lunedì 9 febbraio 2009

LA LIBERTA' , LA MALATTIA, LA VITA (click)


Assumersi le proprie responsabilità
Scritto da Barbara Di Salvo
lunedì 09 febbraio 2009

Non volevo parlarne. Già non mi piace discutere di temi etici, figuriamoci quanto mi andava di entrare nel merito della vita o della morte di una ragazza. Ormai, però, un dubbio mi tormenta da giorni: ma ne valeva la pena?
Resto dell’idea, infatti, che la politica si dovrebbe occupare il minimo indispensabile di certi temi, e quanto è successo in questi giorni non fa che confermarmelo. No, non è stata la politica a entrare in una vicenda che è e doveva restare assolutamente privata, ma è stato un padre che ha preteso con tutte le sue forze che fosse lo Stato a entrare nella sua vita ed a decidere di quella di sua figlia. Era proprio necessario arrivare a questo? Può la politica, lo Stato, un giudice decidere se far morire o no una ragazza? Qui non c’è destra o sinistra che tenga, cattolicesimo o ateismo che prevalga, ma il problema di fondo è proprio fino a dove lo Stato può arrivare ad incidere sulla nostra libertà.
Ecco, secondo me sono proprio gli ultraliberali quelli che stanno prendendo la cantonata più grossa.
Vogliono davvero che lo Stato faccia una legge sul testamento biologico, sull’eutanasia, sull’accanimento terapeutico? Siamo sicuri che non stia proprio qui la violazione della nostra libertà? Sono davvero convinti che la Cassazione e i giudici milanesi abbiano emesso sentenze autenticamente liberali?
A me non sembra proprio.
Io vedo solo lo Stato che, attraverso il suo ordine giudiziario, ha deciso al posto di Eluana. Vedo lo Stato, attraverso le sue istituzioni politiche, le uniche che hanno il potere legislativo che si sono invece arrogati i giudici, cercare di mettere una pezza a questa grave violazione costituzionale.
Ma non è questo il problema vero di un dramma tutto privato, diventato pubblico a forza.
Mi sbaglierò e, con tutto l’umano rispetto che posso avere per il suo dolore, vedo un padre che non ha avuto il coraggio di assumersi la responsabilità di decidere cosa fare della propria figlia. Capisco che sia la scelta più difficile che esista, ma era e doveva essere una scelta personale che lui, in accordo con la sua famiglia, doveva assumere da solo.
Tutti noi italiani, i giudici, il parlamento, il governo, il presidente della Repubblica non c’entravamo nulla e dovevamo restarne fuori. Non è andata così. Non mi pare di averlo mai sentito ammettere che questa era la sua volontà di padre. L’ho al contrario sempre visto nascondersi dietro la presunta volontà della figlia.
Non decido io in quanto padre, ma interpreto quella che è la decisione di Eluana. Non mi assumo la responsabilità di staccare il sondino, ma la lascio a lei. Non solo, non mi accontento della mia interpretazione della sua presunta volontà, ma pretendo che dei giudici, terzi estranei, si assumano la responsabilità di dirmi quale sarebbe stata la decisione di Eluana.
Questo sarebbe un padre coraggioso e responsabile? Siamo sicuri che sia davvero convinto della sua decisione o non abbia piuttosto lasciato che fossero altri ad assumersi la responsabilità di far morire la figlia? Non potrebbe piuttosto essere stato un modo di non dover un domani fare i conti con la propria coscienza?
Per carità, non lo accuso di niente. Mi fa una pena incredibile, ma prima di santificarlo, magari sarebbe il caso di pensarci un attimo. Forse non sarà da biasimare, ma non vedo cosa ci sia di lodevole in questo comportamento.
Addirittura propongono di farlo senatore a vita. Ma siamo impazziti?
Migliaia di volte, in tutto il mondo, genitori, figli, mariti, in silenzio, tra le quattro mura di una camera d’ospedale, dopo averne a lungo discusso coi medici, in famiglia, dopo aver valutato tutte le possibili soluzioni, si assumono la responsabilità di decidere.
Il padre di Eluana questa responsabilità non ha voluto assumersela. Io la vedo solo qui la differenza tra questo caso e gli innumerevoli altri.
È pilatesco? Può darsi.
È sbagliato lasciare che ogni singola famiglia decida del proprio caro? Non credo.
È giusto che sia lo Stato a decidere per loro? Lo credo ancora meno.
In questi ambiti lo Stato come si muove sbaglia, è inevitabile. Lo Stato è astratto, le norme sono astrazioni, le sentenze sono astruse.
Cosa c’è di concreto in un malato? Solo il dolore. Il dolore del malato ed il dolore di chi gli sta accanto. Punto.
Tutti gli altri sono solo intrusi.
Ebbene, non vedo come possano degli estranei, dei giudici o dei parlamentari, decidere a priori quando e come gestire questo dolore, quando interromperlo, quando acuirlo, quando renderlo permanente. Ogni caso è a sé, ogni malato è a sé, ogni famiglia è a sé.
Forse risiede proprio qui la massima espressione della nostra libertà, nel decidere cosa è meglio per noi e per i nostri cari, caso per caso, volta per volta, famiglia per famiglia. E nessuna legge, nessuna sentenza potrà mai davvero dirci cosa è meglio fare, se non limitando la nostra libertà.
Un genitore potrà decidere che preferisce credere in un miracolo, che preferisce accudire quello che sembra un vegetale, piuttosto che perderlo per sempre. Un altro potrà decidere di non avere più speranza e di porre fine a quella che ritiene un’agonia, sia per sé che per la figlia malata. Non prendiamoci in giro, però, è una scelta egoistica di cui ci si deve assumere la responsabilità. Non si può cianciare di libertà senza avere il coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie scelte libere e consapevoli.
Posso decidere di morire, come di vivere, posso decidere di far morire o di far vivere, ma la responsabilità è esclusivamente mia.
Pretendere che sia lo Stato con una legge o con una sentenza a decidere al posto mio, significa solo pretendere la libertà rifiutando la responsabilità.
Troppo comodo. Ma soprattutto controproducente, perché dove lo Stato arriva a decidere al posto nostro, non si assume solo la responsabilità, ma si prende anche una parte della nostra libertà. È inevitabile. Checché ne pensino gli ultraliberali.
Davvero vogliamo una legge sul testamento biologico o sull’eutanasia? Oppure vogliamo solo essere liberi di scegliere, lavandoci la coscienza?
Siamo davvero pronti alle conseguenze che questo può comportare?
Se io oggi, inconsapevole e in perfetta salute, sull’onda emotiva di quanto accade qui a Udine, affermassi di voler morire se mi trovassi in stato vegetativo permanente, davvero sarei più libera se lo Stato desse valore legale incontrovertibile a questa dichiarazione?
O non starei perdendo piuttosto la mia libertà di cambiare idea? Cosa posso sapere oggi di quello che potrei provare in quel momento? E se fossi cosciente, ma incapace di esprimermi e solo apparentemente incosciente? E se un miracolo, come ne sono già accaduti migliaia, mi riportasse ad una vita cosciente? E se domani scoprissero una cura per risvegliare il cervello? E che dire poi dei miei genitori, di mio marito o dei figli che potrei avere?
Sono davvero io l’unica a poter decidere? Posso davvero scegliere io oggi, necessariamente inconsapevole, cosa sarebbe meglio per loro?
Se preferissero tenermi in vita? Se anche io fossi del tutto incosciente, senza provare alcun dolore, che diritto avrei di toglier loro la facoltà di scegliere se tenermi con sé o lasciarmi andare?
Decidere di morire non è forse la massima espressione dell’egoismo?
Ma pensate davvero che a queste domande possa rispondere un estraneo? È davvero liberale lasciare che un giudice o un parlamentare decida al posto nostro in una materia così intima e così delicata?
L’ipocrisia, secondo me, sarebbe qui e non in chi lascia che ogni malato ed ogni famiglia faccia storia a sé. Non significa lavarsene le mani, né girarsi dall’altra parte, ma lasciare ai singoli la libertà di decidere caso per caso.
È solo umana pietà. Si rischia l’accusa di omicidio? Ma quando mai?
Fatevi un giro nei reparti di rianimazione e provate a chiedere agli infermieri quanti ne hanno visti morire così e quanti medici o parenti sono stati denunciati. Provate ad indagare nelle procure quanti ne sono stati portati a giudizio e quanti ne sono stati condannati.
O ancora credete alla favola dell’obbligatorietà dell’azione penale? Se proprio i giudici si devono intromettere che lo facciano a cose fatte e valutino solo allora se sia stato giusto o sbagliato lasciar morire quel paziente in condizioni disperate. Giudichino quel padre che si è assunto, tutto solo con la sua coscienza, la responsabilità di lasciar andare la figlia.
Se davvero non c’era alcuna speranza, se davvero questa era la volontà della ragazza, quel padre non dovrà rendere conto ad altri che a se stesso.
Forse, se il padre di Eluana si fosse assunto questa responsabilità, oggi saremmo tutti ancora un po’ più liberi. www.barbaradi.splinder.com

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