giovedì 25 giugno 2009

Il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi




Scritto da D. Massimo Lapponi O.S.B.
mercoledì 24 giugno 2009
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Spesso i poeti comprendono i misteri della terra e del cielo meglio dei filosofi e dei teologi.
Se c’è una cosa giusta detta da Nietzsche è la sua affermazione che la virtù deve essere liberata dall’acidità morale. Ora non c’è dubbio che anche il più sfegatato lefreviano non potrebbe sinceramente negare che nel Concilio Vaticano II non c’è più traccia di quell’acidità morale purtroppo prima tanto comune, e che ad ogni pagina dei suoi documenti si sente fremere il desiderio di mettere l’amore al fondo di tutto. Basterebbe questo a far perdonare i tanti difetti di cui, a torto o a ragione, il Concilio è stato accusato, e che tutti si potrebbero riassumere nel suo eccessivo ottimismo sulla situazione del mondo contemporaneo e sul suo vantato “progresso” tecnico e sociale. E’ proprio vero che l’amore redime tutto e che lo spirito di amore che aleggia nei suoi documenti testimonia più di ogni altra cosa la presenza operante del soffio divino dello Spirito Santo!
Ma, come si diceva, i poeti spesso capiscono le cose meglio dei teologi e già da secoli essi avevano anticipato quest’aspetto, così amabile, del Concilio. Mi ricordo ancora l’impressione sgradevole suscitata in me, giovinetto, dalla lettura di un episodio della vita del Santo Curato d’Ars scritta dall’ottimo Mons. Gilla Gremigni, vescovo di Novara e amico di famiglia, in cui si narrava del piccolo Giovanni Maria Vianney che si ritraeva inorridito di fronte all’accenno di una bambinella sua coetanea ad un loro possibile futuro matrimonio. L’autore commentava, compiaciuto, che certamente il Signore dall’alto dei cieli aveva approvato e benedetto il sacro orrore del futuro santo. Istintivamente rimasi poco convinto.
Sempre istintivamente, fin da piccolo fui profondamente colpito e indotto alla riflessione dal testo di un poeta-musicista che ebbi modo di conoscere, grazie a mio padre, ad appena dieci anni. A quell’età infatti il mio saggio genitore mi portò per la prima volta al Teatro dell’Opera per farmi ascoltare il “Mefistofele” di Arrigo Boito. Mi ricordo ancora che il giorno dopo mi sedetti al pianoforte e, con la poca perizia che avevo, mi misi a strimpellare la scena del giardino - secondo atto - leggendola da un vecchio spartito della biblioteca paterna. Più tardi avrei apprezzato maggiormente il terzo atto, anche come messaggio spirituale. Ma, pensandoci bene, nel secondo atto, almeno in un punto, si trova una suggestione forse anche più profonda. Mentre Faust fa la sua corte a Margherita, Mefistofele finge a sua volta di corteggiare Marta, o piuttosto è quest’ultima che accenna ad un corteggiamento. Ma ad un certo punto, ai vaghi accenni di costei, Mefistofele risponde: “Non so, credetelo, che sia l’amor.” Sembrerebbe una semplice affermazione di convenienza mondana, ma a sottolineare che si tratta invece di un doppio senso dalle risonanze di una profondità insondabile interviene il fagotto, che, con il suo timbro cupo, riecheggia il canto di Mefistofele. Con i miei dieci anni capivo benissimo che il poeta aveva perfettamente ragione a far dire al Diavolo: “Non so, credetelo, che sia l’amor”, e se il buon vescovo di Novara avesse introdotto una distinzione teologica tra amore sacro e amore profano, non mi avrebbe affatto convinto.
Che l’amore sia, nella sua essenza, uno solo lo avevano già capito da un pezzo poeti come Dante, Petrarca o Tasso. Così Petrarca, con disarmante semplicità, rivolge alla Vergine Santissima la lode più bella, quando Le dice: “tre dolci e cari nomi ài in te raccolti, madre, figliuola e sposa.” Probabilmente Mons. Gilla avrebbe arricciato il naso, credendo, a torto, di imitare così il Padre Eterno - ma forse è soltanto una mia malignità su quello che, ingenuamente, quando era già vescovo, continuavo a chiamare “Padre Gilla.”
Lo scrittore C.S. Lewis ha affermato una volta che, se potesse, il Diavolo toglierebbe al peccato ogni godimento. Infatti egli non ha nessun gusto a far godere gli uomini ed è costretto a sopportare contro voglia che il peccato sia accompagnato dal piacere. Ciò può avere un senso più profondo di quanto appaia a prima vista. Si potrebbe infatti sostenere che il godimento che accompagna il peccato, appunto perché viene da Dio e non dal Diavolo, sia un richiamo amoroso dell’Onnipotente, che ha disseminato tracce della Sua bontà in tutte le creature per attirare a sé gli uomini. Quasi dicesse: “Chi l’ha fatta questa creatura così amabile? E non saprò io meglio di te, o meglio del tuo peggior nemico, come si deve usare? Usandola male finirai per perderla!”
Se ciò vale per tutte le creature, tanto più varrà per la più bella e più amabile - almeno così dovrebbe essere nel disegno divino! -: la compagna dell’uomo. E certamente se c’è un amore voluto da Dio e che ci fa pregustare l’amore divino è l’amore tra l’uomo e la donna. Mi ricordo ancora che, quando eravamo ragazzetti - ma ragazzetti di altri tempi! - mio fratello mi disse, certamente non imboccato da nessuno, che Dio non aveva annullato, dopo il peccato, l’amore tra l’uomo e la donna - che allora cominciava a sussurrare ai nostri cuoricini non pervertiti, come spessissimo purtroppo lo sono oggi - per lasciare un ricordo del paradiso terrestre. Dopo forse ci siamo un po’ guastati, ma allora certamente non eravamo meno poeti di Dante e di Petrarca!
Racconta sempre C.S. Lewis in un suo scritto autobiografico di essere stato da ragazzo in un collegio in cui vigevano bullismo e omosessualità, e commenta:
“Se chiunque di noi che ha conosciuto una scuola come Wyvern osasse dire la verità, dovrebbe dire che la pederastia, per quanto riprovevole in se stessa, era, lì ed allora, il solo punto fermo o il solo rifugio rimasto contro le altre brutture della scuola. Era il solo antidoto alla lotta sociale; la sola oasi (per quanto verde soltanto di alghe e irrigua soltanto di putride acque) nel bruciante deserto della competitività e dell’ambizione. Grazie ai suoi amori contro natura, e forse solo grazie ad essi, il barone usciva un poco da se stesso, dimenticando per alcune ore di essere Una Delle Persone Più Importanti Che Vi Siano. Il quadro si rischiarava. La perversione era l’unico spiraglio aperto al passaggio di qualcosa di spontaneo e di non calcolato. Dopo tutto, Platone aveva ragione. Eros, per quanto capovolto, insozzato, distorto e putrido, conserva ancora tracce della sua divinità.”
Questa profonda riflessione ci suggerisce che forse il Diavolo, appunto perché è costretto ad usare armi non sue - infatti niente gli appartiene! - e cioè l’amabilità delle creature, potrebbe trovarsi infine ad aver fatto male i suoi conti. Per allontanare gli uomini dal loro vero bene non può far altro che usare… beni veri! Certamente ha interesse a fomentare orgoglio, ribellione, avidità, discordia, ma non ha nessun interesse a risvegliare l’amore, che, per quanto sia degradato, parla pur sempre al cuore di gioia e di felicità - nella quale ha “fede cieca”, “sperando contro ogni speranza”! - e non si adatta a calcoli di alcun genere, ma, quanto più si scatena nella passione insaziabile, tanto più sfugge ad ogni controllo, anela ad una felicità sovrumana, non si accontenta, non obbedisce alla “fredda ragione”, risveglia nel cuore il desiderio di eroismo, di donazione, di qualche cosa che non sa, che va oltre ogni limite e che si misura solo con l’infinito.
Ma come il peccatore, sconvolgendo i piani del Demonio, potrebbe, attraverso il sesso sfrenato, giungere a scoprire, con indicibile sbalordimento, che il “godimento infinito” esiste veramente, anche se in un posto del tutto impensato, così il moralista acido potrebbe essere costretto a scoprire che il peccatore, in fondo, aveva meno torto di lui, o meglio, che tutti e due avevano torto nella loro unilateralità.
Cercherò di spiegarmi meglio. S. Paolo viveva nell’attesa imminente del ritorno di Cristo. Per questo raccomandava il distacco radicale da tutte le cose del mondo: “Il tempo ormai si è fatto breve… perché passa la scena di questo mondo.” In questa prospettiva avrebbe voluto per tutti, o per la maggior parte, la scelta del celibato. Infatti “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.”
Ma poi si vide che la fine del mondo non era così imminente e che la maggior parte delle persone erano portate a sposarsi, anche per portare avanti un mondo che non voleva saperne di finire. Allora le donne cristiane vollero dimostrare a S. Paolo che non era vero che esse costituivano una diversione per il marito, per cui egli si sarebbe trovato diviso. E per questo avevano dalla loro parte non il Paolo teologo, ma il Paolo poeta - a proposito, in questo anno paolino, che volge al termine, mi sembra che nessuno si sia occupato del Paolo poeta! -, il quale, nella seconda lettera ai Corinti, usa questa immagine: “Io provo… per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi ad un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo.” Questa immagine doveva poi essere sviluppata dalla lettera agli Efesini, che probabilmente non è di S. Paolo, ma che respira la teologia e la poesia paoline. Dunque l’immagine poetica dello sposo - Cristo - e della sposa - la Chiesa - ci suggerisce che nell’amore nuziale ci sia un misterioso elemento divino, che non soltanto non distrae da Cristo, ma avvicina a Lui. Ciò sarà tanto più vero quanto più la sposa sarà santa. Come dice S. Pietro, parlando dei mariti non credenti: “se alcuni si rifiutano di credere alla Parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa.” Questo rovesciamento di prospettive era destinato ad un glorioso avvenire, che avrebbe portato la donna cristiana agli apici della santità e dell’onore.
Un’analoga evoluzione, con un certo rovesciamento di prospettiva, si potrebbe verificare oggi. I preti una volta potevano permettersi di ignorare un po’ il “pianeta donna” - ricordiamoci, ridendo, dello “scandalo” di un tempo per le “donne in pantaloni”! Ma oggi il sesso “debole” si è fatto valere e ha messo sul tappeto tutte le sue “armi”, tanto che, anche non volendo, bisogna fare i conti con esse. Che fare? Bisogna rinunciare alla “castità sacerdotale”? Questo mi sembra un po’ una sconfitta, una perdita di qualche cosa di troppo prezioso. Piuttosto bisogna approfondire i sentimenti e i pensieri. La “poesia” della lettera agli Efesini ci può illuminare: “In Lui ci ha scelti” dice il testo apostolico “prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati nell’amore.” Dunque l’amore più grande va congiunto con l’immacolatezza. Ciò significa che una purezza “frigida” non è una vera purezza e che un amore “impuro” non è un vero amore. Più grande è la purezza, più si apre spontaneamente all’amore, e più grande è l’amore, più aspira alla purezza, alla castità, alla verginità. L’amore più grande è l’amore verginale di Maria, “madre, figliuola e sposa” più di ogni altra figlia di Eva.
Dunque il sacerdote non sarà più - se mai lo è stato - quello che non ama - e che non ama la donna in particolare - ma quello che ama troppo per cercare un amore carnale - e non mi dispiace dire questo all’inizio dell’anno sacerdotale -, e gli sposi cristiani non saranno quelli che usano la “pillola blu”, ma quelli che imparano dal sacerdote ad amarsi, nel loro proprio ordine, in modo essenzialmente non carnale - e ciò sempre non perché amano di meno, ma perché amano di più.
“Questo cerca delle scuse!” direte. Infatti!.. Ma, scuse o non scuse, non sarebbe assai bello che tutto l’incendio che ha scatenato Belzebù si risolvesse infine in un risveglio di amore verginale, apostolico, monogamico, spirituale? “Vo’ che la tua bontà, dolce Signore” cantava Santa Teresa del Bambin Gesù, “mi faccia dopo ciò morir d’amore… La dolce fiamma ti ricorda, o Dio, onde volevi accendere ogni cuor! Questa fiamma l’hai messa nel cuor mio, ed il ne voglio effondere l’ardor!”
La fredda ragione parlerà di illusioni e di utopie. Ma il Demonio, con il “pandemonio” che ha messo in piedi, ha messo fuori gioco la “fredda ragione” - d’altra parte fin dall’inizio non è poi stato tanto “ragionevole” a voler mettere il suo essere “creato” al posto di chi lo aveva creato! E quindi qui tutti i calcoli vanno a rotoli!
Come suggerisce il titolo di queste riflessioni, spesso il Diavolo fa le pentole, ma non i coperchi!

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