domenica 15 agosto 2010

GIOVANNO GIOLITTI (click)


domenica 8 agosto 2010

Massacro in Afghanistan - Pietà per i poveri


In Afghanistan otto oculisti - sei erano americani - più due interpreti afghani sono stati allineati e uccisi a colpi di mitra perché cristiani. Un afghano che era con loro si è salvato perché ha recitato un paio di versetti del Corano. Grande lezione per l’Occidente.
Non basta sentire pietà per qualcuno: è necessario che costui la meriti. Degli oculisti occidentali avrebbero potuto guadagnarsi riccamente da vivere a casa loro mentre sono stati brutalmente massacrati per avere scelto di curare i poveri di un Paese sfortunato. La conclusione è che nessun cristiano mai dovrebbe avere pietà dei bambini musulmani.

Se sono affetti da tracoma, se rischiano di divenire ciechi per una mina o un altro incidente di guerra, i loro genitori non hanno che da fare appello alla pietà degli oculisti musulmani. E se poi questi in Afghanistan non ci vanno, non rimane che alzare le spalle.
Sembra un discorso molto duro ma non bisogna essere ipocriti. Basta chiedere a chiunque legga queste righe: sareste d’accordo che vostro figlio, medico, vada a curare i poveri in zone isolate dell’Afghanistan? Se la risposta è no, non dite che il paragrafo precedente è troppo duro. Quando c’è da rischiare la vita è troppo facile dire “andate”. È più prudente - e soprattutto più onesto - confessare: “La mano gliela porgerei, ma ho troppa paura che me la mordano”.
L’episodio ricorda un fatto analogo, anche se meno grave. Lasciando Gaza, i coloni israeliani hanno abbandonato le loro case e le loro floride imprese agricole. Gli abitanti del luogo hanno immediatamente distrutto sia le case che le serre e tutte le installazioni agricole. Come avere pietà di un popolo che da un lato mendica l’aiuto internazionale e dall’altro, invece di utilizzare un regalo, preferisce distruggerlo, talmente è malato di odio?
Il nobilissimo sentimento di pietà deve essere riscontrato dall’atteggiamento di chi è in bisogno. La vista di bambini che muoiono di fame non può che fare orrore a qualunque persona per bene e tuttavia è illusorio pensare di risolvere il problema con la carità. Non serve nascondersi la realtà: solo gli interessati possono fare qualcosa di risolutivo.
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Un tempo, per spiegare i problemi della miseria nel mondo i più semplici avevano pronto lo stereotipo delle bettole: la colpa è del colonialismo. Inghilterra e Francia prosperano sulla pelle dei Paesi poveri. Poi il colonialismo finì e questi Paesi, divenuti indipendenti, non solo non stettero meglio, ma in molti stettero peggio. Basti pensare allo Zimbabwe: prima questo Paese era detto la Svizzera dell’Africa e si chiamava Rhodesia, oggi è un posto in cui si muore per denutrizione. Mentre Francia e Inghilterra sono prosperi come prima e più di prima. Fine dello stereotipo.
Dal momento che bisogna comunque condannare l’Occidente, sono nati altri miti. I Paesi ricchi comprano il ferro dai Paesi poveri pagandolo una miseria e si fanno pagare le automobili a prezzi altissimi. Dimenticando che il prezzo delle materie prime, fra cui il ferro, è internazionale e che un’automobile ha un’infinità di valore aggiunto. Anche una tonnellata di orologi avrebbero un prezzo stratosferico. In realtà il prezzo “equo” è quello che risulta dalla domanda e dall’offerta.
Ma - dicono le anime belle - i Paesi colonialisti avrebbero dovuto insegnare ai Paesi poveri ad arricchirsi. Facile a dirsi. L’Italia del Nord non è riuscita ad insegnare lo spirito imprenditoriale all’Italia del Sud - e si tratta della stessa nazione! - e avrebbe dovuto insegnarlo al Burkina Faso? Inoltre, uno Stato non è la San Vincenzo e non ha nessun dovere. Nessuno ha insegnato niente all’Inghilterra, che pure ha lanciato la Rivoluzione Industriale e nessuno ha insegnato niente alla Francia, che ha dato al mondo l’esempio dello Stato moderno.
Infine ci sono i capri espiatori precostituiti: le multinazionali. In realtà, se apre uno stabilimento in Mozambico, la Coca Cola dà lavoro a parecchia gente, mentre se non lo apre non distribuisce certo salari. Come diceva qualcuno, essere sfruttati dal colonialismo - o dalle multinazionali - è una disgrazia superata in dimensioni solo dalla disgrazia di non essere sfruttati dal colonialismo o dalle multinazionali. È ancora un vantaggio se una grande impresa si limita a vendere i suoi prodotti: quelli che li comprano reputano infatti che valgano più di quello che li pagano, diversamente non li comprerebbero. Si chiama “principio dell’utilità dello scambio”.
In parecchi Paesi si soffre la fame perché gli abitanti sono troppo numerosi per il territorio che sono capaci di sfruttare. E fanno troppi figli per poterli nutrire. Il rimedio in questo caso non è la carità internazionale: è una buona agronomia e un buon controllo delle nascite. In mancanza, gli indigeni continueranno a morire e a veder morire i loro figli.
Qualcuno per questo vorrebbe incrementare la carità internazionale ma l’unica soluzione sostenibile è l’autonomia alimentare. “Se ti do un pesce ti nutro per un giorno, se ti do una canna da pesca ti nutro per tutta la vita”. Naturalmente bisogna che il beneficiario si metta a pescare: e questo purtroppo è meno ovvio di quanto si creda.
Un’ipotesi è quella di imporgli di “andare a pescare”, ma a parte il fatto che non tutti i popoli sono abili tecnologicamente, quando la si è provata l’economia di Stato ha dato risultati molto negativi. Perfino quando si è trattato di popoli europei: per mettere rimedio al ritardo economico della Germania Est (che pure era il Paese più progredito del blocco sovietico) la Germania Ovest a momenti affondava.
Qualcuno depreca il consumismo e, con un pregiudizio da campionato del mondo di ignoranza dell’economia, crede che la miseria degli uni dipenda dalla prosperità degli altri.
Se un Paese consuma molto, significa che produce molto. Se non producesse, non potrebbe consumare: nessuno regala niente a nessuno. Inoltre il consumismo dei ricchi aiuta i poveri: se un Paese ricco consuma per snobismo frutta esotica che non può produrre, farà felici i Paesi poveri che possono vendergliela.
Molti sparano spensieratamente la baggianata della “ingiusta ripartizione delle ricchezze”, come se qualcuno avesse tagliato male una torta. Ma all’umanità non è stata mai regalata nessuna torta. La ricchezza bisogna innanzi produrla. Il problema non è la divisione, è la produzione: diversamente non c’è niente da distribuire. E questa distribuzione è naturale che avvenga fra coloro che quei beni li hanno prodotti.
La fame sparirà soltanto quando si limiterà la popolazione e si miglioreranno le tecniche di produzione del cibo.

giannipardo@libero.it