mercoledì 6 maggio 2009

CURZIO MALAPARTE. (click)


Malaparte e Napoli / La storia di due nemici per "La pelle"

Malaparte e Napoli / La storia di due nemici per "La pelle"
Roma, 5 mag (Velino) - Stroncature sui giornali, anatemi nelle chiese, perfino il "bando morale" del Consiglio comunale, in grado di unire, sulla base di una generale riprovazione, comunisti e monarchici. Poche opere letterarie possono vantare tanto ostracismo nella città in cui sono state ambientate quanto "La Pelle". Nel giro di poche settimane, infatti, il romanzo di Curzio Malaparte - che la casa editrice Adelphi ha annunciato di voler ristampare a breve - inanellò a Napoli una serie di critiche senza eguali. Tutta colpa dello spietato ritratto dello stato di degrado e abiezione morale che all'indomani della Liberazione da parte degli americani si impossessò della città, incarognita dal conflitto e indotta per fame alle più turpi bassezze. Proprio come sarebbe avvenuto in seguito anche a Saigon, Beirut, Sarajevo e a tutte le città devastate dall'interno da un lacerante conflitto. Una tematica già di per sé scabrosa, ulteriormente appesantita dallo stile barocco di Malaparte e da un certo compiacimento nelle descrizioni più truculente. Era l'autunno del 1949, esattamente 60 anni fa, e nell'Italia che muoveva i primi passi nella democrazia, Napoli era considerata la capitale della cultura. Ovvio quindi che denunciarne l'abiezione imperante potesse essere interpretato come un'intenzione di mostrare che la città era ancora immatura per un tale ruolo.

Il risultato fu un'ostilità generalizzata, a cominciare dal mondo della cultura: il romanzo fu stroncato sia dai critici militanti che non, a cominciare dai quotidiani cittadini Il Roma e Il Mattino. Solo Edmondo Cione, filosofo idealista allievo di Benedetto Croce, fece propria una posizione più elaborata basata sul recupero della napoletanità, un'operazione basata comunque sulla ricerca dei galloni del passato per respingere la pochezza del presente. Emilio Cecchi sull'Europeo non si risparmiò: "Diciamo pure che egli ha fatto, Dio lo perdoni, una di quelle cose che veramente non si fanno. Meglio quasi il silenzio o l'ipocrisia che codeste equivoche bravure. Ha tirato in ballo, spogliato d'ogni decenza, miseria, vergogne, atrocità troppo gelose per adoperarle a scopo letterario". "Caro Cecchi, col silenzio e l'ipocrisia si diventa accademici d'Italia", fu la lapidaria risposta di Malaparte. Prese apertamente posizione anche il cardinale Alessio Ascalesi, che appena una decina di anni prima aveva benedetto le truppe che partivano per l'Africa e che nel romanzo era stato accusato di non aver assistito spiritualmente il popolo napoletano pur sapendo il degrado morale in cui stava sprofondando la città. Il porporato mobilitò le chiese e i parroci della diocesi e pochi mesi dopo "La pelle" finì nell'Indice dei libri proibiti.

"Fu una reazione mobilitata dalla piccola borghesia per il modo in cui veniva messo in mostra il senso morale della popolazione, perché di certo i ceti inferiori non avevano letto il libro", spiega al VELINO Luigi Parente, docente di Storia contemporanea all'istituto Orientale, che al caso ha dedicato il saggio "Una città contro. La polemica Napoli-Malaparte nel secondo dopoguerra". Una reazione "d'istinto" della società civile con una forte connotazione campanilistica, che in breve allignò anche nella politica. "La città d'altronde era un laboratorio politico di primo piano, perché fra la Liberazione e gli anni Cinquanta furono sperimentate soluzioni che venero poi estese a livello nazionale - rammenta Parente -: le Quattro giornate come prodromo della Resistenza, la politica nuova del Pci dopo la svolta di Salerno, il trionfo della destra poi diffuso a tutto il Mezzogiorno". I conservatori rispolverarono la grande tradizione della "Napoli nobilissima"; la sinistra socialcomunista, per bocca di Mario Alicata (fra i maggiori interpreti teorici del conformismo zdanovista), attaccò lo scrittore perché "La pelle" non parlava degli operai e dei lavoratori, secondo la consueta modalità adottata per eludere le critiche scomode.

Il risultato fu così una convergenza che si espresse pienamente il 15 febbraio 1950, quando fu addirittura il Consiglio comunale a occuparsi del caso Malaparte, al quale fu perfino impedito di difendere in aula le proprie ragioni. A convocare l'assemblea, con un ordine del giorno ad hoc, furono i consiglieri Michele Parise e Giuseppe Cicconardi, rispettivamente dell'Uomo Qualunque e del Partito liberale. La seduta fu talmente accesa da indurre il consigliere monarchico Antonio Nardone a gridare: "Bruciamo questo libro nell'aula". Alla fine, fu raggiunta l'unanimità sulla necessità di un "bando morale". Solo il consigliere Gennaro Fermariello, un ex azionista, si astenne. Fu l'unico a parlare delle turpitudini di quei giorni del 1944 come del segno della Vandea. Ma la polemica fra un'opera di narrativa e la cultura napoletana non finì con Malaparte. Nel 1953 protagonista di un episodio simile fu, ancora una volta, un autore non partenopeo: Anna Maria Ortese. La sua colpa? L'ultima parte de "Il mare non bagna Napoli" (1953), intitolato "Il silenzio della ragione". Un impietoso ritratto del mondo degli intellettuali napoletani che avevano fatto parte del cosiddetto Gruppo Sud, come Michele Prisco, Domenico Rea e Pasquale Prunas, appiattiti sulla conservazione dell'esistente più che sul desiderio di trasformazione. Fra le critiche del Pci, si distinse quella di un giovane deputato non ancora trentenne. Il suo nome era Giorgio Napolitano.

2 commenti:

Mary/Orpheus ha detto...

Ciao Ambra grazie per essere passata dal mio blog:-)
Vedo che hai un "bambino" peloso di nome Pippo... io ho 4 bassotti e una micina appena arrivata.
Ciao Mary

ambra ha detto...

Grazie a te per aver ricambiato la visita.
No, Mary, il Pippo mascotte non è mio, ma di un carissimo amico, Leone 20 che puoi trovare anche su aquaeductus; io purtroppo non ho più un cane, morto il mio ultimo non ho più avuto il coraggio di riprenderne, in compenso ho quattro gattine che abbiamo salvato da morte sicura(le avevano buttate via chiuse in uno scatolone). Sono quattro, come i tuoi meravigliosi bassotti che, come ti ho detto altrove, ti invidio da morire.
Ciao Ambra