giovedì 11 giugno 2009

La retorica anti-italiana serve a Gheddafi quanto gli accordi economici (click)


11 Giugno 2009

Gheddafi ha sorpreso ancora una volta. Quando tutti si aspettavano semplici parole di riconciliazione il leader libico ha trovato modo di far ricordare agli italiani le malefatte compiute in Libia in epoca coloniale appuntandosi la fotografia di Omar al Mukhtar al petto. Ha sorpreso ancora una volta, come seppe farlo con la confisca di tutti i beni e la successiva espulsione degli italiani dalla Libia nel luglio del 1970. Allora il Colonnello volle accreditarsi presso i libici come continuatore di quella politica di liberazione dalla presenza italiana intrapresa nel periodo coloniale da Omar, l’insegnante cirenaico che aveva guidato i suoi fedeli seguaci, compreso il padre di Gheddafi, nella resistenza contro gli italiani che ebbe termine solo con l’impiccagione di Omar nel 1931. Gheddafi aveva allora bisogno di un “mito fondante” della propria nazione. Necessitava di un gesto forte che lo rendesse popolare e insieme lo imponesse come leader autoritario all’interno del Consiglio Rivoluzionario.

La storia del colonialismo italiano in Libia rimane poco conosciuta da noi. È ben conosciuta in Libia, invece. Le brutalità furono forse solamente un capitolo nella lunga storia dei rapporti italo-libici e l’opera di colonizzazione italiana ebbe anche risvolti positivi per il Paese. Se Gheddafi si serve cinicamente di quelle vicende, come ha sostenuto Sergio Romano, non abbiamo però il diritto di sorprenderci. Anche i nazionalisti italiani fecero altrettanto con le loro campagne anti-austriache dopo l'impiccagione di Oberdan.

L’anelito rivoluzionario verso una società diversa, come auspicata nel Libro Verde da lui scritto, e il mito della lotta contro l’italiano, individuato in Omar, non sono fini a se stessi. Anzi, dopo l’obbligata rinuncia al “nemico esterno”, identificato nell’Italia colonialista e nell’America imperialista, questi sentimenti sono rimasti come fonte principale di legittimità del regime in un paese che, prima dell’arrivo di Gheddafi, era pressoché privo di una identità nazionale definita.

La visita è proseguita tra le proteste dei radicali e di parte della sinistra. Curioso a questo proposito pensare che proprio negli anni Settanta la sinistra applaudiva il Colonnello per il suo anti-colonialismo e oggi lo osteggia perché è un dittatore. In parte il governo ha ceduto alle pressioni della minoranza e il discorso del Leader che doveva essere tenuto al Senato sarà tenuto in una sala attigua. Sulla questione il Pd si è spaccato e D’Alema, che aveva lavorato all’accordo tra i due paesi prima di Berlusconi e che sente giustamente anche come propri i meriti, si è giustamente risentito. Può essere opinabile se sia politicamente opportuno che Gheddafi parli al Senato, ma se l’invito era stato fatto, seppur con una valutazione forse precipitosa, appare altrettanto inopportuno dirottare l’ospite in un luogo secondario o trasformare una visita che si profilava bi-partisan nell’ennesima battaglia di politica interna.

Queste le ombre del viaggio di Gheddafi. Ma gli aspetti positivi di una “partnership strategica”, sanciti con la visita, sono talmente rilevanti – a cominciare dalla questione petrolifera – da poter far soprassedere anche a queste scaramucce. L’Italia si è impegnata alla realizzazione di progetti infrastrutturali di base per 5 miliardi di dollari, ma l’esecuzione dei lavori verrà affidata ad imprese italiane, con fondi direttamente gestiti dall’Italia. I soldi dati alla Libia in pratica ritorneranno per buona parte nelle tasche di aziende italiane, seppur in 20 anni. Per questo le imprese italiane si stanno dando un gran da fare per un posto in prima fila negli incontri di questi giorni. Inoltre quanto la Libia sia importante nell’economia italiana lo si è visto con l’ingresso dei fondi sovrani libici in diverse aziende di casa nostra, a cominciare dalla collaborazione nel “salvataggio” di Unicredit dello scorso ottobre.

Il pentimento e il senso di disagio per le malefatte del colonialismo italiano espressi da Berlusconi permetteranno di instaurare una nuova relazione economica privilegiata basata su un rapporto di complementarietà economica. I rilievi che oggi vengono mossi all’accordo fanno leva sull’inaffidabilità di Gheddafi: il leader libico, in questa visione, sarebbe poco disposto a rispettare i patti sottoscritti con il paese che ha violato irrimediabilmente la dignità della Libia. A queste ricorrenti obiezioni la miglior risposta è venuta proprio dalla firma di un accordo capace di comprendere e dirimere le controversie più importanti tra i due paesi e che quindi di fatto limita la possibilità di revanscismo futuro della Libia. Nelle occasioni in cui i due paesi hanno stipulato accordi basati sulla reciproca convenienza, come quelli sul petrolio, la Libia si è rivelata un partner sostanzialmente affidabile. Se la Libia vorrà avere questi finanziamenti dovrà rispettare i patti.

La retorica anti-italiana potrà rimanere comunque una costante di Gheddafi, ma sarà solamente strumentale al piano interno perché la vena anti-colonialista resterà intrinseca alla “rivoluzione” libica e continuerà a costituire una chiave di volta della sopravvivenza stessa del regime. Tuttavia sarà svuotata di richieste specifiche e difficilmente potrà essere riproposta qualche rivendicazione come condizione al mantenimento di buone relazioni.

1 commento:

ambra ha detto...

Se tu fossi ancora fra noi Pierluigi, quali commenti faresti ?
Mi manchi.