domenica 13 settembre 2009

BINO BOFFO - UN CASO PER TRE

"Avvenire" ha due lettori tra loro discordi: i vescovi e il Vaticano

Il giornale dei vescovi italiani è sotto attacco e il suo direttore si è dimesso. Ma le gerarchie della Chiesa appaiono divise. Sui risvolti anche politici della vicenda, un'analisi di Pietro De Marco

di Sandro Magister


ROMA, 10 settembre 2009 – Nella lettera con cui il 3 settembre si è dimesso da direttore di "Avvenire", il giornale della conferenza episcopale italiana, Dino Boffo ha paventato il disegnarsi di "geografie ecclesiastiche" in guerra tra loro, eccitate dal suo caso.

Benedetto XVI, in una sua lettera ai vescovi di pochi mesi fa, è stato ancora più schietto: "Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri".

Che fra le alte gerarchie della Chiesa vi siano divisioni e contrapposizioni, che a tratti esplodono e fanno macerie, è un dato indiscusso e riconosciuto. Nei riguardi della politica italiana la divergenza è oggi principalmente tra le due sponde del Tevere: tra la segreteria di Stato vaticana da un lato, e la conferenza episcopale italiana dall'altro.

"Avvenire" è il quotidiano dei vescovi. Ma l'attacco condotto contro la vita privata del suo direttore, Boffo, dal quotidiano "il Giornale" di proprietà del fratello del premier Silvio Berlusconi è stato giudicato e vissuto in modi opposti, al di qua e al di là del Tevere.

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Per la segreteria di Stato l'attacco vero e proprio era ed è un altro, condotto da altri, da un potere anticattolico che, a suo giudizio, ha la sua punta avanzata ne "la Repubblica", il giornale leader della sinistra laica, e ha come bersaglio massimo il papa e in subordine il suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone.

La mattina del 28 agosto Bertone si infuriò molto di più per un articolo del teologo Vito Mancuso su "la Repubblica" che per il contemporaneo scatenarsi della campagna de "il Giornale" contro Boffo e le sue critiche al premier. Mancuso accusava Bertone di sedersi alla mensa di Erode, incontrando Berlusconi secondo programma quel giorno, invece che denunciarne la vita lussuriosa col coraggio di un san Giovanni Battista.

Poche ore dopo, infatti, nel primo pomeriggio di quello stesso 28 agosto, "L'Osservatore Romano" uscì con una vistosa nota di prima pagina contro l'articolo de "la Repubblica", a firma della sua commentatrice di punta, Lucetta Scaraffia, e solo con un paio di righe in una pagina interna dedicate all'offensiva de "il Giornale" contro il direttore di "Avvenire", ritagliate da un comunicato della CEI, nonostante fosse per questa aggressione e non per altri motivi che l'incontro tra Bertone e Berlusconi era stato nel frattempo annullato.

Anche nei giorni successivi, nel pieno della tempesta contro Boffo, il cardinale Bertone tenne ferma questa sua lettura dei fatti.

Per lui, il vero culmine dell'aggressione contro la Chiesa fu quando "la Repubblica", il 1 settembre, titolò che Benedetto XVI era intervenuto personalmente a sostegno di Boffo e quindi delle sue critiche a Berlusconi.

Infatti, il primo e unico comunicato ufficiale vaticano sul caso Boffo uscì poche ore dopo proprio per smentire il coinvolgimento del papa nella mischia. Il comunicato confermò che a Boffo aveva espresso solidarietà il solo Bertone, mentre il papa – stando a un parallelo comunicato della CEI – si era limitato a telefonare al presidente della conferenza episcopale, cardinale Angelo Bagnasco, per chiedergli "notizie e valutazioni sulla situazione attuale" ed esprimere "stima, gratitudine e apprezzamento" a lui e ai vescovi italiani.

A sfogliare "L'Osservatore Romano", il giornale di cui il professor Giovanni Maria Vian è direttore e il cardinale Bertone editore di riferimento, la settimana di passione di Boffo è passata senza quasi lasciare traccia. La notizia delle sue dimissioni è stata data il 3 settembre in un esile colonnino di 22 righe a pagina 7 sotto il titolo asettico: "Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI", di cui si riportava stringatamente il comunicato.

Molto più loquace era stato invece il direttore Vian in un'intervista al "Corriere della Sera" del 31 agosto. Dalle sue parole appariva lampante l'insoddisfazione della segreteria di Stato vaticana per "Avvenire", per le sue "imprudenze ed esagerazioni" nel criticare il governo e nel fustigare le licenziosità private del premier: materia, quest'ultima, sulla quale "L'Osservatore Romano" non ha mai scritto una sola parola, per scelta deliberata.

C'è in questo voluto rapporto di "serenità istituzionale" con i governi in carica, quali che essi siano, di sinistra o di destra, una costante della diplomazia vaticana con tutti gli Stati del mondo, dettata da realismo politico.

Ma un conto è il governo centrale della Chiesa cattolica, un altro conto sono le effervescenti Chiese nazionali, con i loro vescovi, il clero, i fedeli.

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Sotto la presidenza del cardinale Camillo Ruini, la conferenza episcopale italiana aveva assunto in proprio la guida dei rapporti con la sfera politica, in pieno accordo con Giovanni Paolo II e con il suo successore Benedetto XVI, mietendo indubbi successi. "Avvenire", diretto da Boffo, era l'organo di punta della leadership ruiniana.

Ma uscito di scena Ruini, il cardinale Bertone ha voluto prendere lui in pugno il timone della politica della Chiesa in Italia, e l'ha scritto nero su bianco in una lettera del 25 marzo 2007 al nuovo presidente della CEI, cardinale Bagnasco. I vescovi non accettarono affatto d'essere esautorati e così da allora tra il Vaticano e la CEI permane un attrito che talora precipita in aperto contrasto.

Nel frattempo, però, la CEI è cambiata. Non è più quella compagine ordinata che era stata con Ruini all'apogeo.

Il cardinale Bagnasco ne è un fedele continuatore, ma non ha pari autorevolezza. Il nuovo segretario della CEI, il vescovo Mariano Crociata, si è in breve rivelato non all'altezza del ruolo. L'attuale è una CEI dalle molte teste e dalle molte voci, spesso tra loro dissonanti. Una ragione in più perché, dal Vaticano, Bertone rafforzi le sue ambizioni di guida, incoraggiato in questo dai politici, che individuano in lui un interlocutore più sicuro, rispetto a una CEI che appare incerta e confusa.

Confusa anche nel reagire all'offensiva contro "Avvenire" e il suo direttore. Già da mesi, da quando è partita in Italia la polemica sulla vita privata del premier Berlusconi, il giornale diretto da Boffo si era trovato a navigare in acque tempestose. Le pressioni dei lettori e ancor più di una parte di quell'editore collettivo che è l'episcopato italiano avevano indotto Boffo a fare ciò che non avrebbe mai fatto con un Ruini alla guida: fare prediche contro l'immoralità privata del premier. Prediche misurate, rispettose, dosate con cura. Tali però da scontentare molti, per il loro troppo o poco vigore a seconda dei punti di vista. In segreteria di Stato, naturalmente, l'imprudenza "moralistica" del giornale della CEI appariva solo foriera di rovine, come la micidiale rappresaglia de "il Giornale" avrebbe poi confermato..

Vissuta in CEI come un attacco alla linea di Ruini, l'offensiva contro Boffo ha visto quindi schierarsi in difesa dell'aggredito, in prima linea, anzitutto lo stesso cardinale Ruini e il suo successore, Bagnasco, con l'esercito di quella "Chiesa di popolo" che Boffo ha saputo in effetti straordinariamente esprimere e interpretare, nei quindici anni della sua direzione.

Ma tra i cardinali, i vescovi e il clero c'è anche chi si è tenuto in disparte oppure ha invocato da subito le dimissioni di Boffo, nonostante le iniziali accuse a suo carico si rivelassero presto largamente infondate. Lo stesso Boffo ha dato adito a sospetti tardando giorni a scrivere una circostanziata difesa di sé, prima di dimettersi per sua decisione personalissima, contro la volontà del presidente della CEI e indipendentemente da qualsiasi sollecitazione di papa, che non c'è mai stata.

Entro settembre il direttivo della CEI nominerà il suo successore, che sarà forse Domenico Delle Foglie, ruiniano a tutto tondo. Anche perché, per paradosso, né gli antiruiniani né il cardinale Bertone hanno un loro candidato alternativo.



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“La questione non finisce qui”. Sul caso Boffo e sul suo successore

La scelta del successore di Dino Boffo alla direzione di “Avvenire” compete all’editore del giornale, cioè alla conferenza episcopale italiana. Si prevede che la decisione finale sarà presa quando, il 21 settembre, si riunirà il consiglio permanente della CEI. Di questo direttivo non fa parte il cardinale Camillo Ruini. Ma è indiscutibilmente “ruiniano” e in continuità con Boffo il candidato numero uno della stessa CEI, Domenico Delle Foglie.
“Avvenire” infatti, con Boffo direttore, ha fatto tutt’uno col “progetto culturale” lanciato dalla CEI di Ruini, cioè con quello “sforzo gigantesco di trasformare il messaggio della Chiesa in cultura popolare”, come ha detto il rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, in un dibattito a Milano lo scorso 9 settembre.
Contro la nomina “continuista” di Delle Foglie si agita però un fronte variegato, con il Vaticano in prima fila.
La segreteria di Stato punta su tre candidati: Roberto Righetto, responsabile delle pagine culturali di “Avvenire” non sempre consonante con Boffo; Giacomo Scanzi, direttore del “Giornale di Brescia” e docente di giornalismo alla Cattolica, molto stimato da Giovanni Maria Vian che dirige “L’Osservatore Romano”; Gianfranco Fabi, vicedirettore del “Sole 24 Ore” e direttore di Radio 24.
Quest’ultimo potrebbe essere l’uomo del compromesso, nel caso in cui cadesse la candidatura di Delle Foglie. Fabi è esterno agli equilibri cattolici ed ecclesiastici ed è quindi il più accettabile sia dai ruiniani che dagli antiruiniani.
In ogni caso, la discussione sul futuro di “Avvenire” si intreccia con i giudizi sull’attacco sferrato contro Boffo e il giornale della CEI.
Il sito www.chiesa ne ha dato conto in tre servizi del 31 agosto e del 3 e 10 settembre.

Qui di seguito, ecco invece sul caso Boffo l’analisi inedita del professor Pietro De Marco:

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1. Due schieramenti simmetrici, ora espliciti ora coperti, hanno caratterizzato lo scontro nella stampa e nell’opinione pubblica dopo l’attacco del “Giornale” a Dino Boffo (28 agosto), attacco portato in un teatro di polemiche e iniziative del “Giornale” stesso, di “Libero”, e del premier Silvio Berlusconi in prima persona.

Abbiamo da un lato lo schieramento dell’intelligencija, anzitutto sensibile alla denuncia di “Repubblica” e dell’”Unità” da parte degli avvocati di Berlusconi, ma abile nel situare subito la vicenda Boffo entro il mondo onirico della guerra antiberlusconiana e antigovernativa. A questo automatismo si sono conformate voci cattoliche del laicato militante e della politica, e qualche prelato. Per alcune di queste voci più che di cattocomunismo e cattocomunisti, formula desueta, bisognerebbe parlare di cattomanicheismo e cattomanichei.

Dall’altro c’è lo schieramento della stampa e di alcuni ambienti del centro-destra, in formazione di attacco: un “surge” deciso a replicare colpo su colpo alla lunga guerra aperta da “Repubblica” e dalla sinistra, e convinto delle ragioni dell’attacco di Vittorio Feltri al direttore di “Avvenire”.

Boffo è posto per gli uni come vittima e per gli altri come aggressore, in questo caso assieme a “la Repubblica” e De Benedetti, alla famiglia Agnelli, a D’Alema, magari a Fini, insomma al composito pantheon degli “dèi che cadono e si fanno molto male”, come titolava “il Giornale” del 6 settembre scorso.

È stato talmente comodo e conflittualmente efficace costringere Boffo in questo schema duale, che a pochi è parso utile ricordare che Boffo era altra cosa da un nemico per l’area di governo. Quello che Boffo ha detto ad Alfonso Signorini di “Chi”, fatto salvo il suo diritto a dissentire poi sui tagli e sulle accentuazioni cui il giornalista avrebbe sottoposto le sue frasi, esprime bene una arcinota verità: Dino Boffo e “Avvenire” non erano in nessun modo omologabili ai nemici del premier e del governo.

Una prima conclusione: Dino Boffo è stato vittima del cosiddetto “fuoco amico” ed è stato difeso da falsi amici.

Si è cercata la distruzione di Boffo, da parte di Feltri, perché lo si è preso per un nemico, nell’ansia di sparare a vista. Se ne è data, sull’altro fronte, una protezione contingente e strumentale.
Un errore, quello che ha portato al fuoco amico, con implicazioni pesanti quanto difficili da controllare. Proprio come nella frase attribuita a Boffo, non “minacciosa” ma facile prognosi: “La questione non finisce qui e avrà pesanti conseguenze anche sul fronte politico”.
Un errore, anzitutto. Basti pensare che Feltri ha ottenuto in un attimo il risultato che anni di circolazione intracattolica di un falso diffamatorio non erano riusciti ad ottenere. Ma non solo. Con l’autogol si offrivano alle sinistre, sia politiche che cattoliche, un pacchetto che comprendeva: la fine di Boffo e della sua sapiente moderazione di “Avvenire” e di altri media; la sanzione di una presunta “fine dell’età ruiniana”; il pretesto per una ennesima campagna contro Berlusconi liberticida e contro il governo; l’occasione per tutta la sinistra di mostrarsi “defensor Ecclesiae” e per i laicati cattolici critici, per gli scontenti della Chiesa “silenziosa e indulgente con premier e governo”, un motivo di alzare la voce e proclamare giunta la stagione della “Chiesa della profezia”, in concreto la mobilitazione dei fedeli, da parte di influenti cleri parrocchiali e organi di opinione ecclesiale, alla militanza contro la moderazione e l’intelligenza delle gerarchie e di “Avvenire”, oltre che contro il governo.

2. Ma vi è qualcosa di più complesso e di maggiore spessore. Il distruttivo attacco a Dino Boffo è un “lavoro sporco” di sinistra fatto da destra, a solo vantaggio della sinistra.
In effetti l’Anonimo, ovvero il falso rapporto che diffama Boffo, risulta da molti anni anticipato da lettere anonime equivalenti, inviate ai vescovi a più riprese. La comparsa di queste carte e la loro funzione evidente sono coincise col cambio di guardia nel governo dell’Università Cattolica (cioè con la nomina a rettore di Lorenzo Ornaghi, di cui è in scadenza nel 2010 il secondo mandato) e nell’Istituto Toniolo, che dell’università è l’ente fondatore e promotore, quando in fasi successive la componente laicale “cattolico-democratica” fu messa in minoranza. Boffo stesso entrava nel comitato permanente del Toniolo. Qualcuno non ha mai perdonato all’allora cardinale presidente della CEI, Camillo Ruini, questa profonda innovazione di uomini e indirizzi nell’ateneo dei cattolici italiani. Da tale ostilità, e non dai Sacri Palazzi immaginati à la Dan Brown, proviene il “coltello di Mackie Messer” di cui parla enfaticamente “la Repubblica”.
L’obiettivo errore diagnostico e strategico di Feltri e di alcuni ambienti conservatori anche cattolici ha prodotto così il successo di uno spericolato uso di dicerie e sospetti da parte di quei nemici reali di Boffo che oggi forse se ne dicono difensori ed estimatori. Il camuffamento dei fatti è tale che qualche ingenuo, nel mondo cattolico conservatore, ha fatto propria l’allucinazione feltriana di un “Boffo di sinistra” e ha pensato a una liberazione di “Avvenire”! Eppure in questa nuova e confusa situazione la risposta al “cui prodest” è inequivoca.
Lascio da parte la questione dei problemi di governo della conferenza episcopale italiana. Ritengo che si sarebbe potuto difendere Boffo con mosse che chiarissero subito l’assurda alleanza obiettiva di Feltri con un sottobosco ostile alla linea pastorale ed ecclesiale-politica del cardinale Ruini e alla sua eredità; un sottobosco con cui i vescovi non hanno propriamente a che fare. Occorreva, e occorre, far intendere “a destra” che si stava facendo un lavoro sporco a pro di molti nemici, e alle “sinistre” cattoliche di essere compromesse proprio con ciò che stavano deprecando.
Il nodo critico dell’Università Cattolica e del Toniolo, e la sconcia ritorsione di qualche anonimo per la sconfitta della parte “cattolico-democratica” in Cattolica, era e resta la dimensione politica della cosa, non gli eventuali peccati e reati di Boffo o qualche oscillazione di “Avvenire”. La volontà di non aggravare il disorientamento palese nel mondo cattolico ha certamente prevalso nella CEI, nella concitazione del dopo 28 agosto; purtroppo, però, a danno del discernimento veridico di quanto stava accadendo, della sua portata non contingente e pubblica (altro che “vizi privati” di un singolo!), e senza poter inibire la eventualità di altri calcoli spericolati e suicidi da ogni parte.

3. Le cose vanno considerate con respiro. Un patologico ipermoralismo da intelligencija invade da mesi, da anni, i quotidiani, i fogli di opinione e i siti della sinistra. L’opinione pubblica cattolica antigovernativa, anche di penna ecclesiastica, ne è coinvolta e si esprime ad esempio nei vaticini allarmistici di nuovo razzismo e fascismo. Il peggio è quando la lettura quotidiana della sfera pubblica è segnata da una discriminazione secondo il valore; e uomini e atti del potere avverso sono trasformati in “inimici” personali, non “hostes” pubblici e politici. Uno sviluppo perverso, entro l’equilibrio della politica occidentale, è che il privato del sovrano diviene politico, contro la dottrina classica dei due corpi del re. Così il privato è spiato non per tutelare alcuno o alcunché, ma per colpire l’avversario pubblico e il suo potere legittimo, tradendo le regole della sfera politica.
Un dualismo gnostico – a piena conferma del celebre teorema di Eric Voegelin – ha prodotto il mito di una presenza malvagia che ha contaminato il paese. L’intelligencija ha vissuto con angoscia la propria sconfitta nell’ultimo quindicennio politico come avvento di un universo alieno, sotto il dominio di un demiurgo inferiore, cieco e malevolente. L’odio dell’intelligencija alla persona del premier è odio ontologico. Anche Boffo era da anni un bersaglio, non minore, di questo odio, tradotto nelle forme e nei linguaggi del conflitto intracattolico.
Aver reso esecutivo da parte del “Giornale”, dunque dal lato di chi governa, ciò che nella prassi dell’intelligencija resta spesso solo un conato impotente di opposizione al Principe, è un tragico errore da non ripetere. Nell’abbondante letteratura sul “fuoco amico” vi è un capitolo importante su come distinguere senza errore, sul teatro delle operazioni, l’amico dal nemico. Sarà opportuno adattare analogicamente quelle tecniche di identificazione alla sfera politica, sperando e operando perché le numerose, e già leggibili, conseguenze dell’aggressione a Boffo possano essere neutralizzate o contrastate.

(Di Pietro De Marco, Firenze).


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"C'est FIni!": Galli, Mieli e la Chiesa

Di Antonio Socci

Voci insistenti sussurrano: “il Cavaliere è convinto che dietro i discorsi di Fini ci sia Paolo Mieli” (ieri un quotidiano lo ha anche scritto). Ma finora è rimasta in ombra la parte ecclesiastica di questo “progetto”. Provo a svelarla.

Che gli intellettuali della generazione sessantottina abbiano sempre aspirato a “dare la linea”, a etero-dirigere i leader politici e il Paese, magari grazie a una corazzata come il Corriere della sera, è risaputo. Ci provarono con Bettino Craxi e andò male perché li liquidò bruscamente come “intellettuali dei miei stivali”. Con Berlusconi il tentativo era impossibile per la sua atavica diffidenza verso quei cenacoli. Con Fini tutto è diverso. La sua ansia di legittimazione e il vuoto culturale che ha alle spalle si presta ad essere riempito (e così legittimato) da queste teste pensanti.

Ecco il senso della campagna di Galli della Loggia e del Corriere sui festeggiamenti per l’Unità d’Italia e sulla mancanza di un vero spirito nazionale nelle classi dirigenti. Costituisce una prima tappezzeria ideologica su cui può essere proiettata l’entrata in scena di Fini come nuovo leader di un centrodestra liberalnazionale (tipo Destra storica), in sostituzione di un Berlusconi che La Repubblica (e ora anche il Corriere) tentano di logorare quotidianamente e infine di affondare.

Una nuova “Destra storica” – questa di Galli e Fini – che ha, come la vecchia, un suo spirito ghibellino e Fini lo ha esibito negli ultimi quattro anni. Tanto è vero che l’altro strano editoriale recente di Galli sul Corriere era dedicato – guarda caso – all’abolizione del Concordato, idea bislacca per cui Galli si è inventato pure un’improbabile legittimazione cattolica, ma che di fatto entusiasma solo i radicali, sempre blanditi da Mieli e oggi tifosi dell’ex leader missino.

Il “trait d’union” intellettuale fra Galli della Loggia e il presidente della Camera pare sia Alessandro Campi, docente all’università di Perugia, collega e amico di Galli nonché “ghost writer” di Fini, forse ideatore pure della sparata che proclamava l’Italia “erede del politeismo” (quello di Nerone).

Ma c’è un altro vuoto che questo circolo intellettuale pensa di riempire per inglobare la Chiesa in quel progetto politico “gallofiniano”: è appunto il vuoto creatosi nella leadership cattolica dopo il pensionamento di Ruini e la defenestrazione di Boffo.

In realtà l’area Mieli-Galli ha avuto un buon rapporto con Ruini, ma per quei temi che riguardano l’identità giudaico-cristiana del’Occidente, per arginare – nel clima dell’11 settembre – quel cattoprogressismo terzomondista che strizza l’occhio all’Islam e detesta Stati Uniti e Israele. Invece il dissenso sui “valori non negoziabili” di Ruini è stato profondo, tanto che il Corriere di Mieli (schieratissimo) fu il vero sconfitto del referendum sulla legge 40 che nel 2005 vide vincitore Ruini.

Un nuovo orizzonte per questi circoli intellettuali e per Fini si apre con la fine dell’epoca Ruini. C’è un antefatto. Quando Bertone è diventato segretario di Stato vaticano ha reclamato il diritto di gestire in prima persona, dal Vaticano, il rapporto della Chiesa con la politica italiana, fino ad allora tenuto in esclusiva dal cardinale Ruini. Si è creato un certo conflitto con la Cei e alla fine ha vinto Bertone grazie al pensionamento di Ruini.

Ma il colpo di grazia è venuto con il “pensionamento” traumatico di Dino Boffo dalla direzione di “Avvenire”, perché Boffo era molto di più del direttore del giornale della Cei. Era lo stratega del ruinismo che puntava a fare dell’Italia il modello del cattolicesimo europeo.

Allora diventa significativo che ad assestare il colpo del ko a Boffo sia stato il direttore dell’Osservatore romano, Gian Maria Vian, parlando quasi come portavoce ufficioso di Bertone, proprio nelle ore successive all’attacco del “Giornale”. Con una intervista al Corriere della sera – pur esprimendo solidarietà umana per l’attacco di Feltri – ha sparato a zero sulla linea di Avvenire.

L’antagonismo fra le due linee si era evidenziata anche sui “valori non negoziabili” durante il caso di Eluana, quando le posizioni della Cei e di Bertone apparvero assai distanti, quanto quelle dell’Osservatore e dell’Avvenire.

In questi giorni altri segnali emergono con chiarezza. Ieri, per esempio, sulla pagina culturale di Avvenire, si poteva leggere che ad un convegno a Milano con Ruini e Galli della Loggia, è intervenuto Vian il quale, commentando le scelte di Ruini dopo la fine della Dc, ha testualmente definito “una sorta di araba fenice il Progetto Culturale di cui ora si incomincia a intravedere qualcosa”.

Qualunque giudizio si dia sul “Progetto Culturale” che ha connotato l’epoca Ruini alla presidenza della Cei, non si era mai visto un direttore dell’Osservatore romano attaccare così, esplicitamente e frontalmente, colui che è stato finora il leader della Chiesa italiana.

E’ solo un episodio? No. Per capire l’ “aria nuova” che tira, anche sui “valori non negoziabili”, basta vedere l’Osservatore del 9 settembre dove è apparso un articolo di Lucetta Scaraffia intitolato “Qual è la vita che difendiamo?”, il cui svolgimento è confuso, ma chiaro nella conclusione, obiettivamente assai critica verso la “cultura della vita” dell’epoca Wojtyla-Ruini.

Citando infatti Ivan Illich, la Scaraffia scrive: “Bisogna riflettere sulla provocazione di Illich: i cattolici devono essere capaci di trasmettere l’amore per la Vita come è intesa nelle parole di Gesù, una Vita che diventa amore per le creature sofferenti, e non continuare a diffondere e sostenere un concetto biologico astratto che è estraneo alla nostra tradizione, che spesso ci rende ideologici e poco credibili”.

Wojtyla è sistemato. Qualcuno potrebbe credere che – per quanto sia singolare leggere questi argomenti sull’Osservatore – si tratti di idee di una singola editorialista. Sennonché la Scaraffia – che, guarda caso, è pure la moglie di Galli Della Loggia – nell’epoca Vian (talvolta con gaffe e scivoloni) esprime un po’ la linea del giornale, come lo stesso Vian ha fatto capire nell’intervista al Corriere.

Di certo questo “nuovo approccio” è molto più compatibile con le posizioni laiciste di Fini rispetto a quello di Ruini. Infatti, emblematicamente, nel pieno del “caso Boffo”, Fini ha tentato una sortita in campo cattolico – a lui precluso da tempo – e al convegno delle Acli ha parlato, come un politico di centrosinistra, sul tema dei diritti politici degli immigrati. Proprio nei giorni in cui Berlusconi era in crisi con la Chiesa, con l’ambizione di soppiantarlo.

A questo punto non stupirà che sempre sull’Osservatore, il 13 agosto scorso, sia apparso un articolo di un intellettuale, di “area Galli”, che fa un monumento a Galli della Loggia stesso per la sua campagna sulle “celebrazioni per l’unità d’Italia” e suona una fanfara risorgimentale un po’ buffa sull’Osservatore, soprattutto laddove dice che “i fattori coesivi della nostra identità” sono “la lingua e il patrimonio letterario”.

Dimenticando la religione che poteva menzionare anche solo citando un risorgimentale cattolico come Manzoni, il quale cantava l’Italia “una d’arme, di lingua, d’altare/ di memorie, di sangue e di cor” (l’altare – almeno sull’Osservatore – vogliamo mettercelo?).

Tutto questo somiglia alla predisposizione di un retroterra ideologico di un nuovo centrodestra post-berlusconiano (che magari torna a inglobare l’Udc): potrebbe andare da Montezemolo alla Scaraffia, con Casini (Fiat Lucetta invece che Fiat lux). E magari Fini al Quirinale. Un disegno ambizioso. Probabilmente velleitario. Che però spiega bene il senso delle parole di Mieli, l’altroieri, al convegno di Milano, dove ha “consigliato” alla Chiesa di “dedicarsi ai laici in dialogo perché il soccombere di questa posizione provoca danni a tutti”.

Dunque se affonda “Papi”, avremo “Mieli Papa” ?


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