mai fidarsi delle donne in questo campo.


La cosa che ingelosisce e stuzzica una donna è vedere un suo corteggiatore uscire con un’altra, fai in modo che succeda, in fondo cosa hai da perdere e soggiunse peggio di così…. E pensò,fra sé, non credevo che avesse anche un cuore.


Bene pensò, la ragazza è la persona adatta, conosce la situazione, non è molto appariscente e quindi più credibile. Così telefonò all’ amico, che l’aveva messo nei “guai” pregandolo di organizzare un incontro.


Dopo qualche giorno, lo chiamò dicendo di aver prenotato per un sabato, in un notissimo locale della Versilia, due tavoli ed aggiunse, ridacchiando, naturalmente il conto, questa volta, lo paghi tutto tu.




La sera passò a prendere la collega, poco convinto ed anche pentito, per la sceneggiata che si apprestavano a fare, temeva il “peggio” ma, non sapeva, quanto sarebbe stato “peggio”.


Quando la vide rimasi letteralmente sbalordito, quello che aveva sempre creduto un brutto anatroccolo era invece un cigno, abito da sera corto, generosa scollatura, tacchi altissimi, trucco e messa in piega che tradivano le svariate ore passate dal coiffeur. Con l’aria più innocente di questo mondo, facendo un giro su sé stessa, gli chiese: come mi sta il vestito? Una serie di campanelli d’allarme risuonarono nella sua testa ma, ormai, era troppo tardi.


La serata iniziò nei peggiori dei modi, si ritrovarono tutti insieme, ma lei non era sola, dopo un saluto di convenienza, ognuno si sedette al proprio tavolo.


Inutilmente si ripeteva, che essendoci meno che niente fra loro, lei era liberissima di fare quello che voleva, ma vederla, in compagnia di un altro, gli dava fastidio e non poco.


I loro sguardi si erano incrociati più volte e lei, si interrogò, su quell’uomo, certamente interessante, che le faceva una corte discreta quanto insistente, ed ammise con sé stessa che non le era del tutto indifferente, ma le faceva un po’ paura: non voleva finire sulla sua agenda di lavoro, mescolata agli altri impegni, magari in coda a quella moretta.


La giovane collega, che, in cuor suo, si divertiva moltissimo a vederlo imbarazzato, pensò che se doveva fare la parte, ebbene, l’avrebbe fatta fino in fondo; e non sarebbe stato male togliersi qualche sassolino dalla scarpa, per certe sue osservazioni sul lavoro, che non aveva ancora digerito. Quando si attenuarono le luci e l’orchestra iniziò a suonare quella musica galeotta, attesa dalle coppie innamorate , si alzò e lo sospinse a ballare. Con aria falsamente seria cominciò a dirgli, quanto ti devo stare vicina? va bene così o di più? ti devo appoggiare la testa sulla spalla? o forse è meglio che ti accarezzi la nuca?


Era decisamente troppo.


Da quel giorno fece la cosa migliore: snobbò tutti e si dedicò interamente al lavoro. Pensava, a malincuore, di dover archiviare l’episodio ed invece si sbagliava.




Una sera, la dolce melodia della rapsodia in blu di Gershwin, fu interrotta dal trillo stonato del telefono, rispose piuttosto seccamente, ma... era lei, che con voce molto imbarazzata, gli disse: sei l’unico che sia riuscita a rintracciare. Si trovava, con la macchina in panne, in un’area di servizio, sulla autostrada della Cisa.


Il primo impulso fu quello di dirle chiama il carroattrezzi, ed invece le chiese ma il tuo fidanzato non è reperibile? Risata: ma non sono fidanzata sei tu che sei fidanzato! Io? Io no. E quella moretta allora?


Non aveva una spiegazione plausibile da darle e non poteva certo dire la verità, così tagliò corto: nel giro di un’ora sono da te. Frustò a sangue i 280 cavalli del porsche e ci arrivò in 40 minuti, erano tempi in cui l’Italia era ancora un paese libero, niente sgherri di sindaci assetati di soldi, dietro i cespugli, pronti a impallinarti con l’autovelox, nessuna telecamera per ficcare il naso nella tua vita. Il “Grande Fratello”, doveva ancora nascere.


Durante il tragitto, verso casa sua, lasciò che i cavalli della macchina si riposassero e si prese un po’ di tempo in più, il caso gli aveva dato una prova di appello e non voleva sprecarla. Così chiacchierando del più e del meno, ma con il cuore in fermento, ebbe la netta sensazione che il ghiaccio si stesse sciogliendo, infatti, al momento di salutarsi, lei gli dette un fuggevole bacetto sulla guancia, non era niente, ma gli provocò una scarica di adrenalina e lo indusse a sperare.


Si rividero spesso, ma lasciò che il tempo lavorasse per lui, capì che lei non cercava l’esteriorità che poteva offrirle e della quale, fra l’altro, non aveva affatto bisogno, cercava l’amore e voleva avere la certezza che fosse vero amore.


Una noiosa giornata estiva, diventò il “loro” giorno.



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Stanchi di bivaccare sui lettini di un supersofisticato stabilimento balneare versiliese, infastiditi da signore imbellettate e imbalsamate, con mariti o amanti, più o meno commenda, sproloquianti sulle loro lucrose attività, in pratica dei parvenues, lanciò l’idea di passare la giornata in una spiaggia libera.


L’accettare con entusiasmo, di passare una giornata da sola con lui, le fece capire che le sue difese stavano lentamente cedendo, lo guardò con altri occhi, e, si chiese se fosse veramente l’uomo della sua vita ,se fosse l’amore che cercava.


Decisero per lo splendido golfo di Baratti sulla costa degli Etruschi tra Populonia e S.Vincenzo, in provincia di Livorno. In quei tempi, era poco frequentato, privo di comodità, ma con tranquille calette, una della quali li accolse.




Davanti ai loro occhi, in un cielo azzurro, screziato da bianchi cirri, si ergeva, antica sentinella, la rocca medioevale di Populonia, sovrastante un promontorio a picco su un mare blu intenso, un vero e proprio invito a tuffarsi nelle sue onde.


L’acqua, scintillante per i raggi del sole, era così cristallina, che si azzardarono a gustare dei frutti di mare, raccolti lì per lì.


Avevano, come per un tacito accordo, evitato di parlare di loro, una vacanza da tutto e da tutti, liberi da condizionamenti, godevano di quello che la natura offriva e così, tra un tuffo e l’altro, la giornata scorse via felice e spensierata.


Sul tardo pomeriggio, sentirono la necessità di fare una doccia, ma dove andare? La soluzione più ovvia era andare in un albergo, che conosceva, a pochi minuti da lì o, in alternativa a casa sua, ad una cinquantina di minuti. Non volendo sciupare la giornata e il rapporto, pazientemente costruito in quei mesi, con delle proposte, logiche quanto vuoi, ma male interpretabili, le disse: devi avere pazienza, per arrivare a casa tua, ci sono circa tre ore di macchina.


Lanciandogli un’occhiata, che, quasi certamente significava “o ci sei o ci fai”, rispose: perché, a casa tua no? Si meravigliò lei stessa di questa risposta, che le era uscita spontanea, quasi senza accorgersene e, durante il tragitto, si sorprese a pensare, come sarebbe cambiata la sua vita.


Entrando, in casa, lui si rese conto di quanto fosse triste e fredda, da tempo la gioia e l’allegria erano scomparse; spalancò tutte le finestre, per fare entrare quanta più luce possibile, e giurò, a se stesso, di cambiare vita.


Quel giorno conobbe l’amore, capì cosa fosse l’amore, niente a che vedere con l’amore da weekend, che il lunedì si dissolveva nel vuoto, ma quello vero, il corpo e l’ anima di un uomo e una donna che si fondono, con gioia immensa, in un tutt’ uno, in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio: la grande rivincita dell’irrazionale sul razionale.


Lei era entrata non solo nella sua casa e nella sua vita ma, soprattutto, dentro di lui, e, da quel giorno, non ne è più uscita.


Passarono dei mesi felicissimi, la sua casa,finalmente risplendeva di luce e di gioia, come da molti anni non accadeva. Partirono per una lunga vacanza e, al ritorno, decisero di sposarsi, non c’era alcuna necessità di farlo, non interessava loro firmare uno stupido contratto per sancire, per legge, quello che nessuna legge potrà mai imbrigliare: i sentimenti. Se qualcuno avesse domandato loro la data del matrimonio, avrebbero dovuto pensarci prima di rispondere, ricordavano infatti, come anniversario, quel giorno felice sugli scogli di Baratti.




Il fiore che non voleva sbocciare.



Un matrimonio, unico nel suo genere, lo parteciparono solo ai pochi familiari stretti e, ovviamente, ai testimoni, esonerando tutti dal fare regali. Un pomeriggio, la cerimonia brevissima e un doveroso cocktail di scuse per gli intervenuti.


Nessun viaggio di nozze perché erano appena tornati dalla “loro” vera luna di miele, insomma tutto solo per i figli. Questo era il motivo per cui si erano sposati.


Già i figli. Ma quali figli? Mese dopo mese, anno dopo anno ,niente, niente di niente.


Era l’unica zona d’ombra nella loro vita, sorprendeva spesso, sua moglie, con gli occhi umidi di pianto e gli si stringeva il cuore.


Si sottoposero a numerose visite mediche, anche umilianti, ma la risposta era sempre la stessa: non ci sono motivi per cui non possiate avere figli. E allora perché neanche un bambino?


Dopo otto anni si era rassegnato e così pensava di sua moglie, ma una mattina lo chiamò al telefono in ufficio, eccitatissima gli grida aspetto un bambino! Aspetto un bambino! e soggiunse è stato il Papa. Non le credette e si lasciò sfuggire un battuta di pessimo gusto. E’ stato il Papa? Non male come amante. “Più veloce della luce” gli arrivò una pesante considerazione sul numero e sulla qualità dei suoi neuroni e gli sbatté giù il telefono. Chiamò la suocera che gli confermò, si è vero, analisi e controanalisi e aggiunse,con voce serafica, finalmente ce l’hai fatta. Le sue parole assomigliavano molto ad un insulto, ma era un bel giorno e rinunciò a spiegarle, quale fosse il suo pensiero sulle suocere, sicuramente non sarebbe mancata l’occasione. Felice, come non mai,con l’animo in subbuglio ,fece recapitare a casa un mazzo di rose, comprò dello champagne e volò da lei.


Una cosa non gli era chiara: il ruolo del Papa. Poi si ricordò che, circa due mesi prima, era venuto nella loro città e sua moglie era andata a vederlo. Sicuramente, pensò, gli avrà chiesto la grazia di avere un bambino.


Non credeva ai miracoli, però la coincidenza era strana, e sua moglie divulgò questo episodio ad amici e conoscenti.


A casa trovò a festeggiare, la suocera, la cognata e l’immancabile tata, aprì la bottiglia e fece per offrirne un bicchiere alla moglie, ma che fai? Sei impazzito? Gli urlarono dietro! non sai che l’alcool fa male ai bambini……..


In quel momento gli fu chiaro cosa lo aspettasse negli otto mesi successivi.


Fecero la felicità di tutti i laboratori di analisi della città e dintorni. Sua moglie, sempre intenta a leggere pacchi di riviste mediche sull’argomento, scoprì che esisteva un esame, la mappa cromosomica, praticamente l’antesignana del DNA e volle fare anche quello. D’altronde l’ansia li attanagliava entrambi, la paura che qualcosa non andasse nel verso giusto, era grande.


Al momento del ritiro delle analisi; il medico, un suo ex compagno di liceo, gli mostrò le tre mappe e cominciò una lunga dissertazione, facendogli notare, con dovizia di particolari, come i suoi cromosomi e quelli della moglie fossero confluiti in quelli della figlia. E allora? disse un po’ preoccupato. No. Niente,stai tranquillo, tutto a posto, è da più di quattro milioni di anni che i bambini nascono così, pensavi di essere originale? Quando gli presentò la parcella ,capì perché si era tanto dilungato. Stava uscendo, quando, ridacchiando il dottore aggiunse: telefona al Papa e digli che non è sua figlia. Questa volta si prese un bel vaffa.


Si, era una bambina, che, ancor prima di nascere, aveva una collezione di foto da fare invidia a una top model, aveva perso il conto di quante ecografie avesse già fatto.


Una sera, rientrando a casa, trovò la moglie piangente e le altre con facce lugubri, temendo il peggio, chiese cosa fosse successo. Sono cinque ore che non la sento muovere, disse la moglie, tirò un sospiro di sollievo e ridendo disse, ma guarda che sta dormendo e poi, stamani sei andata a fare l’ecografia ed era tutto regolare.


Non avrebbe dovuto pronunciare la parola ecografia. Saltò su la suocera, bisogna fare un’altra ecografia, le rispose che intanto cenava e che poi sarebbe andato a letto.


Ah! vorresti ammazzare “mia” figlia e “mia” nipote? No, solo la loro “mamma” e “nonna”, rispose. Intervenne la cognata, guarda che ti assumi tutte le responsabilità.


Stava per mandarle a quel paese, quando la pugnalata alle spalle arrivò, da chi non si sarebbe mai aspettato, dalla tata. Ci hai messo ben otto anni per fare una bambina, vuoi rischiare per una stupida eco? Discutere con quattro donne coalizzate è una battaglia persa in partenza, indossò la faccia di bronzo, riservata ai clienti speciali, e telefonò al ginecologo. Ah ciao! è venuta tua moglie stamani, una gravidanza perfetta, vedrai tra una ventina di giorni una bella bimba…ma non te l’ha detto ? Si me l’ha detto, ma ora, ecco, vedi..


Fu molto carino a non mandarlo direttamente a quel paese e a non fare apprezzamenti, che mettessero in dubbio la moralità di tutti i suoi ascendenti di genere femminile. Disse solamente, ti do un consiglio, cambia macchina, ma questa volta comprane una che faccia l’ecografie, così la pianti di rompere i c.. a quest’ora ! e troncò la comunicazione.


Dopo pochi minuti, forse aveva riletto il giuramento di Ippocrate o forse gli dispiaceva lasciarlo in pasto alle belve, richiamò pronunciando un rassegnato: ok venite.


La nascitura, come previsto, dormiva succhiandosi beatamente il pollice. Fu la rivincita: l’avevo detto che dormiva! Gongolava, mentre, il dottore strigliava a dovere le gentili signore.


Dopo pochi giorni nacque la loro unica figlia ed in seguito non ebbero altri bambini e, ogni tanto, torna loro in mente quell’ episodio del Papa…chissà.