domenica 21 dicembre 2008

LA BARCA DI GESU'


La barca al museo Yigal Alon

Venne scoperta vent'anni fa nel lago di Tiberiade, in Israele
Pellegrinaggio alla «barca di Gesù»
Con il radiocarbonio è stata datata al I secolo d. C.

Se Cristo non la usò, quasi certamente la vide

Di Francesco Battistini

LAGO DI TIBERIADE (Israele) – Qualcuno s’inginocchia e prega. «Soprattutto i russi». Qualcuno apre il Vangelo e legge ad alta voce. «È un momento scioccante, se uno ci crede». Crederci o no, questo grosso guscio di legno, scorticato e restaurato, sorretto da stampelle d’alluminio, ormai è una reliquia. Per tutti, la Barca di Gesù. Per i tour operator in Terra Santa, un’altra irrinunciabile tappa: i pullman scaricano ogni giorno pellegrini convinti, sul piazzale del museo Yigal Alon. Le frecce indicano il percorso, s’attraversano i frutteti e gli ulivi del kibbutz di Ginossar, s’entra in una sala illuminata e a temperatura calibrata. La barca è lì: lunga otto metri, larga quasi due e mezzo, alta uno e 25. Ha ancora i chiodi e qualche pezzo di ceramica, gl’indizi che hanno permesso di datarla al radiocarbonio, I secolo dopo Cristo, di studiare le tecnica di costruzione dello scafo e alla fine di dirlo quasi con certezza: se Gesù non ci navigò, come minimo la vide.

SCOPERTA VENT'ANNI FA - La barca di Gesù fu scoperta per caso più di vent’anni fa, nel lago di Tiberiade. Furono i giornali dell’epoca a chiamarla subito così, ma il culto dei fedeli è cresciuto negli ultimi tempi, quando la storia di questo legno è stata ricostruita meglio. Accadde durante una stagione di grande siccità, il 1986: il livello dell’acqua scese al di sotto dei minimi storici e una mattina due pescatori del kibbutz, i fratelli Moshe e Yuval Lufan, per poco non speronarono la prua che affiorava. Il relitto venne portato a riva fra mille cautele, poi una squadra impiegò dodici giorni e dodici notti a ripulirlo del fango incrostato e della salsedine, quindi servì immergere quel che restava della chiglia in un bagno di sostanze chimiche, per un’altra settimana. La barca ha i segni di molte riparazioni e questo fa pensare sia stata usata per decenni, forse per un secolo intero, di generazione in generazione di pescatori. «E siccome il Vangelo cita almeno cinquanta volte barche e pescatori – dice Marina Banay, pr del museo – e Pietro e diversi apostoli erano pescatori che vivevano qui e lo stesso Gesù trascorse sul lago di Tiberiade parte della sua vita, per molti cristiani questa barca è qualcosa di speciale. L’emozione, vedere una barca proprio di quelle acque e di quell’epoca, è enorme».

DUE ARCOBALENI - Pescatori d’uomini, pescatori di pesci. Non si sa a chi appartenesse, se fosse d’un romano o d’un ebreo. Sappiamo che poteva portare fino a quindici persone, quattro ai remi, e che veniva usata sia per gettare le reti che per trasportare da una riva all’altra. Ma basta, questo, a presumere che fosse proprio quella barca che usavano Pietro, Giacomo e Giovanni, quella dove Gesù s’appisolò e che si riempì d’una pesca miracolosa, da dove fu facile scendere per camminare sulle acque, quella stessa barca che i discepoli, alla fine, abbandonarono per seguire il Messia? I biblisti sono più cauti degli archeologi. A fortificare i pellegrini nelle loro certezze, però, provvedono gli sbalorditi racconti dei due fratelli su quella mattinata: «Quando ci trovammo di fronte lo scafo che emergeva dal lago, di colpo smise di piovere. Gli uccelli smisero di cantare. E nel cielo comparvero due arcobaleni».


21 dicembre 2008

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