martedì 16 dicembre 2008

STORIA DI "ORDINARIA INGIUSTIZIA"


«Trent'anni a incollare modellini
La mia vita da innocente in cella»
Contena, 69 anni, è stato assolto per non aver commesso il fatto
«Sono venuti a prendermi a casa: il 25 maggio 1977. Mi hanno lasciato guidare la mia macchina, una Simca 1000 verde.
Un'auto dei carabinieri stava davanti, una dietro. Ho pensato: è un errore.
Invece sono entrato in carcere a Terni, poi a Orvieto e a San Gimignano. Il processo è cominciato il 2 dicembre 1978 e si è concluso il 2 marzo dell'anno dopo con l'assoluzione per insufficienza di prove.
Sono uscito». Ancora non sapeva, Melchiorre Contena, che avrebbe scontato 30 anni.
È un signore sardo di 69 anni mite e malinconico.

Nel soggiorno di casa ad Acquapendente, nel Viterbese, parla lentamente, appoggiato a un bastone: un anno e mezzo fa un ictus gli ha bloccato l'area destra del corpo. Dice: «Ero innocente, prima o poi se ne sarebbero accorti».

Se ne sono accorti adesso, a fine pena per il sequestro e l'omicidio di Marzio Ostini, l'imprenditore milanese prelevato da tre banditi dalla villa di San Casciano Bagni il 31 gennaio 1977 e mai più restituito ai familiari. La Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila, che si è occupata della revisione del processo, ha assolto Contena da ogni accusa «per non aver commesso il fatto».
«Ormai non è più importante, niente potrà restituirmi il tempo passato in cella», spiega. Da Terni a Orvieto, da San Gimignano all'Asinara, da Sulmona a Pitigliano e ritorno. «Devo a Nicolò Amato l'aver potuto passare gli ultimi anni a Viterbo, vicino a casa: in visita a Sulmona chiese a molti di noi come potesse aiutarci.
Gli scrissi chiedendo il riavvicinamento e lo ottenni ».


Una credenza e un tavolo, navi di legno sulla dispensa e quadri di spugna costruiti nei mesi infiniti di detenzione. Seduta accanto a lui c'è Miracolosa Goddi, la moglie, determinatissima e forte, cuore di Orune, che è pura Barbagia, tempra e coraggio fatti in casa in Sardegna. Interviene ogni volta che il marito incespica e conclude per lui le frasi che ormai conosce a memoria. Melchiorre riprende: «Vendicarmi? L'ho pensato. Ma è stato un attimo. Con chi, poi? Con quello che mi aveva accusato del falso? Con i carabinieri di Montefiascone che gli avevano fatto firmare la deposizione senza un difensore? Ho subito abbandonato il pensiero, non sarebbe servito a niente ».
Contena resta libero dal '79 all'83. Anche la Corte d'Assise d'Appello di Firenze conferma l'assoluzione. Interviene la Cassazione. Nel 1983 la Corte d'Assise d'Appello di Bologna ribalta la sentenza e lo condanna sulla base delle accuse di Andrea Curreli, servo pastore con una sfilza di precedenti penali per falso e calunnia, che sarà poi assassinato.
«No, non sono stato felice per la sua morte. Con lui svanivano le possibilità di dimostrare la mia innocenza», racconta Contena.

Fuori, c'era Miracolosa: a occuparsi dei tre figli Lina, Michele e Giovanna; degli avvocati; del mutuo della casa e del podere nelle campagne senesi. Dentro, giornate interminabili. «La domenica andavo a messa, ma ormai non pregavo più. Piangevo, da solo. Non socializzavo con gli altri, cosa avevamo in comune? Allora mi facevo spedire il legno per costruire i modellini, quante navi ho costruito... Una caravella l'hanno messa davvero in mare a Genova per l'anniversario della morte di Cristoforo Colombo».


Lo spostano spesso, negli istituti di pena di mezza Italia. «L'Asinara è stato il più duro, perché era difficile per i miei figli venirmi a trovare. Durante quell'anno non li ho mai visti, mia moglie veniva da sola, ogni due mesi». A Pitigliano gli concedono la semilibertà: «Di giorno andavo al podere e la sera rientravo». A Viterbo la libertà vigilata con la firma. «Quasi la normalità, ma sempre l'onta sul mio nome. Al matrimonio di mia figlia non ero un uomo libero». Cinque anni di detenzione saltano per buona condotta. Contena esce dal carcere nel 2005, per fine pena. «Ma è soltanto ora che mi sento risarcito moralmente. Questo sarà il primo Natale che festeggio in famiglia senza l'infamia sulle mie spalle. Che cosa desidero? Rimettermi, poter di nuovo camminare come prima, recuperare l'uso del braccio. I viaggi? Magari un giorno riuscirò ad andare a Parigi con mia moglie: l'ho anche costruita, la Torre Eiffel».

Non ci sarebbe stata nessuna revisione del processo se l'avvocato Pasquale Bartolo del foro di Roma non avesse preso a cuore la storia di Melchiorre e Miracolosa. Ora il legale ammette: «La sentenza di condanna è stata viziata da un pregiudizio regionale: Contena era sardo e i sequestri li facevano i sardi. Sono già stato contattato da due persone coinvolte nello stesso processo che ne chiedono la revisione. Quanto al mio assistito, abbiamo due anni di tempo per l'istanza di risarcimento danni. Adesso era più importante ristabilire il suo onore».


Elvira Serra
16 dicembre 2008

Nessun commento: