venerdì 4 settembre 2009

Riconciliazione storica (click)

Con l'accordo tra Ankara ed Erevan si sgonfia la bolla del genocidio armeno

di 4 Settembre 2009

L’accordo per la normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Turchia siglato pochi giorni fa tra i due governi avrà immense conseguenze e tra queste non ultima vi sarà un’onda di vergogna che ricadrà sul Parlamento francese e su quello europeo che hanno preteso di legiferare – non avendone il minimo titolo e il minimo diritto – sulla verità storica, arrogandosi addirittura il blasfemo diritto di inventare il reato di “negazione del genocidio armeno” per cui uno dei più grandi storici contemporanei (e di tutti i tempi) dell’Islam, Bernard Lewis, è stato condannato.

L’accordo tra Repubblica di Turchia e Repubblica di Armenia contemplerà infatti la formazione di una commissione comune di storici che avranno il compito di esaminare tutti i documenti esistenti e soprattutto di definire una verità condivisa dalle due nazioni sui massacri del 1914-15. Verrà così assegnato agli unici titolari –i due popoli e i loro due stati, le loro due culture e storiografie – il compito di fare luce su quell’episodio atroce della loro storia e chiunque nel frattempo si è arrogato il diritto (da duemila chilometri di distanza e sessanta anni dopo) di stabilire per legge “verità assolute” e pene detentive per chi le neghi, verrà a trovarsi in una posizione meschina e indifendibile (perché meschini e indifendibili erano in realtà i motivi di questa operazione schifosamente – è il caso di usare questo termine- elettoralistica).

Come si sa, l’oggetto del contendere tra turchi e armeni, decantati negli ultimi decenni gli animi e formatosi finalmente lo Stato Armeno dopo la dissoluzione dell’Urss, non è tanto sull’esistenza o meno dei massacri e sulla morte o meno di centinaia di migliaia di armeni di cittadinanza turca nel 1914-15 (morte ammessa dalla parte turca, anche se limitata a “sole” 300.000 persone), quanto la loro finalità. Secondo la comunità armena si è trattato di un genocidio, del primo genocidio del secolo (che avrebbe addirittura ispirato Hitler), della volontà cioè del governo dei Giovani Turchi di uccidere gli armeni in quanto popolo, di estirparlo con la morte dal territorio ottomano. Secondo la storiografia turca, invece, si è trattata di una legittima operazione bellica – lo spostamento lontano dal fronte di scontro con l’esercito russo (cristiano come gli armeni) di una immensa “quinta colonna” che simpatizzava con il nemico russo (dando luogo a vere e proprio rivolte filo russe, come quella di Van del 1914, e organizzando disfattismo e diserzioni dentro l’esercito ottomano), durante il quale sono morte 300.000 persone non per volontà del governo, ma per attacchi di bande di curdi e altre casualità.

Secondo una storiografia equilibrata, che condividiamo in pieno e di cui è totalmente convinto anche Guido Rampoldi di Repubblica, si è effettivamente trattato di un massacro ma non di un genocidio, della volontà determinata di “uccidere gli armenti in quanto armeni” (come fu fatto con gli ebrei nella Shoà), bensì di una clamorosa – e orrenda – operazione di pulizia etnica, che trova le sue motivazioni reali nella dinamica bellica (gli armeni erano effettivamente schierati a fianco dei russi) e che però è trascesa in una pratica di sterminio spesso voluta espressamente dal governo di Istanbul, spesso favorita (l’odio etnico reciproco tra i razziatori e assassini curdi e gli armeni era di lunga e millenaria data). La differenza politica e morale tra i due termini “genocidio” e “pulizia etnica” è immensa ed è su questa, esattamente su questa, che si gioca la difficile partita di definizione della verità condivisa tra turchi e armeni oggi.

Per essere chiari: i giovani Turchi presero esempio per la loro decisione di deportare gli armeni (sfiancandoli e uccidendoli) dal regio esercito italiano che questo aveva fatto durante la guerra di Libia del 1911-13, deportando la popolazione civile della Cirenaica e decimandola durante marce forzate di mesi. Esercito di un Italia democratica e pre-fascista, durante una guerra coloniale che era stata salutata dal socialista Giovanni Pascoli con le parole d’incitamento: “La grande proletaria si è mossa…”. Ma se mai qualcuno osasse definire i massacri compiuti in Libia dall’esercito giolittiano e poi da quello fascista come “genocidio”, l’Italia intera si ribellerebbe perché sarebbe un’onta, un’infamia che macchierebbe la coscienza nazionale e la bandiera nazionale. Altrettanto si potrebbe dire per altri popoli e nazioni –in primis l’Urss staliniana – per gli immensi – e sanguinosissimi – spostamenti di milioni di persone appartenenti alla stessa etnia (con centinaia di migliaia di morti) operati durante le seconda guerra mondiale all’interno e all’esterno del proprio territorio nazionale.

Per di più, a smentire la volontà genocida dei turchi nei confronti degli armeni, la volontà cioè di ucciderli e sterminarli in quanto popolo, vi sono proprio le cifre ufficiali riportate dalle due principali fonti contemporanee che testimoniarono del massacro degli armeni. Arnold Toynbee che viene sempre citato come storico (in effetti è stato uno dei maggiori del ‘900), ma che in realtà sul tema scrisse in qualità di agente del Foreign Office e quindi con una buona dose di parzialità di propagandista bellico, afferma che ben 150.000 armeni (su una popolazione che stima tra 1,6 e 2 milioni), residenti a Istanbul e Izmir, non furono perseguitati. Cifra che Johannes Lepsius (un pastore protestante tedesco) eleva a 205.000 unità.

Per tornare al paragone col genocidio ebraico, che gli armeni rivendicano per le loro vittime, il quadro, trasferito alla Germania hitleriana avrebbe comportato la totale immunità delle decine di migliaia di ebrei residenti a Berlino e Vienna, mentre sarebbero stati sterminati solo quelli della estrema periferia del reich. In realtà, si ha notizia della deportazione di 2.500 armeni di Istanbul, scelti tra i leader e l’intellighentsjia della comunità, a suffragio della tesi di una feroce volontà di pulizia etinca motivata dal timore che la comunità armena agisse – e effettivamente ve ne erano state le prove – come quinta colonna dell’esercito russo.

Insomma, con tutto il più partecipato risepetto per le vittime armene e per i sopravissuti, le ragioni di una Turchia che finalmente è uscita negli ultimi anni dalla negazione totale – e violenta e inaccettabile – di quegli eccidi, ma che rifiuta l’infame appellativo di nazione genocida, paiono solide e ben motivate e scarsamente provata, per converso pare quella volontà di “uccidere gli armeni in quanto armeni”, quindi tutti gli armeni, che giustificherebbe l’accusa genocida. Ma, detto questo, solo per inciso e per chiarire – non per la prima volta – quale sia il punto di vista di chi scrive, va ribadito un punto che riteniamo determinante: la verità storica condivisa non può e non deve essere imposta da parlamenti, non può essere trasformata in legge, ma deve essere affidata innanzitutto al confronto tra i due popoli – turchi e armeni – le loro culture, i loro stati. In realtà il parlamento francese – e quello europeo – e anche il parlamento Usa (che fu però bloccato da G. W. Bush su questa strada, che però Obama stava pericolosamente per intraprendere), nel momento in cui si è proclamato detentore di verità storica e ha addirittura deciso di punire il negazionismo sul genocidio armeno, non sì è mosso per alti ideali. Si è mosso sulla base di bieche e poco onorevoli motivazioni elettorali.

Va infatti ricordato che negli anni ’70 si ebbe una forte ondata di terrorismo armeno contro obbiettivi turchi che provocò decine di vittime in Turchia, così come in Europa. Quegli attentati irrigidirono ancora di più l’intera comunità turca – ovviamente – ma riuscirono nell’obbiettivo di riportare la questione all’onore della cronaca. La fortissima comunità armena dell’emigrazione, che influenza in Francia e negli Usa quote non trascurabili dell’elettorato, pur dissociandosi dai terroristi armeni (ma non sempre e non in toto), riprese così una sua legittima attività di lobbyng sul tema, anche perché nessuno pensava che l’Urss sarebbe crollata e che quindi quella Repubblica armena che essi si aspettavano dal trattato di Sèvres del 1920, si sarebbe ripresentata alla storia con tutta la sua piena e libera sovranità (sia pur parziale, dal punto di vista territoriale).

Il successo di questa attività di lobbyng in Francia e nel Parlamento europeo e la conseguente approvazione della legislazione che proclama verità storica indiscutibile il “genocidio degli armeni” e di conseguenza punisce penalmente i trasgressori, fu però il portato di motivazioni trasversali ai gollisti e ai socialisti di ben misero profilo. Innanzitutto la volontà di ingraziarsi una componente che poteva muovere l’1-2% dell’elettorato (che in un sistema a doppio turno può essere determinante, soprattutto perché concentrata su Parigi e pochi altri centri urbani, quindi con impatto ben più elevato sui singoli collegi) e poi per dare – questo i gollisti – un forte segnale anti-turco, quindi antislamico all’insofferenza nei confronti dell’immigrazione di parte dell’elettorato. Segnale rafforzato dal “no” all’ingresso della Turchia nell’Ue, espresso da queste stesse forze.

Una pagina poco brillante –per meglio dire, vergognosa – del Parlamento francese che ha prodotto una legislazione non solo illiberale, ma che soprattutto ha alimentato una situazione di permanenza di odio e risentimento nella comunità armena nei confronti della Turchia (a cui fa da contrappeso una speculare situazione di odio e risentimento in ampi ambienti della Turchia, va detto), che fa poco onore alla Francia e all’Europa e che ora la coraggiosa iniziativa del presidente turco Gül (che inaugurò una diplomazia del football, andando a Erevan, tra le polemiche, ad assistere ad una partita per i mondiali tra le due nazionali) e che poi ha condotto con l’omologo armeno una lunga e paziente trattativa che ora pare dare i suo frutti. Nel segno della pacificazione e del rispetto reciproco, nonostante la pessima azione di disturbo franco-europea.


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