Isabella Bossi Fedrigotti : " Quelle solitarie eroine dei diritti umani che hanno imparato a non arrendersi "
Tre, quattro, cinque, sei donne non fanno primavera e tantomeno storia. Ed è anche possibile che le loro vicende abbiano maggiore risonanza e maggiore effetto mediatico per il semplice fatto di essere appunto donne, giovani donne per lo più, dunque forse più commoventi, forse anche più fotogeniche. Resta però il fatto che al momento sembrano solitarie e audaci eroine dei diritti umani.
Eroine perché alcune tra loro sono già morte, mentre altre hanno rischiato o ancora rischiano. Solitarie perché tali in effetti appaiono, avanguardie femminili senza molti compagni di strada.
Sono Aung San Suu Kyi, la fragile signora birmana in lotta senza armi contro il regime dei generali, che da più di vent’anni passa dal carcere agli arresti domiciliari e viceversa, ora di nuovo condannata a diciotto mesi di prigione per essere stata, qualche mese fa, raggiunta a nuoto nel suo domicilio coatto da un non invitato pacifista americano.
Poi Anna Politkovskaya, forse la più tragica in quanto aveva previsto la sua morte e la temeva senza tuttavia per questo smettere di denunciare soprusi e violenze in Cecenia; e come lei, attivista dei diritti umani, Nataliya Estemirova, rapita e uccisa un mese fa in Cecenia, a lungo minacciata, poi massacrata e abbandonata sul ciglio di una strada. E così è stata trovata ieri mattina Zarema Sadulayeva, direttrice di un’organizzazione non governativa che si occupa di giovani, rapita e uccisa con il marito.
A loro si aggiungono le eroine della resistenza iraniana, eroine per caso, forse, nel senso che potrebbero essersi ritrovate in un gioco più grande di loro, ma non certo coraggiose per caso. Hanno — queste numerose audaci senza nome - il bel volto indimenticabile di Neda, scesa in strada a manifestare contro i brogli elettorali e ammazzata da un proiettile delle forze di sicurezza, nonché quello altrettanto bello, ma incredulo e spaurito di Clotilde Reiss, la giovane ricercatrice universitaria francese accusata, a causa di una email, di aver tramato contro il regime e costretta in tribunale a «confessare» le sue colpe per le quali rischia l’impiccagione.
Perché tante donne? Prima di tutto, è probabilmente questa una conseguenza della battaglia per la parità femminile. Speciale parità, forse nemmeno contemplata come un obiettivo consapevole, che si rivela tuttavia spinta inevitabile e che, evidentemente, non riguarda soltanto l’evoluto Occidente ma anche — sia pure in forma molto meno visibile e compiuta, a volte, anzi, del tutto segreta — l’emisfero delle femmine sottomesse per abitudine, per religione e per costume atavico.
La parità — mescolata al fatto che la pasionara infuocata, la suffragetta, è sempre stata donna, al punto che i corrispettivi termini maschili nemmeno esistono — fa nascere queste nuove eroine disposte a sacrificare la vita in difesa della giustizia, in nome di un principio o, soprattutto, per tutelare i più deboli.
E poi bisogna forse aggiungere — per comprendere il loro sprezzo del pericolo — la percezione di sé che per lungo tempo è stata concessa alle donne: piuttosto di innocua figura di secondo piano che non di nemico da temere, da combattere e abbattere.
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