mercoledì 12 agosto 2009

Eroine della libertà

Isabella Bossi Fedrigotti : " Quelle solitarie eroine dei diritti umani che hanno imparato a non arrendersi "

Neda

Tre, quattro, cinque, sei donne non fanno primavera e tantome­no storia. Ed è anche possibile che le loro vicende abbiano maggiore risonanza e maggiore effetto mediatico per il semplice fatto di essere appunto donne, giovani donne per lo più, dunque forse più commoven­ti, forse anche più fotogeniche. Resta pe­rò il fatto che al momen­to sembrano solitarie e audaci eroine dei diritti umani.
Eroine perché alcune tra loro sono già morte, mentre altre hanno ri­schiato o ancora rischia­no. Solitarie perché tali in effetti appaiono, avan­guardie femminili senza molti compagni di stra­da.
Sono Aung San Suu Kyi, la fragile signora bir­mana in lotta senza armi contro il regime dei gene­rali, che da più di vent’an­ni passa dal carcere agli arresti domiciliari e vice­versa, ora di nuovo con­dannata a diciotto mesi di prigione per essere stata, qualche mese fa, raggiunta a nuoto nel suo domicilio co­atto da un non invitato pacifista america­no.
Poi Anna Politkovskaya, forse la più tra­gica in quanto aveva previsto la sua morte e la temeva senza tuttavia per questo smettere di denunciare soprusi e violenze in Cecenia; e come lei, attivista dei diritti umani, Nataliya Estemirova, rapita e ucci­sa
un mese fa in Cecenia, a lungo minac­ciata, poi massacrata e abbandonata sul ci­glio di una strada. E così è stata trovata ieri mattina Zarema Sadulayeva, direttri­ce di un’organizzazione non governativa che si occupa di giovani, rapita e uccisa con il marito.
A loro si aggiungono le eroine della re­sistenza iraniana, eroine per caso, forse,
nel senso che potrebbero essersi ritrovate in un gioco più grande di loro, ma non certo coraggiose per caso. Hanno — que­ste numerose audaci senza nome - il bel volto indimenticabile di Neda, scesa in strada a manifestare contro i brogli eletto­rali e ammazzata da un proiettile delle for­ze di sicurezza, nonché quello altrettanto bello, ma incredulo e spaurito di Clotilde Reiss, la giovane ricercatrice universitaria francese accusata, a causa di una email, di aver tramato contro il regime e costretta in tribunale a «confessare» le sue colpe per le quali rischia l’impiccagione.
Perché tante donne? Prima di tutto, è probabilmente questa una conseguenza della battaglia per la parità femminile. Speciale parità, forse nemmeno contem­plata come un obiettivo consapevole, che si rivela tuttavia spinta inevitabile e che, eviden­temente, non riguarda soltanto l’evoluto Occi­dente ma anche — sia pu­re in forma molto meno visibile e compiuta, a vol­te, anzi, del tutto segreta — l’emisfero delle fem­mine sottomesse per abi­tudine, per religione e per costume atavico.
La parità — mescolata al fatto che la pasionara infuocata, la suffragetta, è sempre stata donna, al punto che i corrispettivi termini maschili nemme­no esistono — fa nascere queste nuove eroine di­sposte a sacrificare la vi­ta in difesa della giusti­zia, in nome di un principio o, soprattut­to, per tutelare i più deboli.
E poi bisogna forse aggiungere — per comprendere il loro sprezzo del pericolo — la percezione di sé che per lungo tem­po è stata concessa alle donne: piuttosto di innocua figura di secondo piano che non di nemico da temere, da combattere e abbattere.

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