sabato 31 maggio 2008

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Nucleare, la fusione fredda funziona
di Ludovica Manusardi Carlesi

Ce l'hanno fatta: il primo esperimento pubblico di Yoshiaki Arata di Condensed Matter Nuclear Science, meglio nota come fusione fredda è stato un successo. Poche ore fa all'Università di Osaka è stata dimostrata, di fronte a un pubblico qualificato, la realizzazione di quello che viene definito ormai "Arata Phenomena". La prova è stata compiuta facendo diffondere Deuterio gassoso su una matrice a struttura nanometrica di 7 grammi composta per 35% di palladio e per il 65% di ossido di zirconio alla pressione di 50 atmosfere, la metà della pressione di una idropulitrice per autolavaggio. Il calore, prodotto fin dall'inizio, e cioè in concomitanza dell'immissione del Deuterio, ha azionato un motore termico che si è messo in moto cominciando a girare.
Dopo circa un'ora e mezzo l'esperimento è stato volutamente fermato per effettuare le misure della presenza di Elio-4 a testimonianza dell'avvenuta fusione. Non sono state evidenziate emissioni di origine nucleare pericolose ( l'elio-4 è inerte). L'energia riscontrata è stata circa di 100.000 Joule, equivalente grosso modo a quella necessaria per riscaldare di 25 gradi un litro di acqua ( si tenga presente la modesta quantità della matrice nanometrica, 7 grammi). Quanto all'Elio, la quantità è assolutamente confrontabile e compatibile con l'energia prodotta, ed è la firma inequivocabile dell'avvenuta fusione nucleare. Al di là delle quantità misurate, si apre ora un capitolo nuovo nella comprensione dei comportamenti e delle reazioni che hanno luogo nella materia condensata, comportamenti che sembrano differire dai modelli fin qui seguiti dalla fisica nucleare classica.

A partire da oggi inizia un'altra fase, altrettanto delicata, legata principalmente a due fatti: la ripetizione dell'esperimento con una quantità maggiore di Palladio-Zirconio per ottenere quantitativi maggiori di energia; l'estrazione dalla matrice dell'elio senza danneggiarla e poterla così riutilizzare.

giovedì 29 maggio 2008

LAGO

martedì 27 maggio 2008

“Boris Giuliano” secondo Billitteri (click)


È da ieri nelle librerie il libro di Daniele Billitteri Boris Giuliano, la Squadra dei Giusti (Aliberti Editore, 224 pag., 16 euro). Il libro racconta la storia di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo dal 1976 al 1979 quando, il 21 luglio, venne ucciso dalla mafia. Ma racconta anche la storia degli uomini che in quella formidabile stagione lavorarono insieme con lui. Un libro per ricordare ma anche per raccontare come l’antimafia moderna sia partita da quegli anni quando ancora non c’erano le leggi antimafia ne i pentiti ma solo una squadra di uomini in gamba e un capo che sapeva fare il capo. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un brano del libro.

BJORN LOMBORG SMENTISCE AL GORE

27 maggio 2008
Da oggi in libreria
"Stiamo freschi"
L’ultimo libro di Bjørn Lomborg, l’ambientalista scettico che spiega perché Al Gore ha torto

"Dobbiamo garantirci un vasto supporto di base e catturare l’immaginazione del pubblico, il che implica un’amplissima copertura mediatica. Quindi dobbiamo presentare scenari spaventosi, fare dichiarazioni semplicistiche ma drammatiche tralasciando di citare i dubbi che potremmo avere”. A parlare è Stephen Schneider, uno dei più famosi esperti di global warming al mondo, la dichiarazione è contenuta nell’ultimo libro di Bjørn Lomborg, “Cool it” (in uscita martedì 27 maggio per Mondadori col titolo “Stiamo freschi, perché non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale”). La frase di Schneider riassume alla perfezione l’ideologia da disastro ambientale che Lomborg intende ridimensionare. Quando nel 2001 scrisse “L’ambientalista scettico”, lo scienziato danese venne prima accusato di “disonestà scientifica”, poi – con disprezzo – di appartenere alla sempre più nutrita schiera dei “climate change deniers”, i negazionisti del cambiamento climatico, e infine di avere un modo di pensare agli esseri umani molto simile a quello di Adolf Hitler. Quest’ultimo paragone fu avanzato da R. K. Pachauri, presidente dell’Ipcc, il panel dell’Onu che studia i cambiamenti climatici, organo con cui l’ex vicepresidente statunitense Al Gore ha diviso il Nobel per la pace. Nel frattempo il biondo ex militante di Greenpeace è stato però anche inserito dal Time nell’elenco delle cento persone più influenti al mondo e meno di un anno fa definito dal giornale inglese The Guardian “una delle cinquanta persone che possono salvare il pianeta”.
L’idea di Lomborg è semplice: l’allarmismo che negli ultimi anni si è scatenato sul problema del riscaldamento globale è semplicemente esagerato. E comunque le misure che si vogliono prendere per contenerlo sono inefficaci e molto anti economiche. Con una spesa decisamente inferiore a quella prevista per portare a termine i grandi programmi sul clima si potrebbe intervenire in modo risolutivo sulle grandi malattie, il problema della fame nel mondo e della denutrizione e la mancanza di acqua in molte parti del globo. In “Stiamo freschi” Lomborg spiega, dati e studi approfonditi alla mano, come questa sua idea non sia il sogno utopistico di un visionario ottimista ma un progetto concretamente realizzabile. Così non contesta la teoria secondo cui l’aumento della temperatura mondiale negli ultimi anni sia dovuta alle emissioni di gas serra provocate dagli uomini, ma la prende sul serio e dimostra come le misure previste dal protocollo di Kyoto e da eventuali nuovi accordi ancora più restrittivi non solo siano irreali ma spesso controproducenti.
Il punto di partenza di Lomborg è – trattandosi di riscaldamento globale – la temperatura che aumenta. Benissimo, scrive, “e che cosa succede quando aumenta la temperatura?”. I media hanno capito che l’associazione di pensiero “global warming” uguale a “paura, terrore e disastri” fa vendere molte copie e pubblicare copertine particolarmente suggestive; i politici hanno capito che promuovere politiche sui tagli alle emissioni di CO2 e nel frattempo inevitabilmente aumentarle dà un’ottima immagine di sé all’opinione pubblica mondiale anche se alla fine non risolve nulla (Lomborg cita l’esempio della Gran Bretagna di Tony Blair che annunciando la volontà di ridurre del sessanta per cento le emissioni entro il 2050 intanto le ha aumentate del tre per cento; o l’ancora più divertente dato che spiega come negli otto anni della presidenza Clinton-Gore l’America abbia aumentato dell’undici per cento le sue). Sono proprio molti leader mondiali ad aver visto nel global warming “un’occasione per elevarsi al di sopra dell’irridente dibattito politico, vestendo gli abiti di filantropi e di statisti coinvolti nel grande tema della sopravvivenza del pianeta”, scrive Lomborg. E prosegue: “Il riscaldamento del globo è da tempo un tema perfetto. Perché permette loro di toccare argomenti grandiosi ma al tempo stesso vicini al cuore della gente, rende alcune tasse popolari e aiuta a relegare nell’ombra i veri costi della politica”. Tutto ciò ha molto appeal sulle folle, che arrivano anche a cantare, come durante una recente manifestazione ambientalista a Londra, cori con queste parole: “Che cosa vogliamo? Tasse sul biossido di carbonio! Quando le vogliamo? Ora!”. Cittadini che inneggiano alle tasse: probabilmente il sogno di qualunque uomo di governo. Che poi gli impegni che tanti politici stanno assumendo in questi anni abbiano scadenze talmente lontane da ricadere sulle spalle di chi prenderà il loro posto, questo lo dicono in pochi, sottolinea maliziosamente l’ambientalista scettico.
La paura da cambiamento climatico ha sempre eccitato la fantasia delle persone, come se si fosse davanti a un “evento a luci rosse”, scrive Lomborg. Fanno sorridere i titoli dei giornali all’inizio del XX secolo: nel 1912 il Los Angeles Times titolava che “La quinta era glaciale è in arrivo: la razza umana dovrà lottare contro il freddo per salvaguardare la propria esistenza”, e appena dieci anni dopo il Chicago Tribune spiegava che “Uno scienziato afferma che il ghiaccio artico spazzerà via il Canada”. Titoli che per lo meno ridimensionano “storie di copertina” di riviste come U.S. News & World Report che in questi anni annunciavano che “il riscaldamento globale avrebbe provocato siccità, malattie, sconvolgimenti politici, pestilenze, carestie, guerre e flussi migratori”. Se poi si pensa che negli anni Quaranta guerre e carestie erano previste entro l’anno 2000 per colpa del raffreddamento globale, l’invito a “discutere di questi temi in modo pacato” dello scienziato danese è condivisibile.
Stiamo calmi, oltre che freschi, sembra dire Lomborg dalle righe del suo ultimo libro: è vero, la temperatura aumenta, e forse è anche colpa dell’uomo, ma questo non significherà affatto guerre, carestie, inondazioni, uragani e malattie. Un caso per volta, l’ambientalista scettico danese prende i capisaldi della propaganda ambientalista “alla Al Gore” e dimostra come con misure più razionali e meno costose i tanti problemi per cui secondo i media abbiamo i giorni contati siano in realtà facilmente risolvibili. Lo scioglimento dei ghiacci fa annegare gli orsi polari? Applicando Kyoto ne salveremmo 0,06 all’anno. Diminuendo la caccia quarantanove. Milioni di persone muoiono per colpa della temperatura? Partendo dal presupposto che nel mondo la gente muore più per il freddo che per il caldo, con Kyoto ci sarebbero circa 84.000 morti in più, con misure alternative (più verde nelle città, diversi materiali con cui costruire le abitazioni…) ci sarebbe una netta diminuzione di queste morti. L’elenco è lungo, e va dai danni causati dagli uragani al numero di persone infettate dalla malaria, passando per i morti per fame e il deficit idrico mondiale fino al problema da Lomborg considerato il più grave e urgente: la lotta all’Hiv e all’Aids. Il costo annuo per applicare il protocollo di Kyoto sarebbe di 180 miliardi di dollari a fronte dei 52 spesi con misure alternative, definite “veramente efficaci”.

27 maggio 2008
Kyoto come il simbolo dell'anti americanismo
"Stiamo freschi" / 2
Dopo anni di allarmismo oggi qualche climatologo si sta rendendo conto di "avere creato un mostro"

Una delle basi da cui Lomborg è partito è il Copenaghen Consensus, un progetto che lui stesso spiega così: “Abbiamo domandato ad alcuni dei più autorevoli economisti a livello mondiale dove sarebbe stato possibile ottenere più in fretta i migliori risultati avendo a disposizione strumenti straordinari. Per ogni problema, abbiamo pregato gli esperti di proporre le migliori soluzioni. Per il riscaldamento globale avrebbero potuto essere la tassa sull’anidride carbonica o il protocollo di Kyoto”. Il gruppo di economisti ha così redatto la prima lista mai compilata delle “priorità globali”. La sorpresa è che la soluzione del riscaldamento globale è all’ultimo posto, rubricata sotto il titolo “cattive probabilità”. Non essendo però gli economisti a guidare il mondo, Lomborg ha fatto le stesse domande ai “leader del futuro, brillanti studenti di ottanta università di tutto il mondo, per il settanta per cento appartenenti a paesi in via di sviluppo”. Il risultato è stato lo stesso.
Nel mondo però ottengono ascolto (e fondi) solo gli scienziati che sostengono la teoria catastrofista delle conseguenze da riscaldamento globale. E qui Lomborg lancia un atto d’accusa innanzitutto deontologico ai colleghi scienziati: citando un altro noto climatologo scettico, Richard Lindzen, ricorda che “gli scienziati che si sono dissociati dall’allarmismo hanno visto i fondi per la ricerca sparire e il loro lavoro venire deriso, e sono stati diffamati come tirapiedi dell’industria, scienziati da strapazzo o peggio. Quindi le menzogne sui cambiamenti climatici hanno credito anche quando cozzano contro la scienza che dovrebbe esserne alla base”. Analizzando infatti i dati in possesso dello stesso Ipcc e di molti climatologi nel mondo, appare evidente come le conclusioni catastrofiste siano il frutto di una lettura deviata, a tratti ideologica, degli stessi dati. E’ anche vero però che nell’ultimo periodo molti scienziati si stanno rendendo conto di “aver creato un mostro” e stanno correggendo il tiro e abbassando i toni apocalittici, anche se chi si è costruito una carriera sull’allarmismo continua a svicolare: interrogato dagli scettici, Al Gore è solito rispondere in questo modo: “Il quindici per cento della gente crede che l’atterraggio sulla Luna sia stato girato su un set in Arizona e una percentuale appena inferiore crede ancora che la Terra sia piatta. Potrebbero riunirsi tutti un sabato sera, insieme con quelli che negano il riscaldamento globale, e festeggiare”. Appare fin troppo chiaro quanto sia difficile il dialogo che Lomborg auspica, ma la tesi del suo libro è che con un approccio più realista in futuro si potrebbero spendere molti meno soldi e risolvere problemi più gravi dell’aumento dell’anidride carbonica nell’aria. “Apprezzo il sotteso intento di aiutare l’umanità, ma l’incrollabile certezza che le riduzioni di anidride carbonica siano il modo migliore per farlo è problematica” scrive Biørn Lomborg in uno degli ultimi capitoli di “Stiamo freschi”. Con un paragone efficace qualche pagina dopo Lomborg spiega che circa il 90 per cento degli incidenti stradali mortali si verifica nei paesi del Terzo mondo e che si è calcolato che tra quindici anni questo tipo di incidenti sarà la seconda causa di morte al mondo. “Nel giro di ventiquattro ore”, dice lo scienziato, “potremmo salvare 1,2 milioni di vite umane, eliminare 500 miliardi di dollari di danni e impedire che milioni di uccelli rimangano uccisi dalle automobili ogni anno, e così facendo si rimedierebbe a una piaga che colpisce in primo luogo i paesi del Terzo mondo”. Basterebbe infatti abbassare i limiti di velocità a cinque chilometri orari: non morirebbe più nessuno. Ha senso? Lo faremo?, si chiede Lomborg. Ovviamente no: il rapporto tra i benefici del viaggiare velocemente e i costi in vite umane ci appare sproporzionato. Il ragionamento da fare sull’utilità dell’applicazione del protocollo di Kyoto (o simili misure) per risolvere l’aumento della temperatura è lo stesso.
Lomborg dice senza giri di parole che l’applicazione di Kyoto o di un’eventuale Kyoto II (come la maggioranza degli intervenuti alla conferenza internazionale sull’ambiente svoltasi a Bali pochi mesi fa chiedeva con insistenza) è dannosa oltre che inutile. Anche lui critica la non sottoscrizione del trattato da parte di Bush, ma solo perché se gli Stati Uniti si fossero uniti agli altri firmatari “sarebbe stato molto più evidente che il trattato non avrebbe mai funzionato”. Invece così Kyoto è diventato simbolo di opposizione all’America rimanendo in vita più del dovuto proprio per via di questa sua funzione simbolica. Per certi versi il documento ha assunto autorevolezza in certi ambienti proprio perché l’America non lo voleva. Peccato che nessuno si sia nel frattempo accorto, dice Lomborg, che “Kyoto si propone di cambiare in quindici anni modelli energetici centenari, finendo per costare una fortuna e non produrre praticamente nulla”. Cosa che militanti ambientalisti come Al Gore continuano a non ammettere senza dare risposte dirette, ma controattacando gli interlocutori con la tesi che “molte delle organizzazioni che pubblicano ricerche in cui si mettono in dubbio gli effetti del riscaldamento globale sono finanziate dai peggiori inquinatori”.
Fatto sta che man mano aumenta il numero di queste ricerche, che ad esempio dimostrano come il tanto temuto aumento del livello dei mari di parecchi metri nel giro di pochi anni per via dello scioglimento dei ghiacciai è in realtà valutabile in un massimo di trenta centimetri in cento anni: lo stesso aumento dei precedenti centocinquanta. E’ vero che “il dibattito sul global warming è un dibattito sulla nostra missione generazionale” come dice il già citato ex vicepresidente americano, conclude Lomborg, ma nel senso che costringe a questa domanda. “In pratica, che cosa vogliamo realizzare nei prossimi quarant’anni?”. L’autore di “Stiamo freschi” non ha dubbi: la soluzione di piaghe come l’Hiv, la malaria, la mancanza di risorse idriche, la fame nei paesi in via di sviluppo sono risolvibili in tempi brevi e porterebbero vantaggi economici e di vite umane salvate tali per cui a quel punto si avrebbero strumenti, sviluppo e capacità per contenere i danni che deriveranno dai cambiamenti per riscaldamento globale. Cambiamenti che comunque non saranno mai come quelli agitati da tanta scienza catastrofista e che al massimo sarebbero posticipati di qualche anno appena con la diminuzione delle emissioni gassose. Senza tenere conto che sarebbero in linea con i molti cambiamenti già avvenuti nella storia. Tanto che, nota con ironia Lomborg, “se chiediamo a una persona molto anziana di ricordare i fatti più importanti accaduti nel XX secolo, probabilmente citerà i due conflitti mondiali, la Guerra fredda e forse la rivoluzione informatica, ma è alquanto improbabile che aggiunga: ‘Ah, e l’aumento del livello del mare…’”. (2.fine)

“Il libro rosso dei martiri cinesi” a cura di Gerolamo Fazzini, ed. San Paolo.


Riassumo una recensione da Tuttocina.it.
Sono eccezionali documenti, dalla metà degli anni Quaranta, sino al 1983. Memorie di persone che hanno provato sulla loro pelle la violenza di un potere accecato dall’ideologia, potere che - vinto il nemico armato - decise di sterminare i “nemici senza fucile” (così Mao dipinse intellettuali, credenti, oppositori).
Il valore storiografico è grande. Solo recentemente si ha avuto accesso alle testimonianze autobiografiche sui laogai, i campi di lavoro forzato cinesi. Ma siamo lontani dal conoscerne i dettagli, come è avvenuto per i gulag sovietici grazie a Solgenizin. Il Libro rosso dei martiri cinesi colma, in parte, un vuoto che ha precise origini politico-culturali e che spiega come mai un libro del genere veda la luce solo adesso.
Il Libro rosso dei martiri cinesi è anche un atto di denuncia del maoismo e dei suoi crimini.
Mao, responsabile di crimini pari o addirittura superiori a quelli di Stalin e di Hitler (ottanta milioni di morti nel periodo del “Grande balzo in avanti”, 1958-61).

domenica 25 maggio 2008

Informazione fatta di niente


Chi ricorda, già dal liceo, o ancor prima, quando si leggevano i Promessi Sposi, I ragazzi della Via Paal, il libro Cuore di De Amicis, o anche l’Isola del Tesoro, Il giro del mondo in 80 giorni ecc? Non c’è bisogno di arrivare a Pinocchio, a Biancaneve e i sette nani, a Pollicino, e così via. Oggi questi testi verrebbero scorsi con fretta, quasi in diagonale, perché o se ne conosce già la trama o si ritengono volumi di biblioteca, magari riediti e sorpassati.
Oggi si preferiscono i fumetti, meglio se un po’ scemi, gli album “neri”, la trascrizione disegnata di storielle insulse, spesso ripetitive e quasi sempre violente. Si sa già che l’eroe dell’episodio non può morire, poiché il racconto deve continuare e magari non si sa più che cosa dire.
Aggiungiamo i rotocalchi che attirano l’attenzione sempre sulle medesime vicende frivole. Aggiungiamo le ore passate davanti al televisore o a Internet, non sempre con le narrazioni devote delle vite dei santi, ma intrise di violenza, di spari che finiscono per salvare sempre l’eroe di turno. Senza tacere delle pubblicità, dove ragazzine laccate e un po’ebeti sono vestite di pelle o poco più. Aggiungiamo le trame di Telenovelas che giocano con i sentimenti più sbrigliati e lerci. Aggiungiamo i giornali – talvolta distribuiti anche gratuitamente alle fermate degli autobus o del metrò – pieni di gossip scandalistici e di veline. Per non parlare di vestiti che giocano a mostrare l’occhiolino di là della poca stoffa usata. E poi c’è la violenza. Spari che non si contano, vendette giustificate – si fa per dire – anche per un nulla. Battaglie furibonde che si capiscono bene nei loro obbrobri, anche se non sempre si intuiscono perché queste lotte e questi delitti nascano. Basta guardare qualche cartellone del cinema o qualche strisciata di titoli di film da proiettare prossimamente. Santa Maria Goretti o Santa Agnese non ci stanno in queste botte furiose e in queste trame inconsistenti. E i testi delle canzoni, anche più premiate? Pure qui, desolazione, noia, sbadigli, pure se le note sono ridondanti almeno per tener svegli.
Dunque hanno sbagliato tutto i pittori e i musici del Medioevo e del Rinascimento?
Dunque, nasce adesso un musica briosa che non riesce a lasciar prender sonno?
Dopo di che, le conversazioni tra amici – amici? – languono – e la monotonia delle battute insulse, spesso fanno trascorrere una serata scialba,che viene però definita divertente.
Basta mettersi accanto a un gruppo di giovinastri su un lato di una carrozza di un treno, anche sgangherato, per constatare che la genialità non sembra brillare. Talvolta non si salva nemmeno la grammatica. Chi ha assicurato che per la prima volta, nell’Italia di oggi si è raggiunta l’omologazione di una lingua italiana corretta?
E si passi pure ai telegiornali. Che dovrebbero essere il top della novità della giornata non ancora conclusa, e magari snocciolano una specie di rosario di truffe – alcune anche molto furbe -, di delitti, spesso atroci ed efferati. Il resto è spazzatura per le strade delle grandi città e guerra guerreggiata in paesi lontani, ma ormai vicini.
E poi sembra che a far notizia non è la normalità – vale a dire – il vivere secondo la norma -, ma il ghiribizzo di chi butta per strada le inibizioni e lascia che la vita scorra dove porta il cuore, o l’istinto, più del cuore.
Dopo di che, ci si lamenta perché la società si corrompe e i costumi si imbarbariscono. Che altro si vuole? E’ come porre tutte le premesse per un comportamento deviato e inorridirsi, poi, per gli esiti che ne derivano. Logica vuole.
Tolti i grandi principi morali ci si può aspettare di tutto e il contrario di tutto.
“ L’amore reciproco dei coniugi, dei figli e dei genitori, saldato dall’amore a Dio e dalle persone intorno a loro, è sempre stata la base della famiglia cristiana unita (…) Divorzi, aborti, aspirazione insaziabili al lucro e al piacere, la dimenticanza dei propri figli che rimangono così spesso privi di affetto e dell’educazione dei genitori – tutto questo trasforma la vita dell’intero popolo in una esistenza senza gioia, piena di rimorsi. Se invece regneranno nelle famiglie l’amore, la fede, la gioia dell’impegno reciproco, ci saranno attorno a noi più volti felici e anche il destino dei nostri popoli cambierà per il meglio”. Così si esprime il Patriarca Alessio II nella celebrazione del Natale ortodosso di quest’anno.
Spesso l’informazione e la formazione dei grandi orientamenti morali della persona rimangono in una nebbia che tutto oscura e impedisce di vedere il vero e il bene, l’errore e il male.
Del resto, spesso l’istruzione e quella che dovrebbe essere l’educazione della persona nella sua completezza, non aiuta i lettori a rettificare idee e comportamenti, ma li devia in un sentimentalismo ottuso o in abbrutimento disumano.
Si apre qui tutto il campo della lavoro educativo che forma delle persone che inorridiscono di fronte a delitti di ogni genere, a soprusi ispirati a un relativismo che non conosce più né bene, né male e a una cultura di morte di chi non ha nessuna etica da osservare.
Possibile che nell’universo mondo, o anche nella piccola Italia, vi siano soltanto efferatezze e vigliaccherie? E la vita che si svolge nell’ordine e nel rispetto degli altri non ha davvero alcun diritto di cronaca? Possibile che gli organi di informazione non possano riportare se non brutture e non rinvengano, nella vita di ogni giorno, qualche sprazzo di verità, di bellezza e di bontà?
Anche perché il vedere simili immagini negative influisce forse più che l’attuazione dei gesti osservati: è più facile imitare che fare. Al contrario, le immagini positive possono indurre a una bontà capace di rispetto e di aiuto e costruire così una società umana.
Riflettano gli operatori dei mass media: operano con strumenti che possono rabbonire o incattivire, che possono motivare stili di vita buoni o deviati.
I fatti cattivi suscitano imitazione. Gli avvenimenti perversi traggono la responsabilità di riparazione.
http://www.alessandromaggiolini.it/bin/servlet/mediabox.servlets.presentation.DettaglioInfo?idInfo=43678&url=dettaglioRassegna.jsp

venerdì 23 maggio 2008

QUINTO ORAZIO FLACCO - CARME SECOLARE

Febo, Diana, signora delle selve,
luce del cielo, sempre venerati
e venerabili, esaudite i voti
in questo giorno sacro,
che nei versi sibillini prescrive
alle vergini elette e ai fanciulli
di cantare un inno agli dei che amarono
i nostri sette colli.

Sole fecondo, che col carro ardente
porti e nascondi il giorno, e nuovo e antico
rinasci, nulla piú grande di Roma
possa mai tu vedere!

E tu, che dolce schiudi a tempo i parti
per rito, proteggi le madri, Ilítia,
o come tu vuoi essere invocata:
Lucina, Genitale.
Educa i figli, dea, e benedici
il decreto che regola le nozze
delle donne e la legge di famiglia
che accende nuove vite,
perché al compiersi di centodieci
anni, ritornino i canti e le feste
affollate per tre limpidi giorni
e tre notti serene.
E voi, Parche, che la sorte fissata
rivelate, senza che niente possa
mutarla, aggiungete a quelli compiuti
altri buoni destini.
La terra ricca di animali e biade
incoroni di spighe la campagna;
piogge e brezze benefiche del cielo
ne nutrano i prodotti.
Deposti i dardi, tenero e tranquillo
ascolta, Apollo, i giovani che pregano,
e tu, Luna, regina delle stelle,
ascolta le fanciulle.
Se Roma è opera vostra e milizie
troiane occuparono il lido etrusco,
impegnate a mutare città, casa,
solcando in salvo il mare;
se, scampato alla strage, il pio Enea
aprí ai suoi un varco che potesse
salvarli in mezzo alle fiamme di Troia,
per donargli di piú;
o dei, date virtú ai nostri giovani,
date dolce riposo alla vecchiaia
e alla gente di Romolo potenza,
figli e tutta la gloria.
E ciò che vi chiede con tori bianchi
il sangue puro di Anchise e di Venere,
forte col nemico e mite coi vinti,
fate voi che l'ottenga.
Ormai per terra e mare i parti temono
l'arte del suo braccio e le scuri albane;
ormai la superbia di sciti e indiani
attende la sentenza.

Fede, pace, onore e il pudore antico,
la virtú smarrita osano ora
tornare e lieta appare l'abbondanza
col suo corno ricolmo.
Profeta adorno di un arco abbagliante,
Febo, che siede fra le nove Muse e
con la sua arte risana le membra
del nostro corpo infermo,
quando guarda sereno il Palatino,
dall'uno all'altro secolo prolunga,
e per tempi migliori, la fortuna
dell'impero romano.
E Diana, che sull'Aventino e l'Àlgido
regna, esaudisce i sacerdoti chini
in preghiera e porge orecchio benigno
ai voti dei ragazzi.
Che questo vogliano Giove e gli dei
è fede certa, che il coro, istruito
a tessere lodi di Febo e Diana,
porta dentro di sé.

(il testo latino si trova cliccando sul titolo- questa la traduzione di Mario Ramous)

Rosaluna crescente

Gobba a ponente, Rosaluna crescente
gobba a levante, Rosaluna calante...
beh
di calare, nonostante le urla disperate ad ora di pappatoria, che farebbero pensare ad una malnutrizione estrema, la furbona cresce che è un piacere, ed ha un aspetto florido assai,
per cui non pensiamo che morirà di fame, nonostante tutto
ma
crescere, cresce
e allora, sta gobba a ponente ?
L'ho esaminata con cura,
ma di gobbe, niente
assolutamente manco l'ombra

:)

Figli di nessuno

Birmania, la giunta nella zona colpita dal ciclone
Sono passate più di due settimane da quando il ciclone Nargis si è abbattuto sulla Birmania, e solo ora il leader della giunta militare al potere nel paese si è degnato a visitare la regione del delta dell'Irrawaddy la più colpita dalla tragedia.
Era il 3 maggio quando il ciclone ha devastato la zona facendo 134 mila morti. E la giunta ha per giorni interi ostacolato l’arrivo degli aiuti umanitari e l’ingresso in Birmania del personale di soccorso straniero. Ora finalmente il generale Than Shwe ha dato qualche segnale di distensione con questa visita ufficiale: incontrerà il sottosegretario Onu per gli aiuti umanitari Holmes che rimarrà in Birmania fino a mercoledì. Finalmente anche lui potrà parlare di persona con i massimi rappresentanti della giunta, che finora, come affermato dallo stesso Holmes, sembravano «allergici al telefono».
Intanto la ong Save the Children lancia l’allarme sui bambini: sono trentamila quelli che rischiano di morire per malnutrizione: «Dobbiamo raggiungerli prima che sia troppo tardi», dicono dall’associazione. Si spera che i militari abbiano pietà, almeno di loro
Souad Sbai - PDL

Le fotografie sono impressionanti, chi volesse vederle clicchi sul titolo

giovedì 22 maggio 2008

Conferenza a Roma

ecco il link
http://www.eage.org/events/index.php?eventid=57&Opendivs=s2

dal 9 al 12 giugno

What is EAGE

In Short

EAGE is a professional association for geoscientists and engineers. It is a European based organisation with a worldwide membership providing a global network of commercial and academic professionals to all members. The association is truly multi-disciplinary and international in form and pursuits.

All members of EAGE are professionally involved in (or studying) geophysics, petroleum exploration, geology, reservoir engineering, mining and civil engineering. The EAGE operates two divisions: the Oil & Gas Geoscience Division and the Near Surface Geoscience Division.
EAGE organises following activities for its members:
Conferences & Exhibitions;
Workshops & Symposia;
Educational Programmes (Short Courses);
Publications (monthly magazine, scientific journals and extensive bookshop).
EAGE's Head Office is located in the Netherlands with Regional Offices in Moscow and Dubai.

Mission
The objectives of the Association shall be to promote the development and application of geosciences and related engineering subjects, to promote innovation and technical progress and to foster the communication, fellowship and cooperation between those working in, studying or otherwise being interested in these fields.

Berlusconi e il problema dei rifiuti

Vedremo se son rose, certo.
Ma dal colore, dall'odore, e dalla vista, ci sembra di non poter sbagliare.
Son rose della miglior specie, e fioriranno.
Finalmente provvedimenti che, almeno sembra e speriamo, potranno risolvere un problema incancrenito da anni di impotenza di agire per bloccare e controbattere l'arroganza, la prepotenza, talvolta la criminalità, e una vasta ignoranza.
Anche nella stessa giornata in cui sono stati annunciati provvedimenti che ci paiono efficaci, abbiamo assisitito all'ennesima presa di posizione di chi ha creato il problema, e propone soluzioni ridicole e inattuabili.
Bene, si sono opposti ad ogni soluzione seria, millantando che la raccolta porta a porta, da sola, avrebbe potuto risolvere ogni problema.
Ma, con quella gente tra i piedi, impunita e arrogante, neanche la raccolta porta a porta si sarebbe potuta fare.
Ed infatti la storia passata, ma recente, ci dimostra appunto questa verità incontestabile.
Ho già scritto che non basta raccogliere, ma bisogna anche avere un posto dove smaltire, perché non era immaginabile che si potessero raggiungere livelli del 100 percento di riciclo.
E allora, il resto, tolto quel poco (molto poco) che si sarebbe potuto riciclare, DOVE si sarebbe dovuto smaltire, se ogni soluzione era rifiutata, osteggiata, ostacolata, impedita ?
Ora Berlusconi ha dimostrato che fa sul serio, e che lo Stato ci sarà.
Su queste basi anche la raccolta difefrenziata può diventare efficace, per la parte che le compete, ma affiancata da termovalorizzatori e da leggi idonee ad impedire che il piano di smaltimento sia vanificato da qualche magistrato, sulle cui vere intenzioni preferisco non approfondire.
Ci sono dunque le premesse perché il piano possa funzionare, e la Campania, e con essa l'Italia, possa davvero rialzarsi, e recuperare quel ruolo che le compete.
Da questa prima giornata, l'Italia esce rafforzata e più credibile.
Se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo esclamare che questa è stata un'alba esaltante e stupenda.

Secondo me.

Tommy, Sarai sempre nel nostro cuore…



E' sconvolgente leggere queste cose e immedesimarsi in quella mamma e in quel papà, pensare al terrore di quel piccolino indifeso, ucciso senza pietà.
Cliccando sul titolo si è rimandati al sito Troviamo i bambini che ricorda questo dramma e chiede giustizia per il piccolo Tommy.

lunedì 19 maggio 2008

Bruno Contrada



Il Giudice, Daniela Della Pietra, ha rigettato l’ultima istanza di differimento pena e/o di detenzione domiciliare avanzata in data 18/4/2008. - 24 giorni per decidere NO! Riferisce il magistrato che il 7 maggio la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’istanza di ricusazione avanzata nei suoi confronti. - 24 giorni per dire NO! Nonostante un quadro clinico che fa letteralmente atterrire e impaurire. - 24 giorni per dire NO! Sebbene non ignori l’età avanzata del dott. Bruno Contrada - 24 giorni per dire NO! Ma nemmeno una parola per motivare il rigetto dell’istanza subordinata di detenzione domiciliare (anzi manco viene presa in considerazione). - 24 giorni per dire NO! Ovvero assumendo apoditticamente che Bruno Contrada non soffre di affezioni particolarmente gravi: forse abbiamo lenti da vista che ci fanno leggere cose diverse. - 24 giorni per dire NO! Ovvero esprimere il concetto che può essere scarcerato solo il detenuto in coma irreversibile o malato assolutamente terminale. Chiunque si domanda perché Erich Priebke agli arresti domiciliari allora?… Perché a Silvia Baraldini furono concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute?… Perché a Ovidio Bompressi, prima della Grazia, furono concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute? - 24 giorni per dire NO! Con un provvedimento che indignerà e turberà milioni di italiani che lo leggeranno per intero, parola per parola…. Che coincidenza: nello stesso giorno il Presidente della Repubblica invocava lo Stop alle scarcerazioni facili…. Ma nonostante tutto mi rifiuto di immaginare che le più alte istituzioni dello Stato non troveranno il modo di intervenire al più presto.
Avv. Giuseppe Lipera

DURO & IMPURO by Luca Bagatin



"Chi ha paura di Beppe Grillo ? Ma fateci il piacere..."

Beppe Grillo: un guitto, un comunicatore, un incantatore di folle.
Beppe Grillo, forse, non è poi tanto diverso da quel personaggio che egli chiama "psiconano", ovvero Silvio Berlusconi.
Gli espedienti che utilizza, infondo, sono gli stessi: mass media, slogan urlati, ironia, denigrazione dell'avversario. Tutte cose che piacciono alle masse "da educare".
Il Beppe nazionale magari lo fa con uso abbondante della volgarità, questo sì, però.....
Però è a questo punto che siamo arrivati ?
Voglio dire: siamo arrivati al punto in cui due personaggi di spettacolo si mettono a disquisire di politica urlando alle folle che loro sono i più bravi e i più onesti e gli altri tutti dei ladri ?
E' forse la parabola di Tangentopoli: del più puro che ti epura, come diceva Pietro Nenni, dell'opposizione al Potere sì ma......strumentale.
Ovvero per sostituire al Potere corrotto un altro Potere forse e probabilmente non da meno.
E sicuramente politicamente più incolto.
Un Potere che magari sa "parlare al cuore delle ggente" (con due "g", please !). Ma....siamo sicuri che si tratti proprio del cuore ?
Ogni volta che parlo con qualche vecchio amico che ha vissuto i bei tempi della Prima Repubblica egli mi dice: "sai Luca, quando ero giovane io e frequentavo la tal sezione di partito si respirava un'aria di condivisione, di voglia di fare, ci si scontrava e litigava, certo, ma infondo lo si faceva per degli ideali, per dei valori".
Oggi invece.....vedi i politicanti in blazer di una destra e di una sinistra senza valori che fanno le riunioni nei bar "à la page" e prendono perentorie decisioni alla faccia degli iscritti e dei militanti (sempre più "tonti" che "tanti"), che calano poi dall'alto sulla testa di tutti i cittadini.
Ma, torniamo a Grillo: il grillo parlante dei mass media. Quello che utilizza il declino dell'Italia per diventare sempre più ricco con il suo visitatissimo blog fra l'altro sempre più commerciale e che ci propina financo i suoi "prodotti" come la nuova collana editoriale beppegrillo.it.
E così, degli esperti della comunicazione multimediale quali Emilio Targia, caporedattore di Radio Radicale, Edoardo Fleischner professore alla Statale di Milano e Federica De Maria linguista e critica letteraria, hanno recentissimamente dato alle stampe con l'editore Selene il volume "Chi ha paura di Beppe Grillo" ? nel quale è analizzato il "fenomeno Gillo" a 360 gradi. Specie dal punto di vista mediatico.
Ne esce un Beppe Grillo geloso delle proprie prerogative ed insofferente alle argomentazioni ed al confronto con chi non la pensa come lui. Al punto che lo stesso Grillo si è sempre rifiutato di incontrare gli autori del libro e, anzi, li ha ostacolati diffidando l'editore Longanesi - che in un primo tempo li aveva messi sotto contratto - dal pubblicarlo (così come lo stesso Grillo diffidò la Kaos edizioni per il libro "Grillo da ridere (per non piangere)").....alla faccia della libertà d'informazione tanto decantata dal comico genovese !
"Chi ha paura di Beppe Grillo ?" è un agile volume di 200 pagine che non può mancare nelle case di chi ama conoscere ed approfondire, prima di deliberare e sostenere. Un volume che peraltro contiene la prefazione dell'ottimo fotografo e comunicatore dell'immagine Oliviero Toscani e la postfazione di Marco Pannella, politico che ha fatto della comunicazione le basi del suo Partito Radicale.
Chi ha paura di Beppe Grillo, insomma ? Noi no di certo. A noi, più che ridere o convicere, ha sempre lasciato francamente perplessi.

Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it

DURO & IMPURO by Luca Bagatin



"L'Ombra d'Argento : un thriller massonico di Martin Rua"

E' proprio il caso di dirlo: Napoli non è solo munnezza e malavita.
Napoli è anche, come diceva lo scrittore Luciano De Crescenzo, città d'amore e di "uomini d'amore" contrapposti ai più rigidi e razionali "uomini di libertà" del nord.
Napoli è città magica ed esoterica per chi ha la passione e l'indole d'approfondire.
E così, il mio amico "napoletanto doc" Martin Rua, profondo conoscitore di Napoli ed il cui nome vero solo pochissimi intimi conoscono, è da qualche mese protagonista del suo stesso romanzo, "L'Ombra d'Argento" (A & B Editrice), un thriller massonico ove egli, appassionato di alchimia, esoterismo e studioso di antropologia, ci conduce in giro per l'Europa nell'eterna lotta fra il Bene ed il Male questa volta rappresentati rispettivamente dalla Massoneria e dalla Società nazista Thule.
Nulla a che vedere con il "Codice da Vinci", per carità, "L'Ombra d'Argento" ne è la sua vera antitesi.
Il nostro Martin, infatti, a differenza di Dan Brown, attinge esclusivamente dal bagaglio dei suoi studi, viaggi e personali ricerche esoteriche dovute anche all'orgogliosa appartenenza ad una fra le più importanti Obbedienze massoniche d'Italia.
E così, il Martin Rua romanzato è l'alter ego dell'autore, ovvero un giovane antiquario napoletano, studioso di alchimia e Maestro Massone del 30esimo grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato (uno fra i più alti in Massoneria), il quale, durante un viaggio di piacere a Praga, si trova coinvolto in un'intricata vicenda che vede contrapporsi massoni a neo-nazisti e che ha come sfondo un enigma alchemico millenario in un intreccio che collega la Cappella di Sansevero di Napoli alla misteriosa Cattedrale gotica di Chartres in un crescendo di colpi di scena, antiche formule occulte e di studio della simbologia alchemica e religiosa.
La tensione è comunque stemperata da divertentissimi e famigliari quadretti fra Martin e la gelosissima e premurosissima moglie greca Artemis, la quale è il ritratto della razionalità ellenica.
E si pensi che gran parte dei personeggi positivi del romanzo non è affatto di fantasia !
Chiacchierando con Martin apprendo che per lui questo romanzo significa moltissimo. E' un tributo alla Massoneria ed ai suoi principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, ovvero a quel sistema di insegnamenti morali ed interiori che permette a ciascun individuo iniziato ai Suoi "misteri" di migliorarsi quotidianamente, a dispetto di chi paragona i massoni ai mafiosi, ovviamente per ignoranza e pregiudizio.
Nel romanzo più che altro c'è una Massoneria come la vorrebbe l'autore stesso, ovvero più attenta al recupero dell'Antica Saggezza alchemica, ovvero alla Scienza che incontra la Conoscenza, la Gnosi degli Antichi Egizi, ma anche Greci e Caldei, alla quale attinsero anche i Cavalieri Templari e che la Massoneria pose come fondamenta delle sue basi morali e filosofiche.
Martin Rua, infatti, tanto nel romanzo quanto nella realtà, si batte all'interno della sua Loggia proprio per il recupero di tali conoscenze esoteriche che si sono smarrite nel tempo ed il romanzo può essere letto anche e proprio in questa chiave.
"L'Ombra d'Argento" non è di difficile reperibilità. Oltre a poter essere ordinato nelle migliori librerie, può essere acquistato anche su internet al sito dedicato www.ombradargento.it nel quale è possibile trovare anche alcune tavole a fumetti che lo illustrano (c'è in progetto fra l'altro proprio la realizzazione di un albo a fumetti completo, nonché il seguito del romanzo stesso) e la prefazione è realizzata nientepopodimenochè dal Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia, il prof. Luigi Pruneti il quale aggiunge un ulteriore tocco storico-esoterico al racconto del nostro bravo e avventuroso Martin Rua che potrete personalmente contattare visitando il blog www.martinrua.ilcannocchiale.it nel quale cura anche delle "Tornate di Loggia on-line" aperte a tutti coloro i quali sono interessati ad approfondire la Libera Muratoria ed i suoi principi sempiterni.


Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it
(clic su titolo)

sabato 17 maggio 2008

Stralcio dal romanzo di Giampaolo Pansa I tre inverni della paura


venerdì 16 maggio 2008, 09:00
E ora vi racconto gli inverni in cui nevicava sangue

di Giampaolo Pansa

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo uno stralcio tratto dal romanzo di Giampaolo Pansa I tre inverni della paura (Rizzoli, pagg. 567, euro 21,50) che sarà in libreria dal 21 maggio. Dopo i saggi dedicati alla guerra civile, Pansa si cimenta ora con un romanzo che parla del dramma italiano negli anni terribili dal ’43 al ’46, focalizzando il racconto sul cosiddetto Triangolo della morte tra Parma, Reggio Emilia e Modena.
Beniamino Socche era nato a Vicenza il 6 aprile 1890. All’arrivo nella diocesi di Reggio aveva cinquantasei anni appena compiuti. E dunque si trovava nel pieno del vigore fisico e morale. Insediato a Cesena nel 1939, durante la guerra civile aveva rivelato coraggio e fermezza. Non si era risparmiato nel difendere gli ebrei perseguitati e si era scontrato più volte con le autorità fasciste del posto. Meritandosi persino un arresto da parte delle SS tedesche.
Era un uomo alto, massiccio e con un carattere che non sopportava nessuna briglia. Aveva una devozione profonda per Maria Vergine, ma nemmeno la Madonna s’era mostrata capace di addolcire la sua grinta. Chi lo conobbe in quel tempo l’avrebbe poi descritto così: intuitivo, lineare, impulsivo, spesso testardo.
Vedeva come il fumo negli occhi qualunque accordo fra i cattolici e i socialcomunisti. Certo, durante la Resistenza l’intesa era stata utile. Ma adesso la guerra era finita. E per Socche un rapporto non conflittuale con il Pci rappresentava un pericolo per la fede religiosa e una trappola per la Chiesa.
Era stato questo profilo a destinarlo a Reggio Emilia. Socche sembrava fatto apposta per quella diocesi, assediata da un comunismo asfissiante e senza avversari politici in grado di contrastarlo. La Dc aveva una struttura troppo debole per opporsi agli Squadroni della morte. I socialisti andavano al seguito dei comunisti. Gli altri partiti quasi non esistevano. E a Socche risultava inconcepibile che il Pci sedesse in un governo accanto ai democristiani.
Dopo l’assassinio di don Pessina, il vescovo di Reggio si era recato a Roma per incontrare De Gasperi. Riuscì a vederlo mentre usciva, stressato, da un consiglio dei ministri. Socche gli disse: «Presidente, voi governate con i comunisti, ma a Reggio Emilia i rossi ammazzano i preti». De Gasperi allora gli spiegò: «Eccellenza, voi avete ragione. Però la strada è già segnata: prima con i comunisti, poi senza i comunisti, alla fine contro i comunisti».
Nelson ebbe modo di parlare più volte del vescovo Socche con il suo vecchio amico Olindo Canovi, il tecnico delle Reggiane. Cattolico e democristiano, Canovi ammirava Socche e sapeva molte cose di lui. Disse a Nelson: «Ci voleva a Reggio un presule coraggioso, in grado di difendere il suo gregge dai lupi».
Canovi raccontò a Nelson come si era mosso Socche nelle ore successive all’assassinio di don Pessina. La sera del 18 giugno, appena informato dell’omicidio, il vescovo si era fatto portare a San Martino di Correggio. Il corpo del parroco stava ancora riverso a terra. Un fazzoletto bianco, annodato sul capo, gli teneva fermo il mento. Socche s’inginocchiò accanto al prete, lo baciò sulla fronte, giunse le mani e cominciò a pregare.
«Quando si è rialzato» raccontò Canovi a Nelson, «chi gli stava vicino si è accorto che il vescovo piangeva. Ma il suo non era un pianto di paura o di disperazione. Bastava guardarlo negli occhi per capire che, da quel momento, non avrebbe dato tregua a chi gli aveva ammazzato don Pessina.
«Socche ha voluto celebrare lui il funerale del parroco. Nella chiesa la gente era poca. Molti erano rimasti a casa per paura di quelli che tu chiami gli Squadroni della morte. Il vescovo ha preso la Bibbia e letto ad alta voce un passo adatto al momento. Era quello che parla della maledizione di Dio per coloro che toccano gli unti del Signore.
«Il giorno seguente era la festa del Corpus Domini» continuò Canovi. «Alla processione di Reggio è andata una folla di fedeli. Nel duomo gremito, Socche ha spiegato che cosa aveva intenzione di fare: “Io renderò noto a tutti i vescovi del mondo il regime di terrore che il comunismo ha creato in Italia!”».
Nelson apprese da Canovi le decisioni di Socche. Come primo atto, aveva scomunicato gli assassini di don Pessina, compresi i mandanti. Riservando soltanto a se stesso l’assoluzione eventuale. Quindi proibì tutte le processioni esterne alle chiese e agli oratori nei vicariati foranei di Correggio, di Canolo e di San Martino in Rio. Infine inflisse l’interdetto alla parrocchia di San Martino in Piccolo.
«Che cos’è l’interdetto?» domandò Nelson.
«Nel diritto canonico» gli spiegò Canovi, «è una pena spirituale inferiore soltanto alla scomunica. Dopo l’interdetto, nella parrocchia che era stata retta dal povero don Pessina non si poteva più celebrare la messa, confessare e comunicare i fedeli e nemmeno tenere funerali religiosi».
Il vescovo Socche aveva cominciato una battaglia destinata a proseguire per anni, con risultati controversi. Il suo obiettivo era esplicito: opporsi al comunismo, e non soltanto a quello reggiano. A proposito di Reggio Emilia disse: «Non è questo popolo buono e affettuoso che assassina e massacra la gente. Ma è soltanto un piccolo branco di malviventi che hanno già perduto l’ultimo brandello di coscienza. Insudiciati di sangue umano sino ai capelli. E accecati dall’odio e dall’interesse, che li hanno fatti diventar belve assetate di sangue».
Poi, sempre più esasperato, confessò: «Ho giurato a me stesso che don Pessina è l’ultimo prete che mi ammazzano. Il prossimo sarò io. Li costringerò a suicidarsi per la disperazione, questi assassini!».
Togliatti conosceva le circostanze dell’omicidio di don Pessina. E in che modo si era mosso subito dopo il vertice del Pci reggiano e quello dell’Anpi. Da un delitto terribile e senza motivo era venuta una catena di errori grossolani e privi di scusanti: il rifiuto di denunciare chi aveva sparato, la diffamazione del sacerdote, l’incapacità di impedire gli omicidi successivi e di nuovo la scelta di coprire i responsabili. Un caos voluto o subìto dai capi del Pci di Reggio. Quasi una congiura contro il partito, messa in atto da dirigenti del partito.
Infine c’era il problema di quel vescovo. Per Togliatti non era difficile prevedere che, attorno a monsignor Socche, si sarebbe raccolta un’opposizione sino ad allora quasi inesistente in città e nella provincia. Un partito informale, ben più forte della Dc reggiana. In grado di ingaggiare una guerra senza quartiere contro il Pci di Reggio e il vertice nazionale comunista.
Mentre partiva da Roma, Togliatti aveva le mani libere da impegni ministeriali. Con la nascita del secondo governo De Gasperi, si era spogliato del ministero della Giustizia. Per trasferirlo a un compagno fidato, Fausto Gullo, un avvocato calabrese, a suo tempo tra i fondatori del Pci. Adesso era il partito la prima e unica cura del Migliore. E a Reggio avrebbe dimostrato come intendeva guarirlo da quella che era stata chiamata «la nevrosi del mitra».
Togliatti arrivò a Reggio Emilia nella tarda mattinata di lunedì 23 settembre 1946. E si recò a casa del sindaco Campioli che si era offerto di ospitarlo. Qui gli portarono i giornali emiliani e lui cominciò subito a sfogliarli.
Il leader del Pci considerava molto importante la carta stampata, l’unico media efficace allora esistente. Si occupava dell’Unità, il quotidiano del partito, con una cura costante, quasi maniacale. Però leggeva con altrettanta attenzione i fogli avversari. La propaganda comunista li considerava cartaccia. Ma non era questa l’opinione del Migliore.
Tra i giornali che gli portarono a casa di Campioli, trovò di certo gli ultimi numeri della Nuova Penna. Quello di luglio e i due di agosto. Togliatti si rese conto che non era per niente «un libello sedicente indipendente». A bollarlo così era stato il prefetto Chieffo, spesso attaccato dal giornale di Eugenio e di Giorgio che lo ritenevano troppo tenero verso i comunisti.
Togliatti considerò accigliato le prime notizie sulle fosse clandestine scoperte in provincia. E gli ci volle poco per fare due più due. L’omicidio di don Pessina, il delitto Farri, l’emergere delle sepolture segrete, la guerra scatenata dal vescovo Socche, le velleità rivoluzionarie del vertice comunista reggiano e l’esistenza di incontrollabili nuclei di killer rossi: ecco un ginepraio di quelli rognosi. Zeppo di faccende molto pericolose. E foriere di guai anche più pesanti. Dunque s’imponeva un repulisti duro, molto duro.
La purga venne annunciata nell’incontro più importante delle tre giornate reggiane di Togliatti. Si tenne la sera dello stesso lunedì, sempre nell’abitazione di Campioli. Il peso di quel vertice era testimoniato dall’elenco dei dirigenti che il leader del Pci aveva deciso di convocare e di strigliare.
Venivano dalle tre province dove la seconda guerra civile era la più sanguinosa. Oltre a Campioli, c’era il sindaco di Bologna, Giuseppe Dozza. E quello di Modena, Alfeo Corassori. Insieme a loro tre dirigenti della federazione reggiana. Il primo era Nizzoli, il segretario fuori di testa. Insieme a lui, il Migliore aveva voluto incontrare Osvaldo Salvarani e Riccardo Cocconi. Quest’ultimo era un comandante partigiano garibaldino che aveva inutilmente tentato di far accettare da Nizzoli un documento di condanna del delitto Mirotti.
Qualcuno si aspettava di veder arrivare anche l’altro padrone di Reggio: il compagno Didimo Ferrari. Ma per il leader comunista, Eros era soltanto il presidente dell’Anpi, dunque un signor nessuno o quasi. E non si curò di convocarlo.
Togliatti aveva sotto gli occhi il bilancio sanguinoso del dopoguerra in quelle tre province. Si trattava di un conto ancora parziale, per due motivi. Il primo era che l’epoca dei killer trionfanti non poteva dirsi conclusa. Il secondo era che nemmeno il vertice del Pci conosceva con esattezza le dimensioni delle mattanze compiute dopo la liberazione.
Tuttavia, anche i rendiconti incompleti apparivano terrificanti. A Bologna e nella sua provincia risultavano uccise almeno 770 persone. A Modena e nel suo territorio gli assassinati erano 890. A Reggio, infine, le vittime della seconda guerra civile erano 560, e forse di più. In totale i cristiani accoppati risultavano 2220, secondo un calcolo prudente e parziale.
Nel settembre 1946 Togliatti aveva cinquantatré anni, sempre vissuti perigliosamente, soprattutto nella fase dei grandi processi staliniani. In quell’epoca di terrore, Togliatti viveva a Mosca, all’Hotel Lux. E non aveva battuto ciglio neppure quando la polizia segreta sovietica si era portata via suo cognato, Paolo Robotti, e tanti altri comunisti italiani. Tutti compagni poi fatti uccidere da Stalin o mandati a morire nei gulag. Robotti era uno dei pochi a essersi salvato.
Sotto la sferza staliniana, il Migliore aveva apprezzato l’importanza del cinismo e della durezza d’animo. Due doti che non gli facevano difetto. E che lo avevano aiutato a superare prove assai più aspre di quella riunione in provincia. Un incontro che lui risolse alla sua maniera: con rapidità e freddezza.
Del vertice a casa Campioli non si seppe quasi nulla. Nessun verbale venne steso. O se ci fu, è sempre stato tenuto segreto. Come segrete rimasero le testimonianze dei presenti nell’alloggio del sindaco di Reggio. Ma è facile immaginare che cosa disse Togliatti, con la sua voce chioccia e il tono gelido del professore che annuncia agli allievi una bocciatura in blocco.
Il primo ordine che impartì fu di smetterla di uccidere. Nessuno dei delitti commessi nelle tre province emiliane era utile al partito. E meno che mai alla rivoluzione, per chi ci credeva. Poi censurò in modo pesante l’operato della federazione di Reggio e della sua struttura periferica. Nell’ipotesi meno grave, non avevano saputo impedire i delitti. In quella più grave, li avevano ordinati e coperti.
Dunque, il Pci reggiano si era macchiato di due colpe pesanti: un’insufficienza assoluta nella vigilanza e una stupidità politica che non ammetteva scuse. Le conseguenze erano inevitabili. Il vertice del partito reggiano doveva essere rimosso. A cominciare dal segretario della federazione. Il repulisti avrebbe avuto una cadenza lenta, per non offrire pretesti alla polemica degli avversari. Ma ci sarebbe stato, entro la fine di quell’anno o al più tardi all’inizio del 1947.
Nizzoli capì che la sua sedia aveva iniziato a scricchiolare. Però accettò le critiche di Togliatti senza reagire. Mantenne la stessa espressione impassibile, quando il segretario del Pci lo censurò in modo aspro, sia pure senza nominarlo. Accadde due giorni dopo, alla Conferenza di organizzazione del partito reggiano. Il Migliore accusò Nizzoli e compagni di aver creato una condizione di disordine insostenibile. I risultati elettorali e del tesseramento attenuavano soltanto di poco il danno politico e d’immagine per il partito. Poi concluse, gelido: «È più facile dirigere un’unità partigiana in combattimento che non una grande federazione di quaranta o cinquantamila iscritti».
Gli effetti della visita reggiana di Togliatti si fecero subito vedere. Gli Squadroni della morte smisero di sparare. E di delitti eccellenti non ne vennero più commessi. Eppure anche questa tregua improvvisa andò a discredito del partito. Infatti apparve a molti un’ammissione di colpa.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=261806

martedì 13 maggio 2008

Inno dell'Aeronautica Militare Italiana

RACCOLTO DAL LEGNO STORTO

Il relativismo etico 13/05/2008 10:44
Relativismo significa tolleranza?

Un lettore scrive al "Corriere della Sera". Insegno Storia e Filosofia nel Liceo classico della mia città — precisa — e mi riconosco pienamente nella categoria del "relativismo etico". Cosa devo aspettarmi, chiede, dopo che nel suo discorso di insediamento il neo-eletto Presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, ha messo in guardia contro i pericoli derivanti dal relativismo? Gli risponde, pensoso, Sergio Romano ("Corriere della Sera", 10 maggio 2008, pag. 37): «osservo semplicemente che il "relativismo culturale", per quanto mi concerne, si chiama tolleranza». In queste poche righe si concentra l’essenza del pensiero "politicamente corretto": la modernità è necessariamente improntata al valore della tolleranza; possono parlare contro il relativismo un ultra-conservatore e tradizionalista quale Papa Ratzinger (figuriamoci, è pure tedesco!), o giusto un post-fascista quale Fini. Nel mio piccolo, anch’io mi sono ripetutamente espresso contro il relativismo, ma il mio giudizio conta ben poco e può essere facilmente liquidato perché espressione di un punto di vista "provinciale" (figuriamoci, pure meridionale!), come amabilmente qualcuno mi ha ricordato.
Vediamo di ragionare, perché la logica non è né progressista, né conservatrice. E’ corretto usare le espressioni "relativismo" e "tolleranza" come sinonimi? No, non lo è. Partiamo dal relativismo. L’esercizio delle libertà fondamentali degli individui, garantite dalla Costituzione, porta come inevitabile effetto il pluralismo dei punti di vista e delle opinioni. Poiché in un ordinamento giuridico fondato su princìpi liberal-democratici a nessuna autorità, civile o religiosa, è riconosciuto il potere di dichiarare in modo definitivo e vincolante quali punti di vista e quali opinioni siano corrispondenti a verità, e quali no, il relativismo è un dato strutturale di un Paese occidentale come il nostro. Per un intellettuale liberal-radicale, o per una persona che vorrebbe interpretare il buon senso comune, quale Sergio Romano, il discorso si chiude qui.
Per quanto riguarda la tolleranza, la sua esigenza si afferma storicamente come unica via di uscita possibile dalle guerre di religione, quindi come antidoto affinché non si riproponessero. Con la pace di Vestfalia del 1648, che pone fine alla guerra dei Trent’anni, si riconosce che nell’Impero ed in tutti i regni cristiani dell’Europa Occidentale continentale tre religioni possono essere legittimamente praticate (e, dunque, devono coesistere): la cattolica, la luterana, la calvinista. E’ la premessa del moderno concetto della laicità dello Stato.
Ma già prima della Riforma protestante, molti avevano compreso che lo spirito del Cristianesimo, inteso nel modo giusto, comanda di amare il prossimo, non di usargli violenza, e che le verità delle religione si affermano con la convinzione e con la testimonianza che viene dall’esempio dei comportamenti praticati, mentre non si possono imporre. La verità vuole conquistare gli spiriti; non sa che farsene di forza bruta e di violenza: questi semmai sono i metodi propri del "principe del mondo" (Satana). Ritorna alla mente il geniale racconto dell’incontro fra il Grande Inquisitore e Gesù Cristo, fatto da Dostoevskij ne "I fratelli Karamazov" (1880). E Dostoevskij, in quel racconto, riproponeva la parabola delle tentazioni di Gesù nel deserto, come sono descritte nei Vangeli (Matteo, 4, 1-11; Luca, 4, 1-13; Marco, 1, 12-13). Spiriti magni, come l’italiano Tommaso d’Aquino, santo e dottore della Chiesa, hanno insegnato che la ragione non è contro la fede; la ragione è un dono di Dio, e come tutti i doni di Dio, è stata data agli esseri umani perché ne facciano buon uso. L’Umanesimo italiano concilia l’adesione allo spirito cristiano con la riscoperta dei tesori di saggezza che vengono dal mondo antico, pre-cristiano. Marsilio Ficino, studioso e divulgatore di Platone, non riteneva di insegnare cose in contrasto con la rivelazione cristiana. Guardandoci intorno, in Europa, Alberto Magno (13° secolo) e Niccolò da Cusa, detto Cusano (15° secolo), erano entrambi ecclesiastici. L’umanesimo cristiano ha la sua espressione massima in Erasmo da Rotterdam, che già ha insegnato tutto ciò che c’è da sapere sulla tolleranza, ben prima di John Locke e di Voltaire.
Per venire ai giorni nostri, l’esigenza di tolleranza religiosa si è compiutamente realizzata mediante la concezione della laicità dello Stato, cioè con l’affermazione del principio che le leggi si applicano in modo uguale a tutti i cittadini e che nessuno può ricevere un trattamento differenziato, in positivo o in negativo, per il fatto di professare, o di non professare, un determinato credo religioso, o determinate convinzioni filosofiche, o politiche. Il concetto di laicità dello Stato è parte integrante ed essenziale del pensiero liberale.
I due concetti finora considerati, relativismo (nel senso di pluralismo culturale), e tolleranza (che storicamente si afferma per regolare i reciproci rapporti fra le diverse fedi religiose) hanno entrambi a che fare con la dimensione pubblica. L’incomprensione nasce dal fatto che i critici del relativismo (tra i quali, nella mia modestia, mi onoro di militare) non si limitano a considerare la questione dal punto di vista dell’ordinamento giuridico (cioè della sfera pubblica), ma si preoccupano pure degli effetti che questa situazione determina nella sfera privata di ogni singolo cittadino. Ragionando in termini giuridici, Voltaire aveva certamente ragione nel difendere il diritto di ciascuno di esprimere la propria opinione, anche quando questa fosse diversa da quella del medesimo Voltaire. Invece, dall’altro punto di vista, la domanda è: l’individuo come recepisce il dato del pluralismo culturale? Secondo me, lo avverte come caos; tanto più se l’individuo è psicologicamente fragile, quale è un ragazzo ancora in formazione. Il dibattito pubblico, anche al livello più alto, quello dei libri "seri", si risolve appunto in un grande caos; un musicista parlerebbe di un rumore assordante, pieno di suoni striduli e di dissonanze, nell’insieme tanto sgradevole da far desiderare il silenzio.
Il secondo motivo di incomprensione riguarda i rapporti fra diritto ed etica. Secondo i critici del relativismo, il diritto non ha superato, né potrà mai superare, l’etica. Invece i relativisti si alleano ai positivisti giuridici nel sostenere che, nella modernità, non si deve più parlare di "bene" e di "male" (che sarebbero idee superate, di matrice religiosa), perché l’unica cosa che conta sono le norme del diritto positivo: l’unica distinzione è fra quanto l’ordinamento giuridico espressamente vieta e quanto consente (tutto ciò che non è vietato).
In realtà, il diritto è incerto: perché quanto più la società è relativista e frammentata, tanto più ciascuno vorrebbe ampliare, o restringere, l’ambito dei divieti, secondo le proprie opinioni e convenienze. Così il diritto, a partire dalle leggi penali e di procedura penale, è il campo delle mutevoli e sempre cangianti maggioranze parlamentari. Anche qui, il comune cittadino ne ricava un sentimento di sgomento e di insicurezza. E’ "disorientato". Si aggiunga che l’inflazione normativa, cioè l’eccesso di disposizioni, la pretesa di voler regolamentare tutto, provoca, a suo volta, fastidio ai cittadini e svilisce la funzione della legge.
Tutti sanno poi che l’ordinamento giuridico, ogni ordinamento giuridico, si fonda sulla spontanea osservanza delle norme. Se i cittadini, nella loro stragrande maggioranza, non si conformassero spontaneamente alle leggi ed ai comandi legittimi delle autorità, nessuna minaccia di sanzione e nessuna forza coattiva riuscirebbero ad imporsi in modo generalizzato. Possiamo immaginare uno Stato in cui occorra un poliziotto per controllare ogni singolo cittadino (e, inoltre, chi controllerebbe il poliziotto)? I critici del relativismo pensano appunto che per garantire la spontanea osservanza delle norme occorra che queste vengano riconosciute come "giuste". Dall’etica non si esce. All’etica si ritorna.
I relativisti sono soddisfatti della società, del mondo, in cui vivono? Sono orgogliosi di questa "modernità" che riconosce come unico dio il denaro? Non avvertono il degrado inarrestabile della convivenza civile, la devastazione dell’ambiente naturale, il prevalere della volgarità, lo scatenamento degli istinti peggiori? Non comprendono che quello che, eufemisticamente, viene descritto come "disagio giovanile", altro non è che il risultato logico di una società che ha perso i propri punti di riferimento positivi, che non ha speranza nel futuro perché questo presente non lascia presagire alcunché di buono?
Personalmente, ritengo che Papa Benedetto XVI faccia quello che, nelle condizioni date, deve fare un’autorità religiosa: denunciare le contraddizioni ed i pericoli del mondo moderno ed indicare una possibile via d’uscita. In realtà, non viene perdonata al Papa una critica tanto insistita della modernità.
I relativisti pensano che sia un caso se, in tutto il mondo, i valori religiosi dimostrano una sorprendente capacità di penetrazione in quantità crescenti di popolazione, a partire dai Paesi dell’Islam? Perché il fondamentalismo religioso ha tanta presa, nonostante i suoi evidenti difetti? Non è pure questo un segno distintivo dell’attuale fase storica, il più chiaro sintomo che il modello di società espresso dall’Occidente è in crisi e, comunque, non viene più avvertito come necessariamente vincente, oltre che non desiderabile?
Intorno a noi vediamo macerie morali e reali cumuli di immondizia. Per ricostruire, bisogna partire da valori capaci di conquistare gli spiriti. Il valore della libertà, in cui credo, non significa licenza, ma onerosa e spesso dolorosa assunzione di responsabilità. La libertà ci rende responsabili della nostra esistenza, delle nostre scelte quotidiane. E’ fatica, è travaglio. La libertà accresce il proprio valore quando riconosce l’esigenza di un altro valore, altrettanto fondamentale, quello della verità. I due valori, per determinare effetti positivi, devono procedere insieme. A nulla vale una verità imposta con la forza. A nulla vale una libertà che, senza l’orientamento dato dalla ricerca della verità, può facilmente tradursi in degradazione ed in pulsioni auto-distruttive.
Libertà e verità, tenute insieme, consentono di trovare il giusto orientamento anche rispetto ai comandamenti che vengono dalle autorità religiose. Infatti, riconoscere la libertà come valore supremo significa non accettare il principio di autorità in questioni di coscienza. Nei momenti decisivi, quando si tratta di compiere scelte rischiose e moralmente difficili, dopo aver valutato tutti i termini del problema e considerato i punti di vista degli altri, è in sé stessi che occorre trovare la soluzione. Non ci sono gerarchie o ubbidienze che tengano rispetto ad una scelta che la coscienza afferma essere quella giusta. E la coscienza comanda ciò che si ritiene vero (ritorna sempre il valore primario della verità). Così, nella coscienza e nello spirito critico degli individui si trova l’antidoto per contrastare ogni forma di strumentalizzazione politica delle religioni.
Bisognerebbe insegnare ai ragazzi, fin da piccoli, che ogni individuo è una storia. Come tutte le storie, ha un inizio (la nascita), un suo percorso, una fine (la morte individuale). Il punto di partenza è sempre determinato da forze esterne: le condizioni familiari, sociali, ambientali. Lo sviluppo può essere tanto più determinato dallo stesso protagonista della storia, quanto più egli esercita ed irrobustisce la propria volontà, che assume degli obiettivi e li persegue. La vita è cambiamento: vivendo si cambia incessantemente, non soltanto nel fisico, ma proprio nel modo di pensare: perché le esperienze, gli studi, le nuove conoscenze, ci fanno cambiare. L’incessante trasformazione è un dato che, comunque, accomuna tutti gli esseri umani. Quando l’esigenza di verità si radica nella storia di una persona, il fine dell’esistenza diventa quello di governare le proprie trasformazioni individuali in direzione di ciò che è vero, autentico, essenziale, di ciò che davvero rende la vita degna e meritevole di essere vissuta. Si tratta di un processo che contempla inevitabili cadute ed errori; ma si può sempre ritrovare la strada, rimediare agli errori, e diventare operatori di bene nel presente e nel futuro. Essere consapevoli che noi stessi siamo cambiati ed ancora possiamo cambiare, deve renderci più prudenti nel giudicare gli altri. Di solito il giudizio si basa sul fatto che il tale fece una certa cosa, o ne dichiarò un’altra, in una data precisa. Dovremmo chiederci: cosa è diventato quel tale oggi? Considerando quanto noi stessi ci siamo trasformati nel medesimo intervallo di tempo. La concezione dell’individuo, non come una realtà data una volta per tutte, ma come processo storico che può essere indirizzato da una volontà di bene, è idea potenzialmente capace di trasformare il mondo. Centomila persone che, concretamente, nei loro comportamenti, nel loro quotidiano rapportarsi agli altri, sono capaci di diventare migliori, rendono migliore la società. Milioni di persone che, nel mondo, fanno la medesima cosa, rendono migliore la Terra.
Vengo alle mie conclusioni.
1) L’indifferentismo morale va combattuto. Alcune cose vanno denunciate come "male", sempre e dovunque. Ad esempio, usare violenza nei confronti dei bambini, dei vecchi, dei malati, delle persone incapaci di difendersi, è "male", indipendentemente dal fatto che esista, o meno, una norma giuridica che preveda quella fattispecie come reato. Ad esempio, la tortura, o la riduzione in schiavitù di esseri umani, sono crimini contro l’umanità, cioè sono "male", sempre e dovunque.
2) Nessun essere umano possiede la verità assoluta e definitiva, ma questo non significa che la verità non meriti di essere ricercata, come il bene più prezioso. La capacità di considerare le ragioni degli altri, l’attitudine autocritica che può portare a rivedere le proprie precedenti posizioni, il dubbio metodico, non sono elementi comportamentali fini a se stessi: sono tutti in funzione del superamento di precedenti errori, verso una più piena affermazione della verità.
3) Il pluralismo culturale è inevitabile, ma le opinioni non hanno tutte lo stesso valore. La forza di una opinione sta nella bontà degli argomenti che la sostengono.
4) Il sapere accumulatosi in oltre cinquemila anni di Storia umana (quella di cui abbiamo contezza) non è inutile, anche dal punto di vista dell’esigenza di verità. La Scienza ci dà un insieme di certezze che sono "stabili"; nel senso che potrebbero essere superate (falsificate) da scoperte scientifiche successive, ma che vanno ritenute valide finché queste scoperte non avvengano. Anche la Storia è tutt’altro che il campo delle opinioni e delle interpretazioni. Il sapere storico si costruisce in modo rigoroso. Gli eventi storici sono "certi", documentati. La filologia è in grado di smascherare i falsi.
5) Chi ha dei saldi princìpi morali e delle ferme convinzioni non può tollerare, nel senso di lasciar correre, idee che ritiene pericolose per la civile convivenza, né opinioni che giudica gravemente viziate da errore, o ingannevoli. Anzi, ha il dovere morale di intervenire, come può, per contrastare quelle idee e quelle opinioni. Così, dal contrasto delle posizioni, manifestato senza infingimenti, la verità si farà strada nel dibattito pubblico.
6) La tolleranza, rettamente intesa, non è mai tolleranza di idee, ma si risolve nel dovere di rispettare la dignità umana del proprio interlocutore. Il consequenziarismo dottrinario deve sempre arrestarsi prima di offendere l’integrità fisica e morale di colui con cui discutiamo; siamo tenuti a rispettare la persona umana che è in lui. Anche quando siamo convinti che sbaglia, lasciamo che il tempo lo aiuti a trovare la sua giusta via verso la verità. In termini religiosi: bisogna condannare l’errore, ma salvare l’errante.
Quanto detto finora viene prima della politica, prima della democrazia, prima del liberalismo. Ha a che fare con la riconquista della difficile arte di fare il miglior uso possibile della propria vita, cosa molto diversa dal mero sopravvivere. Il miglior uso possibile non coincide necessariamente con il successo mondano, campo in cui, purtroppo, il "principe di questo mondo" ha sempre buone carte da giocare. Tuttavia, se si affermassero dei valori largamente condivisi, prevalenti perché hanno sconfitto le obiezioni nel libero confronto, ne potrebbe scaturire un’egemonia politico-culturale capace di dare un preciso indirizzo alle istituzioni di governo e rappresentative, all’ordinamento giuridico, alle regole del mercato, ai contenuti formativi dell’istruzione di competenza della Scuola e dell’Università. Sapiente è colui che «ordina rettamente le cose» e sa «ben governarle» ha scritto Tommaso d’Aquino nella "Summa contra Gentiles". La politica "alta" non si appaga della gestione quotidiana di un presente sempre più frustrante e insoddisfacente, ma tende a superarlo per determinare nuova Storia.
Palermo, 10 maggio 2008

Livio Ghersi

Pubblicato nel sito: www.livioghersi.it

lunedì 12 maggio 2008

SONO BELLE LE FOTO DI HERAT

Questo link per memoria.

sabato 10 maggio 2008

FRANCESCO BARACCA



LUGO
In festa per Baracca
Verrà consegnato un premio a ricordo di Golfera
09/05/2008
Lugo si prepara a rendere omaggio al concittadino Francesco Baracca, l’eroe dell’aviazione di cui quest’anno ricorre il 90esimo anniversario della morte e il 120esimo della nascita.
La doppia ricorrenza sarà celebrata con una doppia serie di appuntamenti: si partirà con un convegno per gli studenti delle scuole superiori, che si terrà il 16 maggio, alle 10, nell’aula magna del liceo scientifico, su iniziativa dalle associazioni lughesi Unuci, Assoarma e Arma Aeronautica. Ai giovani, verrà illustrata la figura di Francesco Baracca come uomo votato all’innovazione, oltre che della professione di pilota militare. Al termine, ci sarà la premiazione del concorso riservato alle scuole medie inferiori e alle quinte elementari di Lugo per elaborati sulla figura dell’eroe lughese.
Si proseguirà per tutta la giornata di sabato 17 maggio con il convegno "Francesco Baracca tra storia, mito e tecnologia", nella sala consiliare della Rocca sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica.
Il 5 luglio arriverà a Lugo la banda dell’Aeronautica Militare, che terrà un concerto ai piedi del monumento a Baracca, poi, sempre sotto l’alto patronato del Capo dello Stato, il 6 luglio, all’aeroporto di Villa San Martino, avrà luogo il Memorial Day dedicato a Baracca, organizzato dall’Areo Club, dall’Arma Aeronautica, dall’Unuci, dal Comune, dall’Esercito e dall’Aeronautica Militare Italiana.
Sarà un vero e proprio air show, un non stop di esibizioni di paracadutisti, velivoli e pattuglie civili e militari. Il piatto forte sarà rappresentato dai mezzi dell’aviazione leggera dell’Esercito e dagli aeromobili del reparto sperimentale di Pratica di Mare (Roma), mezzi che in genere sono visibili solo nella loro base. Si vedranno all’opera, tra gli altri, il C27J Spartan, potente veicolo da trasporto tattico militare, le pattuglie acrobatiche civili degli ultraleggeri Walter’s Bad, dei motoalianti Blue Voltige, degli ultraleggeri della Pioneer 300 Team e dei solisti acrobati dei Cap 10 e 21 dell’Aero Club di Lugo, cui seguirà la consegna del premio, a un pilota meritevole, intitolato ad Andrea Golfera, il pilota d’aerei lughese morto nel luglio 2007 durante un’operazione di spegnimento incendi della Protezione Civile a bordo di un Canadair.
Nel pomeriggio, ci sarà un collegamento satellitare audio-video da Herat con i militari della Brigata Aeromobile Friuli, in missione di pace in Afghanistan. Seguiranno esibizioni di elicotteri e una novità: lo Spad XIII, replica dell’aereo di Baracca, ricostruito da Giancarlo Zanardi che si esibirà nella simulazione di un combattimento contro il mitico Barone Rosso.
Per il Memorial Day erano attese anche le Frecce Tricolori, per le quali il Comune aveva già stanziato circa 15 mila euro. Ma una quindicina di giorni fa le Frecce hanno disdetto l’appuntamento, in quanto impegnate altrove. L’Areonautica Militare ha compensato questa mancanza con la partecipazione dei propri mezzi più innovativi, ma la delusione si è fatta sentire, se non altro per la notorietà della mitica pattuglia bianco rosso e verde.
Il ricavato della manifestazione, a ingresso libero, andrà a favore dell’associazione "Insieme per il Benin" e della Fanep, per i bambini affetti da malattie neuropsichiche. Info: www.aeroclublugo.it
Lorenza Montanari

venerdì 9 maggio 2008

I NOSTRI SOLDATI IN AFGHANISTAN


FORLI' - Afghanistan, inaugurato il Centro sanitario di Sirwan

FORLI’ - Il Provincial Reconstruction Team a guida italiana ha inaugurato oggi il Centro Sanitario (Health Centre) di Sirwan, nella provincia afghana di Herat.



Il dottor Ghulam Sayed Rashid, direttore provinciale del Dipartimento della Salute ed il Colonnello Giuseppe Levato, comandante del PRT di Herat, hanno presenziato alla cerimonia di inaugurazione e consegna alla comunità locale della nuova struttura sanitaria insieme a numerosi abitanti del paese.



L’opera, finanziata con fondi italiani, e’ stata progettata dal team di ingegneri civili ed ufficiali dell’Esercito appartenenti alla cellula CIMIC (Civilian and Military Cooperation) del PRT. Questi hanno svolto attività di gestione e controllo dei lavori edili che sono stati appaltati ad imprese afgane contribuendo così ad incrementare il bacino di impiego occupazionale e lo sviluppo economico dell’area.



Per gli oltre 40.000 abitanti dei villaggi circondariali, il centro sanitario di Sirwan rappresenterà il principale canale di accesso al sistema sanitario pubblico che sino ad oggi aveva come unica alternativa l’ospedale di Herat, distante oltre 80 km e raggiungibile in 5 ore di viaggio lungo una strada prevalentemente sterrata.

martedì 6 maggio 2008

Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, quarant'anni dopo



06/05/2008 - Roma - Quarant'anni fa il giovane professore Joseph Ratzinger scriveva il libro "Introduzione al Cristianesimo", frutto delle sue lezioni in un corso estivo di teologia.Era il 1968, anno di grandi rivoluzioni culturali e sociali, ma anche momento di forti speranze e di profonde riflessioni sul futuro dell'umanità.
Da allora "Introduzione al Cristianesimo" è diventato un best seller internazionale, con traduzioni in oltre trenta lingue (fra queste anche giapponese, russo, coreano, arabo e cinese).
Oggi questo saggio è considerato il capolavoro di Papa Benedetto XVI ed una specie di "porta d'accesso" al suo pensiero teologico.
Nelle sue pagine si possono già trovare tutte le linee guida, le domande decisive e i temi fondamentali del futuro Pontefice.
La sua straordinaria attualità sta, soprattutto, nella capacità dell'autore di esprimersi ponendosi sempre in un atteggiamento di dialogo con il pensiero dell'uomo di oggi.
Le Facoltà di Teologia e di Filosofia dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum vogliono oggi proporre una riflessione ed un'analisi teologica e filosofica dell'opera di Joseph Ratzinger, in omaggio al Santo Padre e come segno di adesione filiale alla sua persona e al suo Magistero.Il convegno interdisciplinare "La voce della fede cristiana. I
ntroduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, quarant'anni dopo" si terrà il 12 e 13 maggio 2008, a Roma, dalle 9.00 alle 13.00, nell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in via degli Aldobrandeschi 190.
L'ingresso è libero. Per informazioni: Tel. 06 66527828/910. Sito Internet: www.upra.org Il convegno sarà aperto dal Cardinale Darío Castrillón Hoyos, Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
Seguiranno, nel corso delle due mattinate, gli interventi del Rettore e dei docenti delle Facoltà di Teologia e Filosofia dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Il tema di lunedì 12 maggio sarà "La questione di Dio e di Cristo come fulcro di un'introduzione alla fede cristiana". Dopo la relazione inaugurale del Cardinale Darío Castrillón Hoyos, interverranno dalle 9.00 alle 13.00: il Rettore dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Prof. Pedro Barrajón, L.C. (Le note essenziali del Cristianesimo), il Prof. D. Krysztof Charamsa (L'introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger nel panorama delle opere introduttive al mistero del Cristianesimo), il Prof. D. Achim Schütz (La domanda sull'Essenza del Cristianesimo nella riflessione filosofico-teologica moderna), il Prof. Antonio Izquierdo, L.C. ("La legge dell’abbondanza" nell'Introduzione al Cristianesimo e nel Nuovo Testamento), il Prof. D. Nunzio Capizzi (Il problema del "Gesù storico" nella teologia di Joseph Ratzinger), il Sig. Anthony Valle (L'ermeneutica cristologica di Joseph Ratzinger a partire dall'Introduzione al Cristianesimo fino ad oggi). Moderatore: Prof. D. Mauro Ga!gliardi.
Il tema di martedì 13 maggio sarà "La ragione può parlare di Dio, deve anzi parlare di Dio, se non vuole amputare se stessa". Interverranno dalle 9.00 alle 13.00: il Prof. Paolo Scarafoni, L.C., Rettore dell'Università Europea di Roma (Il concetto di persona, a partire dall'Introduzione al Cristianesimo), il Prof. Juan Pablo Ledesma, L.C., Decano della Facoltà di Teologia dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (La "Caritas" nell'Introduzione al Cristianesimo e in Deus caritas est), il Prof. D. Paul Haffner (Scienza e Fede nel pensiero di Joseph Ratzinger – Papa Benedetto XVI), il Prof. Giuseppe Ferraro, S.J.(Il "Credo del Popolo di Dio" di Paolo VI nel quarantesimo anniversario della solenne proclamazione: valore e attualità), il Prof. Alfonso Aguilar, L.C.(La categoria di relazione come chiave per spiegare l'esistenza cristiana secondo l'Introduzione al Cristianesimo), il Prof. Guido Traversa (L'identità come identità distinta). Moderatore: Prof. D.Carlo dell'Osso.

domenica 4 maggio 2008

DUEPASSI SUL LEGNO STORTO

Sciagura annunciata a Reggio Emilia 04/05/2008 14:02
Ormai è sicuro.
Tutte le vedette, le spie e gli informatori confermano la fatale notizia.
Mettetevi in salvo finché siete in tempo, allontanate i deboli di cuore, i verdi, i sofferenti, e i tifosi dell'Avellino, che (dicono che, ma sarà vero ?) da uno studio fatto dalla Lancet, parrebbe che a Reggio Emilia siano l'80 % della popolazione.
Il drakkar di Duepassur è pronto e navigherà fino a Reggio Emilia, dove giungerà il giorno 7.

Per dormire, per risparmiare, l'avarazzo, pare che sia intenzionato a servirsi "delle vele".
Ma come ? Un vichingo che per pernottare ricorre a delle vele, questo non s'era mai sentito, vergogna !

Se qualche coraggioso fosse disposto, nonostante il pericolo, ad affrontare il james bondi ("bondi", parola vichinga) partenopeo, mi è stato assicurato che non gli verrà fatto alcun male e potrà tornarsene sano ed intatto alla sua dimora, a patto che possa sopportare senza danno le chiacchere insulse del nordico-sudico.

Qualcuno potrebbe pensare
"Beh, parleremo di cose innocue, che tempo fa..."
No, parlare del tempo con un tipo simile, è pericoloso, potrebbe citarvi reazioni chimiche e carote e grafici, e non c'è un interruttore per farlo smettere.

Siete avvisati, ma se qualcuno lo contatterà, ne sarà felice come una Pasqua.

Una scomoda verità su Al Gore

Vi sono video correlati

giovedì 1 maggio 2008

La fine di orsi e gelati.

Sono convinto che alcuni di voi ignorino l'alto livello culturale delle argomentazioni di al gore.
Fate male, dovreste vedere quel film così premiato, perché è molto istruttivo.
A me sono rimaste impresse due scene, in particolare, dove l'evidenza della prova scientifica è così schiacciante, che al gore ha dovuto ricorrere a cartoni animati per poterle mostrare.
1)
dopo essersi lanciato in una spiegazione classica della teoria del global warming, lo scienziato-politico conclude che quello che ha appena spiegato...
"That's global warming."
... ma solo la sua spiegazione tradizionale, ed aggiunge
"Here's what I think is a better explanation."
e qui parte il filmato:
"Global warming
or:
none like it hot !" (=a nessuno piace caldo!)
Si vede una bimba, di nome Susie, uscire da un gelataio con un grosso gelato in mano, ma come apre la bocca per gustarselo, il gelato si squaglia completamente.
Susie si mette a piangere, e un signore la guarda, si fa una risatina e dice
"You're probably wondering why your ice cream went away." (=ti stai probabilmente domandando perché sia scomparso il tuo gelato.)
"Well, Susie, the culprit isn't foreigners." (=Bene, Susie, il colpevole non viene da fuori.) "It's global warming."
- Global...
- Yeah.
E qui il resto del cartone animato spiega fantasiosamente in cosa consisterebbe il global warming.
Di fronte a simili argomentazioni mi domando come mai i gelatai e le ditte che producono gelati non si siano dati ad altre attività, visto che i gelati si sciolgono prima di poter essere mangiati... qualcuno li avvisi, magari non hanno visto il film e si illudono che i gelati che producono potranno essere gustati dai bambini. Non sanno che i poveri pargoli non faranno a tempo a dare nemmeno la prima leccata, e vedranno i loro gelati sciogliersi come come neve al forno, ma istantaneamente, attimo fugace di promessa delizia che svanisce nel tempo di uno sguardo...

Ebbene si, solo il vate Tony Dallara aveva già da tempo profetizzato l'avvento del ghiaccio bollente.
E non si può dire che restò inascoltato, anzi... vendette un gran numero di dischi.
Ma la gente non immaginò quale orribile sciagura si nascondeva dietro l'angolo, foriera di morte e calamità, fino alla fine del nostro stesso pianeta...
E così, ingiustamente, un simile genio anticipatore di verità arcane ed inquietanti, non ricevette il premio nobel come avrebbe invece meritato.

Ora lo sapete, e la prossima estate sapete come risparmiare i vostri soldi, evitando di spenderli per gelati che non riuscireste nemmeno ad assaggiare.

2)
oltre alla verità, sconveniente ma doverosa, dei gelati che si squagliano istantaneamente a causa del global warming, al gore ci ha mostrato anche un altro cartone animato in cui si dimostra scientificamente che gli orsi bianchi sono imbecilli, e non conoscono il comportamento del ghiaccio, non sanno riconoscere quando potrebbe spezzarsi e così annegano.
Gli orsi non hanno mai visto del ghiaccio sciogliersi - ci sembra di dover dedurre che questo, secondo al gore evidentemente non era mai successo nell'artico, e così i poveri orsi sono colti di sorpresa da questo fenomeno insolito e mortale.
E annegano, mio dio, poverini, come annegano !
E così qualcuno dice che sarebbero diminuiti da 5 mila a 25 mila (magari il mio stipendio diminuisse a questi ritmi !), e a questo ritmo scompariranno prima o poi, tutti annegati, perché tutti scemi.

Ricordo che tempo fa due donne vollero documentare la scomparsa dei poveri orsi a causa del global warming, ma non poterono portare a termine la loro impresa perché ad una delle due si congelarono i piedi, e dovettero tornare in fretta e furia prima che il freddo rigidissimo facesse scomparire loro, invece degli orsi.

Non so a voi, ma a me questi cartoni sono sembrati un'insulto all'intelligenza.
Ma, per offendersi, bisogna almeno averla.

Secondo me.