martedì 30 dicembre 2008

Il «Manifesto della razza» del 1938 e i cattolici (click)


Martedì 23 Dicembre 2008 10:37
di Giovanni Sale S.I.

Negli ultimi anni del suo pontificato Pio XI condusse una forte battaglia contro la politica eugenetica e razziale dell’Asse nazifascista. Papa Ratti giudicò il Manifesto della razza del 1938 contrario alla dottrina cristiana, al diritto naturale e ad ogni elementare senso di umanità.

Da «La Civiltà Cattolica», quaderno 3793, 5 luglio 2008

domenica 28 dicembre 2008

AGLI AMICI

mercoledì 24 dicembre 2008

DI LUCCA SI', MA PRIMA ITALIANO (click)

HERAT - L'ispettore della Guardia di Finanza Sante De Luca del nucleo di polizia tributaria di Lucca e' stato insignito della cittadinanza onoraria della citta' afghana di Herat, nell'ambito della missione ''Eupol Afghanistan''.

domenica 21 dicembre 2008

LA BARCA DI GESU'


La barca al museo Yigal Alon

Venne scoperta vent'anni fa nel lago di Tiberiade, in Israele
Pellegrinaggio alla «barca di Gesù»
Con il radiocarbonio è stata datata al I secolo d. C.

Se Cristo non la usò, quasi certamente la vide

Di Francesco Battistini

LAGO DI TIBERIADE (Israele) – Qualcuno s’inginocchia e prega. «Soprattutto i russi». Qualcuno apre il Vangelo e legge ad alta voce. «È un momento scioccante, se uno ci crede». Crederci o no, questo grosso guscio di legno, scorticato e restaurato, sorretto da stampelle d’alluminio, ormai è una reliquia. Per tutti, la Barca di Gesù. Per i tour operator in Terra Santa, un’altra irrinunciabile tappa: i pullman scaricano ogni giorno pellegrini convinti, sul piazzale del museo Yigal Alon. Le frecce indicano il percorso, s’attraversano i frutteti e gli ulivi del kibbutz di Ginossar, s’entra in una sala illuminata e a temperatura calibrata. La barca è lì: lunga otto metri, larga quasi due e mezzo, alta uno e 25. Ha ancora i chiodi e qualche pezzo di ceramica, gl’indizi che hanno permesso di datarla al radiocarbonio, I secolo dopo Cristo, di studiare le tecnica di costruzione dello scafo e alla fine di dirlo quasi con certezza: se Gesù non ci navigò, come minimo la vide.

SCOPERTA VENT'ANNI FA - La barca di Gesù fu scoperta per caso più di vent’anni fa, nel lago di Tiberiade. Furono i giornali dell’epoca a chiamarla subito così, ma il culto dei fedeli è cresciuto negli ultimi tempi, quando la storia di questo legno è stata ricostruita meglio. Accadde durante una stagione di grande siccità, il 1986: il livello dell’acqua scese al di sotto dei minimi storici e una mattina due pescatori del kibbutz, i fratelli Moshe e Yuval Lufan, per poco non speronarono la prua che affiorava. Il relitto venne portato a riva fra mille cautele, poi una squadra impiegò dodici giorni e dodici notti a ripulirlo del fango incrostato e della salsedine, quindi servì immergere quel che restava della chiglia in un bagno di sostanze chimiche, per un’altra settimana. La barca ha i segni di molte riparazioni e questo fa pensare sia stata usata per decenni, forse per un secolo intero, di generazione in generazione di pescatori. «E siccome il Vangelo cita almeno cinquanta volte barche e pescatori – dice Marina Banay, pr del museo – e Pietro e diversi apostoli erano pescatori che vivevano qui e lo stesso Gesù trascorse sul lago di Tiberiade parte della sua vita, per molti cristiani questa barca è qualcosa di speciale. L’emozione, vedere una barca proprio di quelle acque e di quell’epoca, è enorme».

DUE ARCOBALENI - Pescatori d’uomini, pescatori di pesci. Non si sa a chi appartenesse, se fosse d’un romano o d’un ebreo. Sappiamo che poteva portare fino a quindici persone, quattro ai remi, e che veniva usata sia per gettare le reti che per trasportare da una riva all’altra. Ma basta, questo, a presumere che fosse proprio quella barca che usavano Pietro, Giacomo e Giovanni, quella dove Gesù s’appisolò e che si riempì d’una pesca miracolosa, da dove fu facile scendere per camminare sulle acque, quella stessa barca che i discepoli, alla fine, abbandonarono per seguire il Messia? I biblisti sono più cauti degli archeologi. A fortificare i pellegrini nelle loro certezze, però, provvedono gli sbalorditi racconti dei due fratelli su quella mattinata: «Quando ci trovammo di fronte lo scafo che emergeva dal lago, di colpo smise di piovere. Gli uccelli smisero di cantare. E nel cielo comparvero due arcobaleni».


21 dicembre 2008

BUONE FESTE

martedì 16 dicembre 2008

STORIA DI "ORDINARIA INGIUSTIZIA"


«Trent'anni a incollare modellini
La mia vita da innocente in cella»
Contena, 69 anni, è stato assolto per non aver commesso il fatto
«Sono venuti a prendermi a casa: il 25 maggio 1977. Mi hanno lasciato guidare la mia macchina, una Simca 1000 verde.
Un'auto dei carabinieri stava davanti, una dietro. Ho pensato: è un errore.
Invece sono entrato in carcere a Terni, poi a Orvieto e a San Gimignano. Il processo è cominciato il 2 dicembre 1978 e si è concluso il 2 marzo dell'anno dopo con l'assoluzione per insufficienza di prove.
Sono uscito». Ancora non sapeva, Melchiorre Contena, che avrebbe scontato 30 anni.
È un signore sardo di 69 anni mite e malinconico.

Nel soggiorno di casa ad Acquapendente, nel Viterbese, parla lentamente, appoggiato a un bastone: un anno e mezzo fa un ictus gli ha bloccato l'area destra del corpo. Dice: «Ero innocente, prima o poi se ne sarebbero accorti».

Se ne sono accorti adesso, a fine pena per il sequestro e l'omicidio di Marzio Ostini, l'imprenditore milanese prelevato da tre banditi dalla villa di San Casciano Bagni il 31 gennaio 1977 e mai più restituito ai familiari. La Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila, che si è occupata della revisione del processo, ha assolto Contena da ogni accusa «per non aver commesso il fatto».
«Ormai non è più importante, niente potrà restituirmi il tempo passato in cella», spiega. Da Terni a Orvieto, da San Gimignano all'Asinara, da Sulmona a Pitigliano e ritorno. «Devo a Nicolò Amato l'aver potuto passare gli ultimi anni a Viterbo, vicino a casa: in visita a Sulmona chiese a molti di noi come potesse aiutarci.
Gli scrissi chiedendo il riavvicinamento e lo ottenni ».


Una credenza e un tavolo, navi di legno sulla dispensa e quadri di spugna costruiti nei mesi infiniti di detenzione. Seduta accanto a lui c'è Miracolosa Goddi, la moglie, determinatissima e forte, cuore di Orune, che è pura Barbagia, tempra e coraggio fatti in casa in Sardegna. Interviene ogni volta che il marito incespica e conclude per lui le frasi che ormai conosce a memoria. Melchiorre riprende: «Vendicarmi? L'ho pensato. Ma è stato un attimo. Con chi, poi? Con quello che mi aveva accusato del falso? Con i carabinieri di Montefiascone che gli avevano fatto firmare la deposizione senza un difensore? Ho subito abbandonato il pensiero, non sarebbe servito a niente ».
Contena resta libero dal '79 all'83. Anche la Corte d'Assise d'Appello di Firenze conferma l'assoluzione. Interviene la Cassazione. Nel 1983 la Corte d'Assise d'Appello di Bologna ribalta la sentenza e lo condanna sulla base delle accuse di Andrea Curreli, servo pastore con una sfilza di precedenti penali per falso e calunnia, che sarà poi assassinato.
«No, non sono stato felice per la sua morte. Con lui svanivano le possibilità di dimostrare la mia innocenza», racconta Contena.

Fuori, c'era Miracolosa: a occuparsi dei tre figli Lina, Michele e Giovanna; degli avvocati; del mutuo della casa e del podere nelle campagne senesi. Dentro, giornate interminabili. «La domenica andavo a messa, ma ormai non pregavo più. Piangevo, da solo. Non socializzavo con gli altri, cosa avevamo in comune? Allora mi facevo spedire il legno per costruire i modellini, quante navi ho costruito... Una caravella l'hanno messa davvero in mare a Genova per l'anniversario della morte di Cristoforo Colombo».


Lo spostano spesso, negli istituti di pena di mezza Italia. «L'Asinara è stato il più duro, perché era difficile per i miei figli venirmi a trovare. Durante quell'anno non li ho mai visti, mia moglie veniva da sola, ogni due mesi». A Pitigliano gli concedono la semilibertà: «Di giorno andavo al podere e la sera rientravo». A Viterbo la libertà vigilata con la firma. «Quasi la normalità, ma sempre l'onta sul mio nome. Al matrimonio di mia figlia non ero un uomo libero». Cinque anni di detenzione saltano per buona condotta. Contena esce dal carcere nel 2005, per fine pena. «Ma è soltanto ora che mi sento risarcito moralmente. Questo sarà il primo Natale che festeggio in famiglia senza l'infamia sulle mie spalle. Che cosa desidero? Rimettermi, poter di nuovo camminare come prima, recuperare l'uso del braccio. I viaggi? Magari un giorno riuscirò ad andare a Parigi con mia moglie: l'ho anche costruita, la Torre Eiffel».

Non ci sarebbe stata nessuna revisione del processo se l'avvocato Pasquale Bartolo del foro di Roma non avesse preso a cuore la storia di Melchiorre e Miracolosa. Ora il legale ammette: «La sentenza di condanna è stata viziata da un pregiudizio regionale: Contena era sardo e i sequestri li facevano i sardi. Sono già stato contattato da due persone coinvolte nello stesso processo che ne chiedono la revisione. Quanto al mio assistito, abbiamo due anni di tempo per l'istanza di risarcimento danni. Adesso era più importante ristabilire il suo onore».


Elvira Serra
16 dicembre 2008

mercoledì 10 dicembre 2008

UN TESORO DI DUEPASSI DA NAPOILI

La nuova primavera dell'Esperanto

L'Esperanto nasce ufficialmente il 26 luglio 1887, con la pubblicazione, in russo, dell’unua libro della lingvo internacia, come si chiamava allora, col titolo “Meždunarodnyj jazyk”,da parte del medico polacco Ludwik Lejzer Zamenhof, con lo pseudonimo di Doktoro Esperanto.
Ma ora, nel 2008, lamentiamo una sua diffusione molto minore di quanto vorremmo.
Dobbiamo rassegnarci a questo dato ?
No, e vediamo perché, e quali possibilità ha l'Esperanto di guadagnare molto consenso.

Spesso, quando si parla dell'Esperanto la gente pensa che sia ormai una proposta fallita, visto che dal 1887 ad oggi ha avuto un successo relativo, e non certo travolgente ed importante.
Ma,
finora l' Esperanto ha vissuto tra mille difficoltà, grazie all'impegno di relativamente poche persone.
Ma la situazione del millennio scorso NON è la stessa che ci si prospetta davanti.
Infatti nel frattempo, e faremmo bene a tenerlo ben presente, c'é stata una delle più grandi rivoluzioni nel mondo della comunicazione, l'avvento dell'era informatica.

Cosa vuol dire questo ?
Vuol dire nuovi mezzi, nuove possibilità, nuove occasioni per diffondere più velocemente e più ampiamente il messaggio di amicizia e di pace che accompagna questa lingua.

Possiamo dunque parlare, con cognizione di causa, di nuova possibile primavera dell'Esperanto.
Infatti i mezzi tecnici ci sono e possono permetterlo.
Ma a fronte di questa possibilità, a fronte di questa ghiotta occasione, c'è la necessità di coglierla, di non farla sfuggire, di metterla a frutto.
Purtroppo dobbiamo notare che già abbiamo perso parecchio tempo, ma l'occasione è ancora qui, davanti a noi, in tutta la sua potenzialità.
Per ora, le possibilità di straordinario sviluppo e successo sono ancora tutte intatte, davanti a noi, ed è ora di concretizzarle.

La diffusione dell'Esperanto ha degli ostacoli, piuttosto duri, ma è nostro compito superarli.
Il primo ostacolo è politico.
La politica segue le sue vie, che sono diverse da quelle che noi vorremmo.
Non possiamo sperare che la politica si accorga di noi.
Dobbiamo essere noi a convincere la politica che esistiamo, e che possiamo essere utili.
Attenti quindi al gatto che si morde al coda:
la politica non ci dà retta perché siamo pochi,
ma siamo pochi perché la politica non ci aiuta, o addirittura ci ostacola.

Al momento la situazione sembrerebbe senza sbocchi, ma basterà dimostrare il valore dell'idea, e parlo di valore pratico, perché anche nella politica potremo avere dei consensi, sempre maggiori.
Dovremo però noi suggerire alla politica cosa e come può fare per concretizzare il suo appoggio in maniera efficace.

Altro ostacolo è il predominio della lingua inglese.
Ma l'Esperanto è diffuso anche tra gli Anglosassoni, e non a caso uno dei maggiori poeti esperantisti è l'Anglosassone William Auld.
A questo proposito, per quel poco che conta, a livello di curiosità, potrei dirvi che io stesso, oltre ai miei maestri prof. Nicolino Rossi, e prof-ssa Maria Luisa Russo, ho avuto anche una tutor americana...

Predominio inglese ?
Il punto sbagliato è considerare la lingua inglese "concorrente" dell'Esperanto.
No, non è così.
Una lingua come la nostra avrebbe funzioni diverse, e non solo di concorrenza.
Mi spiego.
Chiedo spesso alle persone se, dovendo prendere un professore di inglese, a parità di prezzo, preferirebbero un Italiano o un madrelingua.
Finora tutti, me compreso, hanno optato per il madrelingua.
Questo significa che i madrelingua hanno un vantaggio discriminante sulle persone che madrelingua non sono.
E questo vale per processi, stipulazioni di contratti, lavoro ed ogni occasione in cui entri in mezzo l'uso della lingua inglese.
Cioè, siamo ad handicap, e sembra che ci stia bene così.
L'Esperanto, che non ha persone madrelingua, sarebbe invece lingua neutrale, e metterebbe tutti sullo stesso piano.

Chiedo anche spesso se a qualcuno piacciono i monopoli. Nessuno, finora, mi ha risposto che gli piacciono.
Ma allora, perché accettare il monopolio dell'inglese e non affiancargli una lingua neutrale come l'Esperanto ?
Voglio dire che non è compito dell'Esperanto "scalzare" l'inglese, ma solo fornire una valida alternativa.

Vorrei aggiungere che il monopolio culturale dell'inglese obbliga chi produce ad una faticosa e lunga opera di traduzione, o ad accontentarsi del mercato locale,
e non parlo tanto di prodotti industriali, che generalmente richiedono un impegno di traduzione tutto sommato non gravoso, ma, per esempio film, libri, opere culturali in genere....
L'alternativa Esperanto potrebbe fornire uno strumento valido per operare in un mercato più vasto,
a patto però che questo mercato dell'Esperanto si sviluppi e sia consistente.

Una lingua è uno strumento di comunicazione, e come tale funge a questo scopo (comunicare) e nello stesso tempo dal mondo della comunicazione può trovare identità e realizzazione, e, quindi successo.
E' dunque nel mondo della comunicazione che dobbiamo agire, se vogliamo il successo di questa nostra idea.

Ma cos'è il mondo della comunicazione ?
E' (a titolo esemplificativo, senza pretese di essere esaustivo) scuola, tv, giornali, cinema, radio, internet, industria, mercato ed ogni tipo di associazioni.

E in tutti questi ambienti dobbiamo cercare collaborazione,
ma
non passivamente
e cioè dobbiamo per prima cosa domandarci cosa possiamo dare noi a quel ambiente.

Lavorare nella scuola, come ?
In tanti modi.
Per esempio offrendo borse di studio, o premi ad alunni meritori nel campo dell'Esperanto.
Contattare alunni, professori, presidi, genitori, per stimolare, per proporre, per cercare spazi ed attenzione.
Formare formatori perché essi formino altri formatori.
Abbiamo bisogno di alunni, ma una lingua con pochi insegnanti non ha speranza. Dobbiamo quindi formare molti insegnanti, per poter cogliere possibilità di sviluppo.
Cosa succederebbe se domani il Parlamento votasse l'introduzione obbligatoria dell'insegnamento dell'Esperanto ?
Saremmo miseramente incapaci di rispondere alla richiesta di insegnamento, e il progetto farebbe un grande, immenso tonfo.
Immagino e sogno una classe che intraprenda lo studio dell'Esperanto. Cerchiamo di renderla soggetto attivo e non passivo, in modo che sia essa stessa fonte di iniziative, incontri, studi, e non si senta abbandonata, ma seguita ed aiutata.
Nostro compito, più che fare noi stessi (cosa buona ma limitata), è di incoraggiare, spronare altri a diventare soggetti attivi ed entusiasti.

E Radio, tv, giornali ?
Potrebbero concederci degli spazi, ma sta a noi rendere questa eventualità una opportunità concreta, offrendo qualcosa di valido a fronte di questi spazi.
A questo proposito, visto l'esiguità numerica degli interessati all'Esperanto, si potrebbe offrire degli insegnamenti misti, del tipo:
ti insegno l'inglese e l'Esperanto, assieme (o altre discipline assieme all'Esperanto).
Si potrebbero preparare dei corsi misti, col vantaggio di proporre l'Esperanto a chi è interessato all'inglese (e sono in un numero decisamente maggiore) o ad altre discipline.
Si potrebbero quindi preparare corsi misti per tv, radio, internet e giornali.
A questo proposito ho preparato due paginette di esempio, che troverete in allegato, utilizzando una barzelletta pubblicata dal cinese Manlajo, uomo straordinario, che fa molto e di grande qualità per la diffusione dell'Esperanto tra i Cinesi, sul sito lernu.net.
Gli ho chiesto ed ottenuto il permesso di utilizzare una sua barzelletta, per illustrare il metodo che ho in mente per cercare di portare questa lingua tra persone inizialmente non interessate all'Esperanto, e tentare così di coinvolgerle.

Un discorso a parte è col mondo del cinema.
Serve qualcuno che abbia contatti con quel ambiente.
I film sono un formidabile strumento di insegnamento linguistico. Sottotitoli in Esperanto (non ce ne sono nei film destinati al grande pubblico) consentirebbero l'uso della lingua in situazioni normali della vita quotidiana, ma senza l'artificiosità della frase da grammatica, tipo "This is a table"... e che altro, se no, un quadro astratto o una forchetta ? Lo vedo da me che è un tavolo... come diceva Paul McCartney, questa è la frase più letta nelle grammatiche e meno usata nella vita.
Le frasi dei film sono invece spesso e principalmente quelle che si usano nella vita, quelle che un madrelingua ascolta e dice. In altre parole sono lingua vera e viva.
Immagino però che far mettere dei sottotitoli non sia cosa semplice, e, purtroppo, se anche ci dicessero di si, potremmo fornire un prodotto decente nei tempi richiesti ?
Il risultato, per chi vuole imparare la lingua, sarebbe formidabile, e noi abbiamo un bisogno estremo di insegnanti. Quindi varrebbe la pena di sondare anche questo campo.
In altre parole, dovremmo cercare contatti ed opportunità nel mondo del cinema, offrendo una nostra collaborazione, che rispetti i tempi di quel mondo, perché non possiamo permetterci di deludere chi eventualmente ci desse una mano.

A questo punto proviamo a mettere insieme il mondo del cinema e quello della scuola, per esempio.
Mettiamo di riuscire a convincere una classe molisana a scrivere i sottotitoli di un film. I film sono divisi in scene, elencate spesso nella copertina posteriore del dvd, e quindi bene individuabili, anche da menu. Basterà che ogni alunno si impegni a tradurre una sola scena.
Mettiamo poi di convincere una classe di Napoli a fare altrettanto, e che magari una classe cinese faccia altrettanto, e una tedesca.... e così via.
Capirete bene come, col minimo sforzo di tradurre una sola scena, unendo lo sforzo di tante persone, otterremmo un formidabile, straordinario risultato di avere a disposizioni decine, forse centinaia (e non sarebbe nemmeno necessario) di film, da utilizzare per avere la possibilità di utilizzare l'Esperanto in situazioni realistiche, e quindi acquisire un bagaglio di frasi comuni e normalmente usate, perché anche se la situazione del film fosse assurda, la maggior parte delle frasi sono comunque normalmente utilizzabili.

A questo punto c'è da osservare che avremmo un risultato ottimo se il mondo del cinema ci aiutasse fornendoci gli strumenti per inserire i sottotitoli nei film, magari quelli nuovi, che quindi potrebbero arrivare al grande pubblico (e qui servirebbe l'aiuto del mondo della pubblicità, o comunque un grande sforzo pubblicitario)
ma
se anche il mondo del cinema egoisticamente rifiutasse di aiutarci, gli script sarebbero comunque utilizzabili, in maniera un po' meno comoda, ma comunque efficace, sotto forma di fogli sui quali seguire le vicende del film.

Cosa può darci l'industria o il commercio ?
Avete presente quei foglietti scritti in tante lingue che accompagnano i prodotti ?
Sarebbe bello che fossero scritti anche in Esperanto, e che in questa lingua fosse scritto sulle confezioni di ogni prodotto. Per esempio sulle confezioni di zucchine.
In questo modo, chi ne abbia tra le mani una confezione, e gli venga la curiosità di sapere come si chiamano in Esperanto, potrà leggere sulla confezione stessa che ha in mano che si dice "kukurbetoj".
Naturalmente questo sarà possibile se qualcuno l'avrà scritto sulle confezioni,
ma chi lo farebbe ?
Non possiamo aspettare questo lavoro da altri,
dobbiamo proporci noi.

Lavorare con internet
è cosa assai stimolante perché si viene davvero in contatto con persone di ogni parte del mondo, annullando in un istante qualsiasi distanza. Ma l'Esperanto è stato snobbato dai progettisti informatici, e non ci sono tastiere con tasti per l'Esperanto. Questo problema cadrebbe se l'Esperanto assumesse dimensione tale da dover essere preso in considerazione da coloro che attualmente non se ne curano. Servirebbe magari contattare qualche progettista informatico. Forse quelli del mondo Linux, per loro impostazione filosofica, potrebbero essere più disponibili alle nostre esigenze.
Infatti Linux nasce come mondo aperto e non commerciale, rivolto alla diffusione della cultura, ed offre possibilità di crescita a tutti, e quindi anche al nostro mondo.
Nel mondo di Windows, peraltro, You Tube accetta filmati da chiunque, e quindi anche filmati in Esperanto. Già ce ne sono, infatti.
Si potrebbero anche produrre ogni tipo di prodotti in Esperanto, come libri, file audio, audiolibri in Esperanto e via dicendo.
Tutta roba che interesserebbe chi ha interesse per l'Esperanto (e sono pochi).
Producendo invece un corso di inglese, o italiano o qualsiasi altra lingua, in Esperanto, o "anche" in Esperanto, si potrebbe coinvolgere, spero e credo, un pubblico più vasto.

A questo proposito vorrei farvi una proposta audace.
Mettiamo che io decida di tradurre un libro in Esperanto.
Quale sarebbe l'impatto, nel mondo, di questa mia iniziativa ?
Certamente servirebbe a qualcosa, ma sarebbe una goccia nell'oceano.
Se invece ognuno di noi, in questa sala, prendesse l'impegno, con sé stesso naturalmente, perché non è mia intenzione forzare nessuno, di tradurre un libro, per quanto piccolo, in Esperanto, e di proporre questo impegno a quanti conosce,
allora,
l'effetto potrebbe essere molto più efficace.
E pensate all'effetto della produzione di una trentina, per esempio, di audiolibri.
Quale potente mezzo di studio a disposizione di ognuno !
E chi ne avesse prodotto uno, si ritroverebbe ad averne a disposizione tanti.
Quale libro scegliere ?
Volendo incoraggiare la lettura, e NON scoraggiarla, consiglierei la scelta di libri interessanti o divertenti (il contenuto ha un suo valore di stimolo), ma soprattutto brevi.
Farete meno fatica voi, e fornirete (a chi si propone di leggere o ascoltare) uno strumento agile, che invogli senza spaventare per la sua eccessiva lunghezza.
Per esempio, non la traduzione di "Guerra e pace", magnifica ma lunghissima opera.
Non la traduzione del "de bello gallico" tutta assieme, non, cioè, tutta la traduzione degli otto libri di cui è composto,
ma,
semmai, otto traduzioni, una per libro.

Pensate in cuor vostro a questa proposta, e chi ne ha la possibilità lo faccia, e ognuno di voi cerchi, vi prego, di divulgare questa proposta ad altri in modo da moltiplicare il risultato comune con lo sforzo minimo di ognuno di noi.

Cioè,
dobbiamo muoverci, almeno finché sull'Esperanto incombe l'ombra lunga dell'oblio, per moltiplicare i contatti, cene, visite, scambi culturali, gemellaggi, per stimolare altre persone ad interessarsi di questa lingua, avendo in mente l'idea che se facciamo solo noi, servirà a poco, ma se riusciremo a far nascere in altri la voglia di fare, allora l'Esperanto potrà avere successo.
Allegato 1


Manlajo skribis:

- Kiom kostas taso da kafo?
- Kvindek centavojn.
- Kaj la sukero?
- Gxi estas senpaga.
- Mi volas du kilogramojn da sukero.

- 一杯咖啡多少錢?
- 五十分錢.
- 糖呢?
- 糖免費.
- 我要兩公斤的糖.


Ho riscritto la sua barzelletta col metodo Shelburn, aggiungendo alle frasi scritte in caratteri cinesi (Hanzi) la trascrizione fonetica in pinyin e una traduzione in italiano, in modo che questa barzelletta possa essere usata da chiunque conosca una di queste lingue e voglia studiare una delle altre due o entrambe.



- 一杯咖啡多少錢 ?
yī bēi kāfēi duōshao qián ?
Kiom kostas taso da kafo?
Quanto costa una tazza di caffè ?

- 五十分錢。
wǔshí fēn qián.
Kvindek centavojn.
50 centesimi.
(Manlajo vive a Taiwan)

- 糖呢?
Táng ne ?
Kaj la sukero?
E lo zucchero ?

- 糖免費。
Táng miǎnfèi.
Jxi estas senpaga.
E' gratis.

- 我要兩公斤的糖。
Wǒ yào liǎng gōngjīn de táng.
Mi volas du kilogramojn da sukero.
(Allora) voglio due chili di zucchero.

一杯 yī bēi = taso (da) - una tazza (di)
咖啡 kāfēi = kafo - caffe'
多少錢 duōshao qián = kiom kostas - quanto costa
(多少 duōshao = kiom - quanto
錢 qián = mono - denaro)
五十 wǔshí = kvindek - 50
分錢 fēn qián = centavoj - centesimi
糖 táng = sukero - zucchero
呢 ne = kaj - e
(vidu la cxinan grammatikon - vedi la grammatica cinese)
免費 miǎnfèi = senpaga - gratis
我要 wǒ yào = mi volas - voglio
兩 liǎng = du - due
公斤 gōngjīn = kilogramoj - chili

martedì 2 dicembre 2008

LA FESTA DELL'IPOCRISIA DELLE SINISTRE


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mercoledì 26 novembre 2008

DI MILAN KUNDERA E...



Maupasant, Verga, Kundera e la realtà
Scritto da Gianni Pardo
mercoledì 26 novembre 2008

Maupassant, Verga e Kundera sono tre grandi autori pessimisti.
Maupassant sembra pensare che la realtà sia fondamentalmente negativa. E sia tanto naturalmente, tanto innocentemente negativa, che la prevalenza dei personaggi “cattivi” sui personaggi “buoni” deriva da un loro migliore adattamento alla realtà com’è. In un mondo senza Dio, i grandi principi sono pure facciate dietro cui si nascondono i veri intenti degli uomini immorali, quasi sempre vincitori. Coloro che hanno un sincero atteggiamento morale sono viceversa gli ingenui, coloro che non hanno capito come stanno le cose: e dunque i perdenti.
In Maupassant non c’è crudeltà. Non c’è nemmeno cinismo: c’è disincanto. S’incontrano tante persone miserabili e interessate, vili e avide, prevaricatrici e bugiarde, che alla fine le persone stimabili divengono eccezioni insignificanti, quantités négligeables. Non è un piacere osservare come va il mondo, ma volendolo rappresentare onestamente, non si può che mostrarlo com’è. La società come egli la descrive somiglia ai documentari sui leoni: un mondo in cui il più forte deruba gli altri predatori o divora vivo il più debole e alla fine – lungi dall’avere scrupoli – dorme beato all’ombra, interrompendosi solo per stirarsi e sbadigliare.
Ovviamente, anche per il Francese sono necessari dei punti d’osservazione, e cioè dei personaggi che possono essere positivi (Boule de Suif) o negativi (Bel Ami). Ma ciò non cambia l’essenza del racconto, cioè l’affresco sconsolato della società com’è. Se la protagonista, la prostituta Boule de Suif, è positiva, ecco che incontra borghesi negativi; mentre l’arrampicatore sociale senza scrupoli, Bel Ami, protagonista negativo, incontra e sfrutta anche persone per bene. Poco importa: in ambedue i casi prevalgono i cattivi e il mondo rappresentato – il vero protagonista - è lo stesso.
Verga è anch’egli un grande pessimista, ma il suo è un mondo meno naturalistico di quello di Maupassant. Mentre nel Francese la prevalenza di certi personaggi si spiega con la loro mancanza di scrupoli, e si potrebbe dire in forza della loro maggiore intelligenza, in Verga si ha quasi l’intervento di una divinità malevola. I suoi protagonisti non sono né più ingenui né più deboli degli altri: è il Fato, che li vince. La barca dei Malavoglia è carica di sfortuna e non per caso, ma per un’ironia feroce, si chiama “La Provvidenza”. È la tempesta, deus ex machina cieco e impersonale, che rovina i Malavoglia. Così come è la sfortuna che perseguita Gesualdo, fino a derubarlo costantemente del sapore della vittoria ampiamente meritata. Gesualdo è nato per vincere, è talmente abile, talmente positivo, che da Mastro diviene Don; e se non trionfa è perché l’autore lo perseguita. Mentre da un lato sorvola sui suoi successi, narra e sottolinea per esteso le sue sconfitte: in queste condizioni anche la storia di Giulio Cesare diverrebbe quella d’un vinto. Persino quando è costretto a dar conto delle sconfitte dei suoi nemici, Verga lo fa distrattamente, come non contassero. La sorella di Gesualdo scende in guerra contro di lui ma alla fine non ne ricava nulla e l’autore scrive sobriamente che in quella battaglia lei s’era rovinata. S’era rovinata. Fosse capitato al protagonista, non ci sarebbe stato risparmiato nulla del suo dispiacere, delle sue umiliazioni, del suo fallimento.
Maupassant è obiettivo, Verga bara. E tuttavia lo fa con una tale arte, che alla fine col cuore gli crediamo. Per criticarlo bisogna essere usciti dai suoi libri da parecchio tempo, tanto da poterci riflettere a mente fredda.
Poi ci sono altre differenze, chiarissime: Maupassant è un superiore maestro di stile, Verga scrive male; e poco importa che ciò avvenga più o meno volontariamente. Maupassant è freddo, Verga è un grande artista. Maupassant fotografa, Verga dipinge.
Il caso di Kundera è ancora diverso. Il suo mondo non è popolato da personaggi in prevalenza negativi, come in Maupassant, e non esiste neppure un Fato che si accanisca contro il protagonista. È quest’ultimo che, per debolezza, si mette in guai sempre più grandi. Perché è un debole che non sa prendere in mano il proprio destino. Il romanzo dunque non implica un giudizio sulla società: si limita ad essere la storia di questo protagonista e il resto del mondo è visto da lui. Di fatto ruota intorno a lui.
In Kundera un protagonista positivo è impensabile. O almeno, i suoi protagonisti sono positivi nell’anima e nelle intenzioni, ma falliti nella vita reale. I suoi romanzi sono probabilmente più spiritualmente autobiografici di quelli di Verga. Il Catanese infatti il suo bravo successo sociale a Roma l’ha avuto, lo stesso Maupassant è noto, oltre che come romanziere, come sportivo e come grande amatore superdotato. Kundera invece sembra proiettare l’esperienza della frustrazione. Il suo mondo è disperato, il suo racconto descrive una parabola in senso balistico: un uomo vola verso la vita ma a poco a poco le cose si mettono in maniera tale che il volo declina verso il basso, fino alla catastrofe. Catastrofe costituita quanto meno dalla sua rassegnazione. Il protagonista della “Plaisanterie” (“Lo Scherzo”) avrebbe mille ragioni per cercare di vendicarsi del suo rivale ma quando ne ha l’opportunità sente che è troppo tardi. Non ne ha più voglia. Forse non ne ha più il diritto. E forse ha capito che comunque – a causa di quell’uomo o d’un altro uomo, poco importa – egli era condannato alla sconfitta.
Kundera sembra dire che i migliori sono più sensibili, più delicati, più indifesi degli altri, e per questo sono destinati alla sconfitta. “Il pensiero ci rende tutti vili”, diceva Amleto. La nobiltà d’animo ci predestina alla morte e all’umiliazione, pensava Vigny. Ma mentre Amleto alla fine prende in mano il proprio destino, mentre Vigny di questa sconfitta si fa un’aureola e di questo martirio agita la palma, Kundera sembra solo spiegare come mai egli non abbia saputo difendersi, nella vita. Come mai egli non abbia avuto ciò che meritava.
Questo tuttavia fa sì che la sua opera non abbia né il vasto respiro sociale e umano di Maupassant, né la poesia di Verga. Sembra essere l’autore d’elezione dei disadattati, di coloro che preferiscono pensare che il mondo, e non loro, sia sbagliato.
Kundera rischia d’essere l’autore ideale di coloro che hanno bisogno d’un alibi per la propria debolezza


Kundera, il delatore
Scritto da Gianni Pardo
mercoledì 26 novembre 2008

Pierluigi Battista, sul Corriere del 24.11.’08, riferisce della recente scoperta che Milan Kundera, il grande scrittore che tanto ha avuto da patire dal comunismo, nel 1951 è stato a sua volta un delatore politico a danno di tale Miroslav Dvoracek. Costui, per causa sua, ha scontato quattordici anni di galera.

La notizia ha fatto scandalo ed ha suscitato un dibattito, soprattutto sull’opportunità di far conoscere questa orrenda verità. Cosa stupefacente. In realtà, l’unica discussione comprensibile sarebbe stata quella sulla fondatezza della notizia. E dal momento che proprio questa discussione è mancata, perché la notizia è fondata al di là di ogni dubbio, è di ben altro che bisogna parlare. Fra l’altro l’interrogativo che pone Battista non mi sembra fondato. Egli scrive: «Cosa deve fare un ricercatore se, indagando negli archivi, si imbatte in un nome celeberrimo, in una gloria letteraria, in un grande intellettuale di cui viene unanimemente onorata l'integrità etica e il rigore culturale?»
Di questa di integrità etica è sempre stato lecito dubitare. Infatti Milan Kundera è un grande scrittore. È un grande intellettuale e un grande testimone dell’oppressione comunista. Ma non si può dire che sia un grand’uomo. Questa amara verità è rivelata innanzi tutto dalle sue opere. Utilizzerò ciò che ho scritto il 29 ottobre del 2002 non per libidine di autocitazione, ma per provare che tutto questo era chiaro anche anni fa. Prima della rivelazione di questi giorni.
«Il suo mondo – scrivevo nell’articolo su Maupassant, Verga e Kundera, qui per chi volesse leggerlo – non è popolato da personaggi in prevalenza negativi, come in Maupassant, e non esiste neppure un Fato che si accanisca contro il protagonista. È quest’ultimo che, per debolezza, si mette in guai sempre più grandi. Perché è un debole che non sa prendere in mano il proprio destino. Il romanzo dunque non implica un giudizio sulla società: si limita ad essere la storia di questo protagonista e il resto del mondo è visto da lui. Di fatto ruota intorno a lui. In Kundera un protagonista positivo è impensabile. O almeno, i suoi protagonisti sono positivi nell’anima e nelle intenzioni, ma falliti nella vita reale. I suoi romanzi sono probabilmente più spiritualmente autobiografici di quelli di Verga.
[…]
Kundera sembra proiettare l’esperienza della frustrazione. Il suo mondo è disperato, il suo racconto descrive una parabola in senso balistico: un uomo vola verso la vita ma a poco a poco le cose si mettono in maniera tale che il volo declina verso il basso, fino alla catastrofe. Catastrofe costituita quanto meno dalla sua rassegnazione.
[…]
Sembra essere l’autore d’elezione dei disadattati, di coloro che preferiscono pensare che il mondo, e non loro, sia sbagliato.
Kundera rischia d’essere l’autore ideale di coloro che hanno bisogno d’un alibi per la propria debolezza».
Debolezza e frustrazione, ecco il leitmotiv delle sue opere. Ecco la sua trasparente autobiografia. Non c’è dunque da stupirsi se è giunto all’abiezione di denunciare qualcuno a quella stessa polizia politica che sembra essere l’incarnazione del male in “La Plaisanterie”. C’è chi ha la forza di fare il male, c’è chi ha la debolezza di fare il male, e non è detto che questo secondo valga più del primo.
Probabilmente, una parte del successo di Kundera è dovuta al fatto che gli intellettuali, stanchi di glorificare la virtù (in senso latino), stanchi anche della violenza del Ventesimo Secolo, sono rimasti incantati da questi infiniti epigoni di Amleto. Siamo tutti troppo pensosi per essere energici, troppo capaci di visione dialettica del mondo per prendere risolutamente posizione, troppo sensibili, infine, per essere forti. Ma si dimentica che Amleto alla fine ha la forza di fare una strage. Si dimentica che la debolezza non giustifica nessuno, piuttosto ci squalifica. E non c’è tanto da condannare Kundera, che i suoi difetti ce li aveva proiettivamente descritti in centinaia di pagine quanto da capire che un vero uomo sa pensare, sa sentire, sa amare ma se necessario sa anche combattere. E se non sa farlo, non è un vero uomo. È uno che denuncia un altro uomo alla polizia politica e lo manda in galera per quattordici anni.

giannipardo@libero.it

lunedì 24 novembre 2008

ALTER EGO, DROGA E CERVELLO (click)

Le droghe. Definizione e classificazione


Definizione di droga

Con il termine droga si indica ogni sostanza capace di alterare, gli equilibri dei diversi, ma interconnessi, livelli su cui può rappresentarsi il nostro essere: il livello biologico, quello psicologico e quello sociale. Gli equilibri del primo livello sono quelli della fisiologia. Le droghe interferiscono con i processi biochimici finalizzati al mantenimento delle condizioni normali dell'organismo e soprattutto agiscono sui meccanismi delle funzioni cerebrali, interferendo sugli eventi biologici che sono alla base delle normali attività delle cellule nervose: la trasmissione e l'elaborazione di impulsi nervosi, cioè a dire di segnali ed informazioni.

Gli equilibri del livello psicologico costituiscono la rappresentazione mentale e comportamentale dei meccanismi cerebrali di cui abbiamo appena parlato. Perturbando le funzioni delle cellule nervose, le droghe compromettono o addirittura annullano gli equilibri psicologici e quindi la capacità di adattamento dell'individuo e le possibilità che esso ha di far fronte a situazioni di disagio intrapsichico, ambientale o interpersonale.

Le droghe condizionano le possibilità d'inserimento sociale dell'individuo, minando da un lato le sue capacità adattative e dall'altro determinando una reazione di emarginazione da parte del tessuto sociale. Gli equilibri del livello sociale sono legati alle condizioni dei due livelli precedenti, ma, a sua volta, il livello sociale influenza e vincola la dimensione psicologica e quella biologica.

Il significato dei comportamenti, delle abitudini, degli stili di vita che un individuo ricava dalla cultura e dall'insieme dei valori della società è infatti uno dei fattori che più condizionano l'esito del riaggiustamento psicologico e quindi biologico conseguente all'uso delle droghe. Il valore storico-culturale di normalità e di devianza, infine, è l'elemento che più contribuisce a determinare l'atteggiamento della società nei confronti di chi fa uso di droghe e quindi, conseguentemente, le possibilità che ha quest'ultimo di adattarsi con i minori danni possibili alla sua nuova condizione.

lunedì 10 novembre 2008

KRISTALLNACHT


Era un mattino freddo e nebbioso il 10 novembre 1938; il nostro maestro entrò di corsa in classe, senza fiato, lui, che era sempre calmo e tanto gentile, aveva il viso tutto rosso per l'agitazione e con le mani tremanti fece segno verso la porta gridando: «Bambini, per l’amor del cielo, presto, correte a casa vostra!».
Non ricordo come uscii dalla scuola; tutti spingevano e tiravano affollandosi sul portone d'uscita, poi via di corsa.
Rimasi ferma lì, in mezzo alla strada, ipnotizzata da quello che vidi: ragazzi della Hitlerjugend nelle loro divise assalivano con bastoni e sassi la nostra scuola, prima rompevano i vetri delle finestre e poi tutto quello che c'era da rompere nelle aule e negli uffici.
Piangevo per il terrore: la mia casa era lontana, non ero mai andata a casa da sola, non sapevo nemmeno come tornare. Poi, non riuscivo a capire cosa volessero quei ragazzi da noi e dalla nostra scuola.
Anche loro non erano altro che ragazzi … sì, più grandi di me, ma ragazzi come ero io: che cosa gli avevamo fatto?
Improvvisamente mi sentii afferrare per la mano. A passi veloci, a me sembrava di correre, entrammo in un negozio. Non conoscevo l'uomo che mi aveva trascinata con sé, ma il mio istinto mi disse che voleva aiutarmi, allontanandomi da quei ragazzi impazziti e dalla folla di curiosi.
Il negozio era una calzoleria e lo sconosciuto che mi aveva portato lì, un calzolaio tedesco; con l'aiuto della moglie cercò di tranquillizzarmi, ma io, scossa dal gran piangere, non riuscii a tirar fuori una sola parola. Fra i miei quaderni trovarono il mio indirizzo e dopo un'infinità di tempo l'uomo tornò insieme a mio padre: mi calmai solamente fra le sue braccia.
Ringraziando quelle brave persone, papà mi prese per mano e mi disse con voce solenne: «Ricordati bene di questo giorno, bambina mia: sembra incredibile fino a che punto un popolo civile come quello tedesco sia potuto arrivare! La mia gioventù l'ho passata a Lipsia; nella guerra mondiale 1914-1918 ho combattuto in prima linea per l'Austria e la Germania sul fronte italiano, sono stato ferito e ho quattro medaglie e adesso, dopo ventisette anni di vita qui a Lipsia, devo vedere questo spettacolo crudele... Dov'è la giustizia?».
Mio padre chiuse la mia manina fredda nella sua grande mano calda e rassicurante e così camminammo per lungo tempo per strade che sembravano bruciare per le fiamme che uscivano da case, negozi e grandi magazzini ebrei, mentre i pompieri cercavano di salvare con le loro pompe d'acqua le case e i negozi non ebrei!
Vandalismo dappertutto: spaccavano con i sassi le vetrine dei negozi; vidi perfino che dalle finestre o dalle vetrine buttavano di tutto, mobili, quadri e altro.
Distruzione, furti e disperazione; donne e bambini piangenti... perfino tanti uomini avevano lacrime d'umiliazione negli occhi, non capivano il perché.
Passammo sopra un ponte e vedemmo che sulle due sponde del canale alcune SS costringevano degli ebrei anziani con lunghe barbe a saltare da una riva all'altra. Il canale non era molto largo, ma per gli anziani era uno sforzo eccessivo: tanti cadevano nell'acqua gelata, svenivano; allora venivano rianimati dalle SS e costretti a continuare, ancora e ancora...
Passammo vicino alla grande sinagoga, dove mio padre aveva l'abitudine di andare a pregare, ma che terribile spettacolo ci aspettava lì!
Dalla sinagoga uscivano fumo e fiamme; uomini con i vestiti stracciati o bruciati e il volto nero per il fumo uscivano di corsa da quell'inferno, stringendo tra le braccia i libri della Torà: cercavano di salvare quello che avevano di più caro e di più santo, i rotoli scritti a mano, detti libri del Pentateuco. Vedemmo che anche il nostro rabbino correva fra le fiamme. Sembrava che le SS si divertissero, ridevano rumorosamente.
Non riuscivo a capire come degli esseri umani potessero trasformarsi in belve feroci. Era proprio vero quello che era scritto nelle fiabe: c'erano una volta maghi e streghe cattive che trasformavano le persone a loro volontà.
Ma dov'erano le buone fate, che venivano a salvare i poveri innocenti?
(Regina Zimet-Levy, Al di là del ponte, Garzanti, pp. 35-37)
La notte dei cristalli non è più tornata, la le sinagoghe incendiate sì, i cimiteri ebraici profanati e devastati sì, gli ebrei aggrediti, picchiati, assassinati per strada, o rapiti e torturati a morte, sì.

È accaduto, dunque può accadere, ha detto qualcuno, e infatti continua ad accadere.

Cerchiamo almeno di non raccontare a noi stessi che si tratta di storie vecchie.

E cerchiamo di non inventarci “buoni motivi” per giustificare gli aggressori: nel 1938 non c’era Israele, e non c’era una causa palestinese, e ciononostante è accaduto.

(guardate se non sembrano quelle di Gaza ...)

LA NOTTE DEI CRISTALLI -altre foto (click)







domenica 9 novembre 2008

QUESTA L'OPPOSIZIONE CON CUI CONFRONTARCI

La Rice "scimmia", Schifani "verme"
Ecco la galleria degli insulti sinistri
di Paolo Beltramin
Parole come pietre. Dalla comunista che esulta per la morte della Fallaci al segretario del Pdci che vorrebbe farsi saltare in aria al Billionaire: così parla chi accusa il premier

«Berlusconi deve capire che le parole sono come pietre», avvisa Veltroni il 24 ottobre. Lui, l’uomo del dialogo, che aveva appena annunciato: «Con Berlusconi la democrazia è svuotata come nella Russia di Putin» (28 settembre); «Con Berlusconi c’è una cappa di piombo sul Paese» (22 settembre); «Dico al Pd: scatenatevi contro Berlusconi, quartiere per quartiere» (12 settembre). Non sempre le parole resistono a lungo come le pietre: appena 6 mesi fa, Veltroni spiegava che «è troppo facile quando si sta all’opposizione usare toni esasperati». Spesso le parole restano soltanto negli archivi, come l’articolo di Lidia Ravera sull’Unità del 25 ottobre 2004, appena «riscoperto» dal Foglio: «Con quelle guancette da impunita, Condoleezza Rice è la “líder máxima” delle donne-scimmia». E ancora: «In quanto pacifista contraria alla politica estera di Bush mi sparerei un colpo. In quanto femminista lo sparerei direttamente a lei, il colpo... “con dolcezza”...».
Con dolcezza, perché siamo tutti antirazzisti. Come Andrea Camilleri, che intervistato dal quotidiano spagnolo El País il 21 ottobre ha indicato la «soluzione» al problema Berlusconi: «Ha 72 anni, farà il Capo dello Stato e poi dovrebbe anche morire». Giovedì scorso, al liceo Mamiani di Roma, Camilleri ha parlato agli studenti del ministro Gelmini: «Di sicuro non è un essere umano. Dovremmo chiamare i professori di chimica per capire che cos’è». Forse potrebbe aiutarci anche Marco Travaglio, che ha già scoperto la vera natura biologica del presidente del Senato: «Se dopo De Nicola, Pertini e Fanfani, ci ritroviamo con Schifani, sono terrorizzato dal dopo: le uniche forme residue di vita sono il lombrico e la muffa. Anzi, la muffa no perché è molto utile».
Siamo tutti antirazzisti e Dacia Valent è più antirazzista degli altri. Perché lei, ex europarlamentare del Pci, spirito libero della sinistra radicale, lei che ha festeggiato la morte di Oriana Fallaci con lo slogan «Cancro 1 – Fallaci 0», è cittadina italiana ma è di origini somale. E sa bene che l’etnia, la nazionalità, il colore della pelle sono tutti uguali. Un mese fa ha scritto sul suo blog: «Italiani bastardi, italiani di merda e ci aggiungo bianchi». Italiani «stupidi, ignoranti, pavidi, vigliacchi, zecche, pulci e figli di puttana». «Brutti come la fame, privi di capacità d’ingegno se non nella volontà delle vostre donne di prostituirsi e di prostituire le proprie figlie».
Poi ci sono le parole dei comici. Come quelle di Sabina Guzzanti al «No Cav Day» di piazza Navona. Il Papa? «Quando tra vent’anni sarà morto, starà dove deve stare, all’inferno tormentato da diavoloni frocioni attivissimi». Daniele Luttazzi invece spiegò in tv, su La7, come «sopportare» la politica estera di Berlusconi: «Io ho un mio sistema, penso a Giuliano Ferrara immerso in una vasca da bagno con Berlusconi e Dell’Utri che gli pisciano addosso, Previti che gli caga in bocca e la Santanché in completo sadomaso che li frusta». E proprio Luttazzi, in teatro, aveva già dimostrato che neppure Ferrara è un essere umano, ma «il residuo di sperma e cacca lasciato sul lenzuolo dopo un rapporto anale».
Altre parole sono finite nella mail di Stefano Lorenzetto, editorialista del Giornale, che ha deciso di renderle pubbliche. Le ha scritte lo scrittore Sandro Veronesi, arrabbiato per un articolo, augurandosi che lo stesso Lorenzetto se ne andasse «a farselo stroncare in culo per il resto dei suoi giorni. E quando starà per morire io pregherò Dio perché le conceda altri 10 minuti di vita, così che le stronchino il culo per altri 10 minuti». Un paio di giorni dopo scrive a Lorenzetto il regista Giovanni Veronesi, fratello di Sandro, lombrosiano convinto: «Sul tuo sito c’è la foto della tua bella faccia da stronzo e da lì si capisce già di che cazzo d’uomo stiamo parlando».
Altre parole, dettate all’Ansa, sono finite in un libro. Titolo: Berlusconi ti odio (2005). Il premier è stato definito tra l’altro «irresponsabile», «pagliaccio», «volgare», «intollerante», «impudente», «antidemocratico», «folle», «incapace», «portasfiga», «vigliacco» e pure «stalinista». Un aggiornamento sugli epiteti coniati negli ultimi anni: «Psiconano», «nano ghiacciato», «nano scongelato» (Beppe Grillo dixit); «rozzo» (Mario Monicelli, proprio ieri mattina); «Al Capone col panama» e «Al Tappone» (queste sono di Travaglio). Per Tonino di Pietro il premier è «un magnaccia», per Oliviero Diliberto «un dittatorello sudamericano». Proprio Diliberto, alle Invasioni barbariche, ha confessato una fantasia bizzarra: andare al Billionaire di Briatore «imbottito di tritolo».
La tradizione è lunga. Massimo D’Alema, che ha appena definito il ministro Brunetta «un energumeno tascabile» (ma poi si è scusato), nel 1994 si augurava di vedere Berlusconi «mendicare in piazza Duomo». A quei tempi Umberto Eco su Repubblica analizzava così il sostrato socio-culturale degli elettori: «buoni e pensanti» quelli del centrosinistra, «malvagi» oppure «stupidi» quelli del centrodestra. Chissà, forse il raffinato intellettuale aveva in mente l’analisi di Palmiro Togliatti all’indomani del trionfo della Dc di De Gasperi alle elezioni del 1948: «Hanno vinto i preti, le vecchie e i deficienti».

giovedì 6 novembre 2008

Analisi su Obama e McCain nell'imminenza delle elezioni del 4 novembre 2008

Siamo ormai agli sgoccioli, in America si vota oggi, anche se gia' milioni di cittadini americani aspettando pazientemente in fila hanno gia' votato grazie all' "early voting".
C'e gia' stato un grande afflusso di elettori nella passata settimana, perche' queste elezioni sono considerate come cruciali.
Anche per un osservatore neutrale, la battaglia fra i due contendenti Barack Obama e John McCain per la Casa Bianca e' stata impari sin dall'inizio.
Barack Obama e' il candidato del partito democratico, amato dai media e da tutte le celebrita', che si presenta come un messia infatuato di se stesso, che ripete all'infinito alla folla che gli fa eco, gli slogan: " We are the ones we have been waiting for" e "Yes, we can", preferito dalla quasi totalita' dei media, malgrado sia un candidato il cui passato non sia affatto chiaro e la cui personalita' e' un mistero anche per i giornalisti che lo hanno seguito adesso quasi da due anni. Con tutte le sue illiberali amicizie - non ultima quella di cui molto si discute in questi giorni con un professore palestinese, Rashid Khalidi della Columbia University, che sostiene che Israele e' una "Apartheid system in creation", con cui Obama era molto amico e compagno di merende sin dagli anni '90 a Chicago - ci si chiede chi veramente sia questo Barack Obama, anche se incredibilmente potrebbe divenire Presidente.
Ci si chiede anche come mai quello che e' stato definito il senatore piu' a sinistra (liberal) del Senato - quello che nel 2001 ha rilasciato un intervista dove deprecava che la Warren Court non fosse stata "progressista" abbastanza perche' non interpreto' nella Costituzione Americana la "giustizia economica e distribuitiva ("never ventured into the issues of redistribution of wealth and sort of more basic issues of political and economic justice in this society" Il Chicago Sun Times http://www.suntimes.com/news/huntley/1252150,CST-EDT-hunt31.article, parole in gergo della lotta di classe - possa poi nelle interviste al pubblico sembrare cosi' pacato cosi' centrista cosi' rassicurante.
Salvo poi fare una gaffe enorme nel rispondere a "Joe the Plumber" (l'idraulico) che il suo scopo e' appunto di ridistribuire le ricchezze.
John McCain e' il candidato del partito repubblicano, un vecchio leone e un eroe di guerra che si batte strenuamente per il suo paese, avversato fino alla derisione da tutte le televisioni cosiddette liberali.
In continuazione mettono in risalto, sbeffeggiandola, la goffaggine fisica di McCain, che e' dovuta ad una minorazione delle braccia, per le torture subite ad Hanoi, perche' rivelasse i segreti militari che gli aguzzini non riuscirono ad estorcergli.
I democratici dimenticano che il grande presidente democratico americano Franklin Delano Rooselvelt, si muoveva su una sedia a rotelle e che certo per questo non fu meno grande.
Non fatevi ingannare dall' aspetto di John McCain "I-saw-Putin-in-the-eye-and-I-saw-three-letters-KGB!"
Sara' minato nel corpo ma non nello spirito.
In tutte le battaglie che ha mai fatto, lo davano per perdente, ma non per questo si e' arreso, anzi, famosamente e gloriosamente disse "preferisco perdere un'elezione che una guerra" riferendosi alla Guerra in Iraq, e se i nostri soldati stanno vincendo oggi lo dobbiamo anche a lui, perche' ha rifiutato di tirarsi indietro e ha mosso mari e monti perche' ai nostri soldati fosse permesso di impugnare la strategia vincente.
Amiamo la satira perche' e' sinonimo di democrazia, ma non ci piace quando bersaglia unidirezionalmente e ripetitivamente solo il candidato repubblicano e la sua vice Sarah Palin di cui senza pieta' gli avversari hanno detto peste e corna persino nei salotti televisivi, e questo si ripete disgustosamente ogni giorno.
C'e' del marcio sotto, come c'e' del marcio quando Barack Obama e' apparso come se gia' fosse stato investito della presidenza, seduto dietro uno scrittoio, il 31 ottobre in "prime time", nell'ora di maggior ascolto, su sette maggiori stazioni televisive a reti unificate, per chiedere il voto agli elettori al suono del canto patriottico "America The Beautiful".
E costoro sarebbero i cosi' detti liberali, dov'e' andato a finire il pluralismo dell'informazione e dove e' andato a finire il buon giornalismo, ce lo chiediamo!
Questa e' la piu' abietta propaganda indegna di una democrazia, che ci ha nauseati e ci ha fatto rivoltare lo stomaco, infuriati e memori della "par condicio" dei tempi d'oro di Marco Pannella ed Emma Bonino quando apparivano alla televisione italiana con il bavaglio sulla bocca, come dovrebbe apparire ora McCain che e' oscurato da tutti i media che la fanno da padroni, questo e' il piu' becero tentativo di lavaggio del cervello a cui speriamo che gli Americani si sottraggano e ci auguriamo lo respingano con il voto.
Abbiamo fiducia nel popolo americano che pratica la democrazia senza interruzione sin dalla fondazione degli Stati Uniti, il 4 luglio 1776, una democrazia basata sul principio del "Common Sense" di Thomas Paine, quel senso comune che e' ormai radicato nel pragmatismo americano, grazie a quel filosofo e giornalista che scrisse, stampo' e diffuse tra i coloni, il suo pamphlet di 47 pagine, venduto a centinaia di migliaia di copie e scritto con un eloquio semplice e accessibile a tutti, per informarli e prepararli alla rivoluzione contro la tirannide inglese e guidarli alla conquista dell'indipendenza e della democrazia, che avvenne senza gli eccessi e senza tanto spargimento di sangue, come avvenne invece in altre rivoluzioni.
Ci si deve piuttosto chiedere invece da dove Obama tiri fuori tutti quei milioni di dollari e chi lo finanzi per potersi permettere anche di spendere quella cifra iperbolica di denaro solo per quel suo messaggio a reti unificate della durata di mezz'ora.
Neanche il presidente Gorge Bush nel suo tradizionale " state of the Union Address" parla da sette reti unificate.
Di Obama sappiamo poco, non sappiamo con sicurezza dove sia nato, dove abbia frequentato le scuole inferiori e superiori, con quale passaporto abbia viaggiato all'epoca e chi abbia pagato per le sue ingentissime tasse all'Universita'.
Non sappiamo con chiarezza e nonostante la legge McCain-Feingold, chi siano coloro che lo sostengono con donazioni di denaro, ci si chiede se parte del denaro e' di provenienza straniera. Non e' ben chiaro il suo legame con ACORN, un organizzazione ormai investigata in parecchi stati per frode elettorale, tranne che si sa che Obama fu un loro rappresentante in quanto avvocato, e contribui' al loro "operato" anche in qualifica di "leadership trainer" e dono' $ 800,000 alle loro operazioni, inizialmente mascherando il pagamento come un pagamento per "stage, lighting or sound".
Il tutto e' tuttora un mistero!
Ma siamo tranquille che l' alba del 5 Novembre rinforzera' la nostra fiducia nei nostri concittadini, questo non e' un paese da lotta di classe, l' invidia delle ricchezze altrui non alberga qui. Gli Hugo Chavez del mondo non ci affascinano.
Questo e' il paese dei guadagni col sudore della fronte, questo e' il paese dove tutti a prescindere dai propri natali e anche a prescindere dall' erudizione, possono divenire ricchi domani, se solo ci credono e lavorano duro per perseguire quel fine.
Questo e' il paese dove poliziotti e pompieri si sono lanciati in palazzi in fiamme e pericolanti per salvare coloro che lavoravano li'.
Ve l' immaginate un atto cosi' eroico in un paese di lotta di classe?
I poliziotti in tale paese chiederebbero cosa gli verrebbe in tasca a loro. Direbbero "tengo famiglia"!
No. John McCain vincera' il 4 Novembre.
Non ci saranno sondaggi che tengano.
E quelli che preferiscono una presidenza debole, e un'America pervasa dal malessere europeo della lotta di classe, del finto buonismo, delle tasse alle stelle e dell'antisemitismo di governo, rimarranno delusi.
Piera ed Emanuela Prister
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999930&sez=120&id=26451

mercoledì 29 ottobre 2008

LUDOVICO EINAUDI - Nefeli (Only song)

Una musica struggente

martedì 28 ottobre 2008

Pio XII (Deborah Fait)


Santo si, santo no?
Solo alcune considerazioni pacate sulla storia che infiamma i media in questi giorni : Santo si o Santo no?
Mi riferisco naturalmente a Papa Pacelli, il Pio XII, che secondo alcuni, nulla fece per salvare gli ebrei dalla belva nazista e non proferi' parola contro Hitler.
Sinceramente che Pacelli sia fatto santo non mi interessa particolarmente, e', come si dice, affare della Chiesa, Cosa Loro.
Allora facciamo finta che per davvero ogni avvenimento sia cosa interna e indiscussa del paese in cui si verifica e che il cardinale Lanza di Montezemolo, esponente della Santa Sede e esperto nei rapporti tra Vaticano e Israele, abbia ragione quando dichiara:"Certe intromissioni negli affari interni della Chiesa ci stanno venendo a noia perche' fare e non fare cause di beatificazioni riguarda nostre questioni interne nelle quali non sono opportune intromissioni" .
Ha ragionissimo, Eccellenza, niente da dire ma lei dimentica un particolare, lei dimentica che quelli che, impudentemente, si intromettono, sono i sopravvissuti, sono i discendenti di quegli ebrei razziati a Roma, sono i parenti degli assassinati alle Fosse Ardeatine, sono quei giudei che sono riusciti a sopravvivere, senza impazzire o impazzendo senza darlo a vedere, ai vagoni bestiame, alle torture, al gelo, ai cani feroci a quattro e a due zampe dei campi della morte da dove sono tornati straziati per sempre nell'animo e nel corpo.
Sono loro, quei giudei sopravvissuti e i loro figli e nipoti che, anche se nati dopo, portano ancora un numero tatuato nel cuore, segnati per sempre, generazione dopo generazione. Sono loro che oggi si ribellano e con la chuzpa' che li contraddistingue, sacrosanta chuzpa' che vuol dire faccia tosta o faccia di bronzo, si intromettono negli affari interni della Chiesa per dire "Santo NO, santo non lo vogliamo".
Impudenza, signor cardinale?Non ci si deve intromettere?
Giusto ma allora perche' lo fate voi, eccellenze del Vaticano, pretendendo che Israele tolga dallo Yad VaShem la foto di Papa Pacelli con la didascalia che recita "E' stato in silenzio".
Il Vaticano e le beatificazioni sono cosa vostra, Israele eYad vaShem che si trova a Gerusalemme, la sua capitale, e' cosa personalissima nostra insieme alle sofferenze dei morti, di quelle anime che ancora si aggirano la' in Europa gridando al cielo Perche'???
Voi le sentite gridare, eccellenze del Vaticano?
Sono anime uscite dai camini, dalle fosse comuni dove venivano fucilati a strati, uno strato sull'altro e beato chi moriva subito, ne hanno ammazzati 40.000 a Babi Yar, tre giorni e tre notti di spari e di urla disperate, mamme che nascondevano i figli sotto le gonne ma poi dovevano spogliarsi nude e avrebbero voluto farseli rientrare in pancia per salvarli.
Tre giorni e tre notti di sangue e follia di odio e di disperato amore, corpi nudi che venivano fucilati abbracciati, alla fine anche le belve naziste erano cosi' stanche da farsi aiutare dalle belve locali.
Il silenzio seguito a quell'orrore deve essere stato spaventoso come l'inferno.Sono anime uscite dai laboratori dove Mengele cuciva insieme i gemelli e faceva esperimenti sulle cavie umane sveglie dopo aver tagliato loro le corde vocali per non essere disturbato dalle urla.
Faccia d'angelo lo chiamavano.
Lei non pensa Eccellenza annoiata Lanza di Montezemolo che forse il Santo Padre avrebbe potuto dire una parola, avrebbe potuto chiedere, cosi', per pura curiosita', chi stava dentro i carri bestiame che passavano proprio sotto il Vaticano? Dice che lo sapeva e li ha lasciati andare?
Tra una noia e l'altra non pensa eccellenza che forse il Papa avrebbe potuto almeno scrivere una protesta, firmare quel documento alleato del 1942 che condannava il genocidio ebraico?
No? Cosa dite?
Che molti ebrei si sono nascosti nei conventi?
Si , e' vero e i Giusti dei conventi sono tutti nei nostri cuori e i loro nomi nel Viale dei Giusti a Gerusalemme.
Ognuno di loro, e molti erano religiosi, ha un albero che gli fa compagnia e ripara i loro nomi dal sole cocente.
Cosa dite? Si sono nascosti anche in Vaticano?
Forse ma so che in Vaticano si nascosero poi anche molti gerarchi nazisti in fuga verso i paesi arabi o il sud America.
La Chiesa deve salvare tutti? Va bene ma forse le belve andavano consegnate alla giustizia internazionale.
Come si fa a salvare chi usava la baionetta del suo fucile per infilzare i feti appena strappati dal seno delle madri agonizzanti a terra col ventre aperto?
Si puo'?
Quello che stupisce e' questa mania di santificare Pontefici per lo meno controversi: tempo fa avevano incominciato con Pio IX , il Papa che aveva fatto rapire il piccolo Enrico Mortara , dopo averlo fatto battezzare dalla bambinaia, per farlo prete senza commuoversi alle suppliche della famiglia che lo cerco' per anni inutilmente.
Adesso Pio XII e i suoi silenzi su quello che e' stato.
Un milione e mezzo di bambini, Eccellenza.
Non le sembra cardinale di Montezemolo che, pur senza intromettersi nei vostri affari interni, gli ebrei avrebbero qualcosina da ridire, qualche protesta, educata per carita', da fare?
A noi non interessano i vostri santi, non abbiamo niente di simile nell'ebraismo ma quando i vostri santi, in vita, erano i nostri persecutori allora non possiamo tacere.
Vogliamo far una panoramica di santi eletti alla gloria degli altari quando gli ebrei non avevano diritto di parola e spesso neanche di vita?
Parliamo naturalmente dei tempi in cui gli ebrei erano semplicemente" perfidi giudei" molto prima di diventare "fratelli maggiori":
"Voi avete ucciso il Giusto e prima di lui i suoi profeti, e ora cacciate quanti ripongono la loro speranza in lui e nel Dio onnipotente. Voi li disonorate per quanto potete, maledicendo i credenti in Cristo nelle vostre sinagoghe"
S. Giustino martire (100-165)
"Assassini del Signore e dei profeti, ribelli e pieni di odio verso Dio, essi oltraggiano la Legge, resistono alla Grazia, ripudiano la fede dei padri. Strumenti del diavolo, razza di vipere, delatori, calunniatori, duri di comprendonio, fermento farisaico, sinedrio di demoni, maledetti, esecrabili, lapidatori, nemici di ogni cosa bella."
S. Gregorio di Nissa (335-394)
"banditi perfidi, distruttori, dissoluti, simili ai maiali... Per il loro deicidio non c'è possibilità di perdono, dispersi in schiavitù per sempre... Dio odia gli ebrei e li ha sempre odiati" "… [i giudei] come gli animali, anzi più feroci di loro: mentre infatti le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità. Non superano forse nel libertinaggio gli animali più lubrichi? Ad esempio, ciascuno nitrisce dietro la donna del suo vicino (...) Il profeta espresse la insania della loro libidine con una parola che si riferisce agli animali.""Lupanare e teatro, la sinagoga è anche caverna di briganti e tana di belve feroci … vivendo sempre per il ventre, sempre a bocca spalancata, gli ebrei non si comportano meglio dei maiali e dei caproni, con la loro lubrica rozzezza e la loro eccessiva ingordigia. Sanno fare una cosa sola: ingozzarsi e ubriacarsi.
"S. Giovanni Crisostomo (350-407)
"Se fosse lecito odiare degli uomini e detestare un popolo, il popolo ebreo sarebbe per me l'oggetto di un odio speciale, perché fino ad oggi nelle loro sinagoghe di Satana perseguitano il Signore nostro Gesù Cristo.""… serpenti la cui immagine è Giuda e la cui preghiera è un raglio d'asino."
S. Girolamo (340-419)
[il popolo giudaico è] "... perduto, spirito immondo, preda del diavolo anche all'interno del suo tempio sacro, la sinagoga: anzi la stessa sinagoga è ormai sede e ricettacolo del demonio che stringe entro spire serpentine tutto il popolo giudaico.
"S. Ambrogio (339-397)"
... i giudei lo tengono prigioniero, i giudei lo insultano, i giudei lo legano, lo incoronano di spine, lo disonorano con gli sputi, lo flagellano, lo coprono di ingiurie, lo appendono alla croce, lo trapassano con una lancia, alla fine lo seppelliscono. ""È la stirpe dei giudei che trae origine dalla sua carne non la stirpe dei cristiani: noi discendiamo da altre genti e tuttavia imitando la sua virtù, siamo divenuti figli di Abramo. (...) Noi siamo dunque fatti discendenti di Abramo per grazia di Dio. Dio non fece suoi eredi i discendenti carnali di Abramo. Anzi questi li ha diseredati per adottare quegli altri.
"S. Agostino (354-430)
Sono pochi nomi ma importanti, potrei continuare ma non voglio infierire, in fin dei conti siamo diventati i Fratelli Maggiori anche se i pregiudizi contro gli ebrei non si contano, anche se gli stereotipi sono rimasti quelli dei perfidi giudei odiati da Sant'Ambrogio o da Padre Agostino Gemelli, il fondatore dell'Universita' Cattolica che nel 1924 scriveva in occasione del suicidio di Felice Momigliano, filosofo e Rettore dell'Universita' Mazziniana :".....Se con il Positivismo, il Socialismo , il Libero pensiero, e con il Momigliano morissero tutti i giudei che continuano l'opera dei giudei che hanno crocifisso nostro Signore, non e' vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione , ancora piu' completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l'acqua del Battesimo?"e ancora , commentando le leggi razziali a Bologna, nel 1939:"Vediamo attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di se' e per la quale va ramingo per il mondo , incapace di trovare la pace di una patria mentre le conseguenze dell'orribile delitto lo perseguitano ovunque e in ogni tempo".
Capito? Padre Agostino Gemelli! Non lo avete fatto ancora santo, vero?
Ecco, Pio XII avrebbe potuto riscattare queste infamie, le piu' antiche come le piu' vicine al suo tempo, e salvare l'Europa ebraica dallo sterminio o almeno tentare di farlo.
Il suo silenzio autorizza gli ebrei sopravvissuti a mettere il loro naso negli affari della Chiesa quando questi affari sono contaminati dal disprezzo per quei 6 milioni di anime che ancora vagano laggiu' in Europa gridando verso il cielo Perche'. Perche'. Perche'.
Non esiste risposta.
Deborah Fait
www.informazionecorretta.com

domenica 26 ottobre 2008

ROMA SOTTERRANEA (click)


mercoledì 22 ottobre 2008

Considerazioni sulla “morte cerebrale” dopo l’articolo dell’“Osservatore Romano”

L’intolleranza mediatica contro l’editoriale di Lucetta Scaraffia, I segni della morte, sull’“Osservatore Romano” del 3 settembre 2008, suggerisce alcune considerazioni sul tema delicato e cruciale della morte cerebrale.
Tutti possono consentire sulla definizione, in negativo, della morte come “fine della vita”.. Ma che cos’è la vita?
La biologia attribuisce la qualifica di vivente ad un organismo che ha in sé stesso un principio unitario e integratore che ne coordina le parti e ne dirige l’attività. Gli organismi viventi sono tradizionalmente distinti in vegetali, animali ed umani. La vita della pianta, dell’animale e dell’uomo, pur di natura diversa, presuppone, in ogni caso un sistema integrato animato da un principio attivo e unificatore.
La morte dell’individuo vivente, sul piano biologico, è il momento in cui il principio vitale che gli è proprio cessa le sue funzioni.
Lasciamo da parte il fatto che, per l’essere umano, questo principio vitale, definito anima, sia di natura spirituale e incorruttibile. Fermiamoci al concetto, unanimamente ammesso, che l’uomo può dirsi clinicamente morto quando il principio che lo vivifica si è spento e l’organismo, privato del suo centro ordinatore, inizia un processo di dissoluzione che porterà alla progressiva decomposizione del corpo.
Ebbene, la scienza non ha finora potuto dimostrare che il principio vitale dell’organismo umano risieda in alcun organo del corpo. Il sistema integratore del corpo, considerato come un “tutto”, non è infatti localizzabile in un singolo organo, sia pure importante, come il cuore o l’encefalo. Le attività cerebrali e cardiache presuppongono la vita, ma non è propriamente in esse la causa della vita. Non bisogna confondere le attività con il loro principio.
La vita è qualcosa di inafferrabile che trascende i singoli organi materiali, dell’essere animato, e che non può essere misurata materialmente, e tanto meno creata: è un mistero della natura, su cui è giusto che la scienza indaghi, ma di cui la scienza non è padrona.
Quando la scienza pretende di creare o manipolare la vita, si fa essa stessa filosofia e religione, scivolando nello “scientismo”..
Il volume Finis Vitae. La morte cerebrale è ancora vita?, pubblicato in coedizione dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e da Rubbettino (Soveria Mannelli 2008), con il contributo di diciotto studiosi internazionali, dimostra questi concetti in quasi cinquecento pagine.
Non solo non può essere accettato il criterio neurologico che fa riferimento alla "morte corticale", perché in essa rimane integro parte dell’encefalo e permane attiva la capacità di regolazione centrale delle funzioni omeostatiche e vegetative; non solo non può essere accettato il criterio che fa riferimento alla morte del tronco-encefalo, perché non è dimostrato che le strutture al di sopra del tronco abbiano perso la possibilità di funzionare se stimolate in altro modo; ma neppure può essere accettato il criterio della cosiddetta "morte cerebrale", intesa come cessazione permanente di tutte le funzioni dell’encefalo (cervello, cervelletto e tronco cerebrale) con la conseguenza di uno stato di coma irreversibile.
Lo stesso prof. Carlo Alberto De Fanti, il neurologo che vuole staccare la spina a Liliana Englaro, autore di un libro dedicato a questo argomento (Soglie, Bollati Boringhieri, Torino 2007), ha ammesso che la morte cerebrale può essere forse definita un “punto di non ritorno”, ma “non coincide con la morte dell’organismo come un tutto (che si verifica solo dopo l’arresto cardiocircolatorio)” (“L’Unità”, 3 settembre 2008). E’ evidente come il “punto di non ritorno”, posto che sia realmente tale, è una situazione di gravissima menomazione, ma non è la morte dell’individuo.
L’irreversibilità della perdita delle funzioni cerebrali, accertata dall’“encefalogramma piatto”, non dimostra la morte dell’individuo.
La perdita totale dell’unitarietà dell’organismo, intesa come la capacità di integrare e coordinare l’insieme delle sue funzioni, non dipende infatti dall’encefalo, e neppure dal cuore.. L’accertamento della cessazione del respiro e del battito del cuore non significa che nel cuore o nei polmoni stia la fonte della vita.
Se la tradizione giuridica e medica, non solo occidentale, ha da sempre ritenuto che la morte dovesse essere accertata attraverso la cessazione delle attività cardiocircolatorie è perché l’esperienza dimostra che all’arresto di tali attività fa seguito, dopo alcune ore, il rigor mortis e quindi l’inizio della disgregazione del corpo.
Ciò non accade in alcun modo dopo la cessazione delle attività cerebrali.
Oggi la scienza fa sì che donne con encefalogramma piatto possano portare a termine la gravidanza, mettendo al mondo bambini sani.
Un individuo in stato di “coma irreversibile” può essere tenuto in vita, con il supporto di mezzi artificiali; un cadavere non potrà mai essere rianimato, neppure collegandolo a sofisticati apparecchi.
Restano da aggiungere alcune considerazioni.
Il direttore del Centro Nazionale Trapianti, Alessandro Nanni Costa, ha dichiarato i criteri di Harvard “non sono mai stati messi in discussione dalla comunità scientifica” (“ La Repubblica ”, 3 settembre 2008).
Se anche ciò fosse vero, e non lo è, è facile rispondere che ciò che caratterizza la scienza è proprio la sua capacità di porre sempre in discussione i risultati acquisiti. Qualsiasi epistemologo sa che la finalità della scienza non è produrre certezze, bensì ridurre le incertezze.
Altri, come il prof. Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato Nazionale di Bioetica, sostengono che, sul piano scientifico, la tesi contraria alla morte cerebrale “è ampiamente minoritaria” (“Il Giornale”, 3 settembre 2008).
Il prof. D’Agostino ha scritto belle pagine in difesa del diritto naturale e non può ignorare che il criterio della maggioranza può avere rilievo sotto l’aspetto politico e sociale, non certo quando si tratta di verità filosofiche o scientifiche.
Intervenendo nel dibattito, una studiosa “laica” come Luisella Battaglia osserva che “il valore degli argomenti non si misura dal numero delle persone che vi aderiscono” e “il fatto che i dubbi siano avanzati da frange minoritarie non ha alcuna rilevanza dal punto di vista della validità delle tesi sostenute” (“Il Secolo XIX”, 4 settembre 2008).
Sul piano morale poi l’esistenza stessa di una possibilità di vita esige l’astensione dall’atto potenzialmente omicida. Se esiste anche solo il dieci per cento che dietro un cespuglio vi sia un uomo, nessuno è autorizzato ad aprire il fuoco. In campo bioetico, il principio in dubio pro vita resta centrale.
La verità è che la definizione della morte cerebrale fu proposta dalla Harvard Medical School, nell’estate del 1968, pochi mesi dopo il primo trapianto di cuore di Chris Barnard (dicembre 1967), per giustificare eticamente i trapianti di cuore, che prevedevano che il cuore dell’espiantato battesse ancora, ovvero che, secondo i canoni della medicina tradizionale, egli fosse ancora vivo. L’espianto, in questo caso equivaleva ad un omicidio, sia pure compiuto “a fin di bene”. La scienza poneva la morale di fronte a un drammatico quesito: è lecito sopprimere un malato, sia pure condannato a morte, o irreversibilmente leso, per salvare un’altra vita umana, di “qualità” superiore?
Di fronte a questo bivio, che avrebbe dovuto imporre un serrato confronto tra opposte teorie morali, l’Università di Harvard si assunse la responsabilità di una “ridefinizione” del concetto di morte che permettesse di aprire la strada ai trapianti, aggirando le secche del dibattito etico. Non c’era bisogno di dichiarare lecita l’uccisione del paziente vivo; era sufficiente dichiararlo clinicamente morto. In seguito al rapporto scientifico di Harvard, la definizione di morte venne cambiata in quasi tutti gli Stati americani e, in seguito, anche nella maggior parte dei Paesi cosiddetti sviluppati (in Italia, la “svolta” fu segnata dalla legge 29 dicembre 1993 n. 578 che all’art. 1 recita: “La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello”).
La natura del dibattito non è dunque scientifica, ma etica. Che questa sia la verità lo conferma il senatore del PD Ignazio Marino che in un articolo su “Repubblica” del 3 settembre definisce l’articolo dell’“Osservatore Romano” “un atto irresponsabile che rischia di mettere in pericolo la possibilità di salvare centinaia di migliaia di vite grazie alla donazione degli organi”.
Queste parole insinuano innanzitutto una menzogna: quella che il rifiuto della morte cerebrale porti alla cessazione di ogni tipo di donazione, laddove il problema etico non riguarda la maggior parte dei trapianti, ma si pone solo per il prelievo di organi vitali che comporti la morte del donatore, come è il caso dell’espianto del cuore.
Ciò spiega come Benedetto XVI, che ha sempre nutrito riserve verso il concetto di morte cerebrale, si sia a suo tempo detto favorevole alla donazione di organi (cfr. Sandro Magister, Trapianti e morte cerebrale, l’“Osservatore Romano” ha rotto il tabù, www.chiesa).
Il vero problema è che il prezzo da pagare per salvare queste vite è quello tragico di sopprimerne altre. Si vuole sostituire il principio utilitaristico secondo cui si può fare il male per ottenere un bene, alla massima occidentale e cristiana secondo cui non è lecito fare il male, neppure per ottenere un bene superiore.
Se un tempo i “segni” tradizionali della morte dovevano accertare che una persona viva non fosse considerata morta, oggi il nuovo criterio harvardiano pretende di trattare il vivente come un cadavere per poterlo espiantare. A monte di tutto questo sta quel medesimo disprezzo per la vita umana che dopo avere imposto la legislazione sull’aborto vuole spalancare la strada a quella sull’eutanasia.
Roberto de Mattei

giovedì 9 ottobre 2008

Un Killer chiamato Papà

Padova, 9 ottobre 008

I dialoghi impossibili.
Un Killer chiamato Papà.

Come tutte le sere dopo cena, poiché non ho più la televisione, tolta per disperazione e dignità personale dati i programmi che trasmettono , anche ieri sera me ne stavo seduto sulla mia poltrona accanto alla lampada accesa, a leggere le ultime pagine di un libro che ho trovato straordinario, "Ricordi di scuola " (di G. Mosca) che consiglierei di leggerlo a giovani e grandi per la sua grandiosità nel farti ritornar bambino sebbene per poco tempo, quando improvvisamente, nel meraviglioso silenzio che mi si crea attorno, sentii piano piano, aprire la porta della stanza in cui mi trovavo. No, mia moglie non poteva essere. Era andata a riposare presto. Era stanca dopo una giornata di lavoro trascorsa tra problemi con figli e….marito.
Scusi – disse una vocina appena appena percepibile – posso entrare ? – Certamente – risposi. Era un ragazza di indefinibile età ma bellissima, quasi lucente, vestita di nero. La pelle bianca del volto e del collo, faceva da meraviglioso contrasto con l’insieme.
E’inutile dirvi la mia sorpresa. Gli occhialini, quelli piccoli che metto quando leggo da vicino, mi sono caduti sulle ginocchia e gli occhi ho dovuto tenerli ben fermi, altrimenti mi uscivano dalle orbite. No, non avevo paura, strano. Specchi attorno non ce ne erano, così non potei vedere quello che rimaneva del mio viso, già di per sé non bello da vedere data l’età avanzata che mi porto appresso.
Prego - dissi alzandomi – si accomodi Signorina, ma….con chi ho l’onore di parlare ? - Sono Eluana, - mi disse - non mi riconosce ? Eluana Englaro, quella ragazza in coma da 16 anni….Quella di cui parlano i giornali, riviste, Procure, Magistrati, Consulte, Cassazioni, Giudici, Ospedali, Medici, Professori di tutti i tipi, Credenti ed Atei, in tutti i luoghi, persino nei bar, nelle Chiese, in Tv , nelle radio. Quella che dicono di volermi togliere il sondino, di farla finita con la vita, di togliermi gli alimenti e l’acqua per bere. Quella che da fastidio alla comunità, ormai. Che vegeto ma non vivo. Quella che un Uomo, mio Padre, che un lontano dì mi regalò la vita, mi fece nascere da un atto di Amore infinito, oggi mi vuol far morire con tutte le sue forze, dandosi da fare perfino col Presidente della Repubblica, con il Ministro di Grazia e Giustizia. Perché dice a tutti di avere fatto un patto con me. Che io gli avrei detto un giorno, quando potevo anche parlare e non solo sentire, muovermi, come tutti gli esseri umani della Terra, mentre si camminava per le strade tenendoci per mano, che se mi fosse capitata una disgrazia, una malattia grave, che so, pure uno scontro con un’ auto, con un treno, persino con un aereo, o per l’avvento di un brutto male, avrei dato a Lui, mio Padre Beppino appunto, sì, Mio Padre, la facoltà di togliermi la vita in qualunque situazione mi fossi trovata. Si ricorda Signore ? - Io proprio non ricordo di averne parlato mai con Lui di quella “facoltà” consegnatagli di vita e di morte. Era forse un Essere Divino lui ? -
Io ero diventato come una pietra, inanimato come una statua. Non sapevo che dire. Sentii solamente una flebile voce come la Sua che ripeteva a lei – ma cosa fa lì in piedi, si accomodi venga a sedere vicino a me . Ma perché, perché è venuta proprio qui da me ? Noi non ci siamo mai conosciuti , non….-
No, no Signore, non tema – mi interruppe - …sa, nella condizione in cui ci troviamo noi in stato di coma, siamo un pò come quei bambini nel grembo materno…Non possiamo parlare, ma, sentiamo, percepiamo quanto dice la nostra mamma, sentiamo il sospiro degli angeli, siamo più vicini a Dio…..ma viviamo, oh, se viviamo, e sentiamo tutto senza aver la forza poter rispondere, purtroppo. -
Ma insomma, ci sarà un motivo – dissi – un qualcuno, una persona, un fatto, che l’ha portata fino a me – continuai a ripetere centellinando le mie parole , mentre stavo riprendendomi lentamente dallo stupore e, devo dire, anche da un certo qual timore riverenziale che mi aveva rapito. – Vedrà, vedrà – continuai - che non sarà così. Vedrà che avrà capito male, che avrà sentito male. Vuole che un Padre che ama i suoi figli pensi e dica certe cose terribili ? –
Non ho dubbi - mi rispose – Signor, signor…ma come si chiama Lei ? – Perché me lo chiede ? – sbottai forse poco rispetto – Che importanza può avere il mio nome per lei ? Quando ha bussato alla porta prima, sapeva chi io fossi ? Sapeva se ero piccolo, grande,giovane, vecchio, se l’avrei accolta o meno ? Non potrei essere stato che so, un Killer, un mafioso, un pedofilo, al limite ? –
No – mi rispose - che dice. Sapesse quante cose noi sappiamo dei nostri simili. Siete voi che ci trattate come esseri lontani, al di fuori del mondo. Veda mio Padre, per esempio. Non Le sembra che sia lui un Killer volendo la mia morte ? Non Le sembra che non abbia più Amore, che abbia perso l’Anima perfino, se vuole comportarsi non come Iddio gli ha insegnato ? Dimenticare l’Amore per le creature, come si fa ? ….La prego, la scongiuro, mi dia una mano…mi salvi…..io non voglio morire. Dio non lo vuole. Dice che quando sarà il momento di tornare alla Sua Casa nei Cieli, mi avvertirà in tempo. Non ora. La prego Signore…la prego…..-
Sentii un forte scossone ad una spalla ed una voce cara, amica, amorevole che mi sussurrava <<>> - mentre due lacrime le solcavano il volto reso ancor più bello. più umano di sempre , se possibile. Gliele asciugai, mentre i mieido occhi si inumidivano.
Mi guardai attorno alla ricerca di un altro volto che nel frattempo era scomparso nell’oblio. La stanza era rimasta vuota, la porta chiusa. Eravamo rimasti solo io e mia moglie. La abbracciai teneramente, tenendola stretta a me. Era tardi, la notte stava lasciando la sua ombra nera e dalla finestra in grriglia, all’orizzonte si intravvedevano i primi bagliori del nuovo giorno. Era quasi l’Alba. Rimanemmo così abbracciati ancora per un po’ per confortarla e confortarci, che lei continuava ad essere per me, l’unico Amore della mia vita. Ripetei che nulla ci avrebbe diviso fino a che l’Amore Divino lo avesse permesso. Sì, mi ero addormentato sulla poltrona, la luce era ancora accesa, il libro era caduto per terra. Di Eluana neppure l’ombra, era sparita nell’oblio. Sentii solo quella vocina ripetere a me stesso <<>>.
Si avvererà il mio sogno sognato ?
Edoardo Maria Argentino