lunedì 8 settembre 2008

AFGHANISTAN - I CADUTI E I FERITI DEL CONTINGENTE ITALIANO (click)

Il fallito attentato di oggi a Herat e' solo l'ultimo di una
lunga lista di attacchi e incidenti che hanno causato 11 morti
vittime nel contingente italiano in Afghanistan. Questo e' un
elenco dei caduti e dei feriti italiani sul fronte afghano:

2004
- 3 ottobre: un mezzo su cui viaggiavano 5 soldati esce
di strada uccidendo il caporal maggiore Giovanni Bruno, mentre
altri quattro militari restano feriti.

2005
- 3 febbraio: un velivolo civile in volo da Herat A
Kabul, precipitava a 60 Km sud est dalla capitale, in zona di
montagna. Sul volo era presente il capitano di vascello Bruno
Vianini effettivo al Comando Interforze Operazioni Forze
Speciali, in
servizio presso a Herat.

- 11 ottobre: a causa di un incidente mortale, perde la
vita il caporal maggiore capo Michele Sanfilippo.

2006
- 5 maggio: a seguito dell'esplosione di un ordigno al
passaggio di una pattuglia del contingente, perdevano la vita
il capitano Manuel fiorito e il maresciallo capo Luca
Polsinelli.

- 2 luglio: il colonnello Carlo Liguori perdeva la vita a
seguito di un malore.

- 8 settembre: quattro soldati a bordo di un mezzo in
servizio di pattuglia restano feriti dall'esplosione di un
ordigno posto sul ciglio della strada a Farah
- 20 settembre:in un incidente stradale a Kabul, perse
la vita il caporal maggiore Giuseppe Orlando.

- 26 settembre: a seguito dell'esplosione di un ordigno
al passaggio di una pattuglia del Contingente, nel distretto di
Chahar Asyab, circa 10 km a sud di Kabul, perdeva la vita il
caporal maggiore capo scelto Giorgio Langella e
successivamente, il
caporal maggiore Vincenzo Cardella.

2007
- 14 maggio: due militari italiani sono feriti
leggermente vicino a Herat dalla deflagrazione di un ordigno.

- 21 agosto: tre militari restano feriti nel corso di
un atterraggio di emergenza effettuato a sud-est di Kabul
dall'elicottero su cui erano in missione a causa di un guasto
tecnico.

-24 novembre: un kamikaze si fa saltare in aria a
Pagman, a 15 chilometri a ovest di Kabul uccidendo il
maresciallo capo Daniele Paladini
2008
- 13 febbraio: in un scontro a fuoco nella valle di
Ezeebin nei pressi di Rudbar a circa 60 chilometri dalla
capitale venne ucciso il maresciallo Giovanni Pezzullo.
(AGI) - Roma, 7 settembre -

1 commento:

Luchy ha detto...

Lo lascio qui, mi sembra più opportuno che aprire un nuovo titolo.

Ciao, buona giornata, saluta Ilda e Luciano.
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lunedì 08 settembre 2008, 07:00
Ecco come i nostri «Rambo» mettono alle corde i talebani



di
Gian Micalessin
Fausto Biloslavo

da Farah (Afghanistan occidentale)

«Credete ad un ufficiale incursore: ormai anche i talebani hanno imparato la lezione, sanno riconoscerci, sanno che se si mettono contro di noi le pigliano fino a quando non respirano più».
I talebani li chiamano semplicemente «mostri». Distinguono il rollio silenzioso dei veicoli, riconoscono quei blindati giganti capaci di navigare a fari spenti nella notte, di galleggiare su maree di polvere e sabbia, d’infiammare il deserto a colpi di mitraglia e lanciagranate. E si tengono alla larga.

Per la prima volta ci siamo dentro anche noi, due giornalisti blindati nel guscio cigolante di kevlar e acciaio, tra lo sfavillio dei computer e il gracchiare sommesso della radio. I «mostri» sono una decina di blindati allungati nel deserto di vento e polvere della provincia di Farah, nel cuore dell’Afghanistan occidentale. Dietro la corazza di quei dieci Lince, il mezzo italiano studiato per resistere a mine e trappole esplosive, avanza un distaccamento della Task Force 45, il fior fiore dei nostri reparti d’elite. «Fino a qualche mese fa - ammettono dal comando di Herat, sorvolando amabilmente sulle censure del governo Prodi – l’attività di quella unità era un X file, la Task Force 45 ufficialmente non esisteva, voi siete i primi giornalisti a vederla in azione».

I fantasmi della Task Force 45 incaricati di bloccare l’infiltrazione dei talebani provenienti dal confine pachistano a sud e dalle provincia più orientale di Helmand sono meno di duecento uomini selezionati principalmente tra le fila del Nono Reggimento Col Moschin e integrati da incursori della Marina, alpini paracadutisti, carabinieri del Gis e forze speciali dell’Aviazione. Abituati a operare in stretto coordinamento con le forze speciali alleate, questi specialisti della guerra hanno partecipato, all’insaputa di gran parte degli italiani, a tutti gli scontri più importanti degli ultimi due anni. «A Farah ogni operazione dei talebani, dalla posa di trappole esplosive agli attacchi contro di noi, è coordinata dai comandanti che dalla città di Quetta in Pakistan decidono la strategia di penetrazione nel settore occidentale», spiega a Il Giornale un ufficiale responsabile dell’intelligence.

Questo fa di Farah la più insidiosa delle quattro province occidentali sotto comando italiano. «I numeri parlano chiaro, solo quest’anno abbiamo affrontato una ventina di scontri a fuoco, abbiamo recuperato tre mezzi distrutti dalle trappole esplosive e abbiamo neutralizzato almeno altri cinque ordigni pronti a colpire i nostri mezzi. Insomma, qui a Farah – spiega il comandante Enrico mentre scruta la pista attraverso i visori notturni - si opera in una situazione di pericolo costante e reale, siamo stati fortunati ad aver avuto soltanto dei feriti, per proteggerci Dio ha veramente fatto gli straordinari».

La buona sorte della Task Force 45 è fatta anche di tecnologia e professionalità. Mentre avanziamo inseguendo nei visori notturni la scia di capsule cyanolight agli infrarossi infilate sul retro dei Lince, i computer di bordo sgranano sulla mappa digitale gli sfavillii bluastri captati dal satellite responsabile dell’identificazione di tutti i veicoli alleati. «Incrociando un altro convoglio a luci spente si rischierebbe il classico fuoco amico, invece così – spiega Enrico - sappiamo sempre cos’abbiamo davanti». Quando s’incontrano i talebani, com’è successo al capitano Vince durante un’operazione nel Gulistan, una regione di deserto e montagne a nord-est da qui, non è altrettanto facile. «Era l’imbrunire, eravamo fermi davanti alle montagne per montare i visori notturni e all’improvviso, mentre il sole cala, vedo delle vampate tra le cime... Qualche decimo di secondo dopo sento il crepitio, vedo gli sbuffi di sabbia ai nostri piedi. Michele mi crolla davanti, si tiene il braccio, urla “m’hanno beccato”... Intanto quelli aprono il fuoco con le mitragliatrici pesanti e i razzi Rpg...

Insomma, siamo nel pieno di un’ imboscata, così salgo sulla torretta e impugno il lanciagranate. Mentre sto per premere il grilletto mi ricordo di Michele.... È ancora a terra, in mezzo ai colpi, in un attimo scaccio via il pensiero, sono addestrato... So che per salvarlo devo rispondere, non concedere tempo al nemico, imporre la superiorità di fuoco. Afferro il lanciagranate, faccio tre colpi, taro la distanza, poi li sommergo sotto una trentina di granate da 40 millimetri. I miei compagni intanto li martellano con le Browning da 50 millimetri. Il fuoco nemico smette in meno di un minuto. Quando ridiscendo scopro che anche Michele ha obbedito all’addestramento da incursore. Si è tirato dentro al suo mezzo, è salito in torretta, ha tentato di mettere il colpo in canna con il braccio ferito, ma è svenuto dal dolore. Quando arrivo a soccorrerlo è ancora lì, piegato e insanguinato davanti alla mitraglia che si scusa per non aver fatto il suo dovere. Tra incursori è così. In ogni operazione siamo sempre troppo pochi e chiunque riesce a combattere è prezioso per salvare i suoi compagni».