domenica 1 giugno 2008

ESISTONO ANCORA TRIBU' PRIMITIVE

Quando incontrai gli uomini rossi di ALESSANDRO SALLUSTI
Ho visto gli uomini rossi, ultimi primitivi barricati nel cuore della foresta amazzonica. Ho vissuto quattro settimane con una tribù simile a quella individuata nei giorni scorsi e i cui componenti sono stati immortalati mentre impauriti sparavano frecce per difendersi da un elicottero che li sorvolava a bassa quota. È accaduto anni fa. Un reportage per il settimanale "Il Sabato". Ho visto le fotografie pubblicate ieri da tutti i quotidiani del mondo. Nulla è cambiato. L'Amazzonia dunque. Un sogno ma anche un incubo. Le antiche mappe degli esploratori riportavano, nella zona compresa tra il Rio Negro e il Rio Orinoco, un immenso lago salato il reportage Ho visto gli uomini rossi Quel mondo resiste ancora Ho incontrato gli Yanomami, indios del nord del Brasile. Vivono nell'età della pietra, in grandi capanne comuni. Non sanno contare e tengono nascosto il loro nome chiamato Parime, sulle cui rive doveva sorgere una città tutta d'oro: la dimora di El Dorado. Donne guerriere, le Amazzoni, impedivano a chiunque di avvicinarsi. La leggenda ha resistito per secoli alla sete di certezze dell'uomo bianco e ancora oggi, nonostante i satelliti l'abbiano sfatata, un alone di mistero aleggia sulla foresta delle Amazzoni. La luna, la freccia, la goccia di sangue

Serpenti lunghi anche dieci metri, piccoli insetti dal morso mortale, felini feroci e acque putride, una vegetazione così fitta da essere impenetrabile, uomini primitivi e guerrieri: con queste armi la foresta si è difesa metro su metro dall'avanzata del progresso. Ma ha perso tutte le battaglie. Tranne una, perché un manipolo di uomini sta inconsciamente ancora difendendo la leggenda del lago dorato. Ed è lì che mi sono diretto per incontrare ciò che rimane del popolo degli Yanomami, gli unici indios che vivono ancora all'età della pietra. Era luglio. Lì era inverno: trenta gradi di temperatura, la pioggia che cade in continuazione ma che ti sembra di non sentirla tanto è l'umi dità naturale dell'aria. Sei bagnato sempre, comunque. Un'ora di volo su un piccolo aereo decollato da Manaus e un rocambolesco atterraggio su uno spiazzo nel cuore della foresta. Due capanne, un missionario e nulla più. Lui si chiama padre Guglielmo D'Amioli, bresciano. Era lì da otto anni. Lui li conosce gli uomini primitivi che vivono a due giorni di marcia. Non ha cercato di evangelizzarli, di contaminarli. Li ha avvicinati con prudenza e rispetto. Ha imparato i loro usi, è riuscito nel tempo a capire qualche cosa della loro lingua arcaica. L'approccio e il primo incontro

Ed era l'unico biglietto da visita per avvicinare questa gente che non conosce la scrittura, che si tramanda le conoscenze per via orale, che avrebbe inventato l'arco, che pensa alla Terra come a una immensa foresta piatta, che si crede generata da una goccia di sangue della Luna colpita da una freccia, che non ha la percezione del tempo, del passato, del futuro, delle ore, degli anni, delle quantità e delle distanze. Non conoscono neppure i numeri e l'unica differenza è tra uno e più di uno. Il primo uomo rosso che mi trovai di fronte mi scrutò per quasi mezz'ora senza proferire una sillaba. Io paralizzato, lui che mi girava intorno. È alto circa un metro e sessanta, carnagione olivastra, un fisico asciutto ma uno stomaco dilatato dalla verminosi. Ricordo una testa grossa, il naso schiacciato, le labbra gonfie, due occhi neri come i capelli tagliati a caschetto, gli zigomi marcati dipinti di rosso come pure le braccia e parte del petto. È completamente nudo. Il suo nome è un segreto, un espediente per evitare che gli spiriti maligni conoscendolo possano evocarne la morte. Lui è il capo. Il capo non viene eletto né eredita la carica: si impone naturalmente per le sue capacità di individuare i posti migliori per la caccia. Il giorno che più nessuno lo segue decade. La tribù, una trentina di persone in tutto, vive tutta sotto lo stesso tetto. La capanna ricorda un tendone da circo. Perfettamente rotonda, ha un diametro di una trentina di metri ed è alta circa dieci. L'intelaiatura è in tronchi di legno e il rivestimento, a perfetta tenuta d'acqua, è fatto con grosse foglie intrecciate e rinforzate con bambù. Per costruirla ci mettono circa tre settimane. Alla capanna si accede da due pertugi stretti e bassi uno opposto all'altro. All'interno è buio, il fondo è diserbato e ricoperto da una terra rosso mattone. Al centro c'è un grande braciere per la cottura del cibo comune e un tronco cavo pieno di un liquido ricavato dalle banane fa da abbeveratoio. Tutto attorno, lungo la circonferenza, sono sistemate le famiglie con un braciere più piccolo e le amache intrecciate con fili di cotone. Un posto a parte è per lo sciapuri, il sacerdote, l'unica persona in grado di entrare in contatto con gli spiriti buoni e malvagi della foresta e a convincerli, sotto l'effetto di potenti droghe, a cambiare il corso delle cose. Lo vedo: è un uomo scheletrico, si dondola dentro la sua amaca con sguardo assente. L'unica legge è la sopravvivenza

E poi i bambini che vengono avviati al matrimonio già ai quattro anni. È quello il momento in cui le famiglie delle piccole scelgono il futuro sposo. Il prescelto abbandona i genitori e diventa parte della nuova famiglia, per la quale lavorerà e caccerà fino al matrimonio. Una volta sposato l'uomo è libero di scegliere altre donne, anche se fondamentalmente si tratta di una comunità monogama. Molti neonati vengono uccisi al momento della nascita. È la legge della sopravvivenza nella foresta dove l'uomo in alcuni periodi non è in grado di cacciare a sufficienza per una famiglia numerosa e la donna, che partorisce un figlio dietro l'altro, non è in grado di allattare più di tre piccoli alla volta. Ho assistito al rito dell'uc cisione: il neonato viene strozzato con il cordone ombelicale e il suo corpo gettato là dove la macchia è più fitta. Per loro questi sono figli mai nati ai quali viene negato anche il funerale che è uno dei riti più importanti: il corpo del defunto viene avvolto in posizione fetale dentro un tappeto di fogli, il feretro viene portato in processione dentro la foresta e appeso tra due alberi. Lì vi rimarrà per un mese perdendo tutti i liquidi, poi le ossa vengono bruciate su un falò che libera lo spirito dal corpo. Se in vita l'uomo fu libero il suo spirito volerà sopra la foresta, altrimenti vagherà disperato nella macchia. Tutta la vita della tribù ruota attorno al rito della caccia. Con le primi luci gli uomini lasciano la capanna e vanno alla ricerca di cibo. L'arte della caccia e del ritorno

Si muovono in gruppo armati di frecce, cerbottane e lance. I più robusti portano sulle spalle degli zaini di corteccia stracolmi di timbo, un'erba avvelenata che servirà per la pesca. Mi sono inoltrato anche io nella macchia, con quindici uomini rossi. Si avanza in fila indiana lungo un sentiero appena segnato. Loro scalzi e nudi procedono in silenzio apparentemente disattenti ai mille rumori della foresta. Basta che uno di loro si fermi che tutto il gruppo lo imita dando vita a un presepe di immobili statuine. In realtà le loro orecchie raccolgono e decifrano ogni più piccolo fruscio. Non parlano, si trasmettono messaggi con gli occhi e con il movimento delle mani. Quando accade è possibile che qualcuno abbia percepito il sibilo dello jararaca, un serpente cobra velenosissimo che miete decine di vittime, oppure che abbia fiutato la presenza di un'onsa, simile alla tigre e altrettanto pericolosa. Può capitare che in queste occasioni uno di loro armi lentamente l'arco e che l'aria venga squarciata dal fischio pungente della freccia che si stacca e vola verso la preda. Ricordo una volta un urlo prolungato e poi il tonfo di un corpo: era una piccola scimmia rimasta isolata dal branco, primo bottino della giornata. Nelle battute di caccia si cammina per ore tra frecce che volano e in quelle di pesca negli stagni che vengono chiusi con fascine, riempiti dell'erba velenosa che toglie ossigeno all'acqua fino a far saltare fuori i pesci che vengono infilzati con le lance. Poi il ritorno, a volte anche dopo giorni, ripercorrendo millimetricamente il tragitto dell'andata. Un innato senso dell'orientamento e una ferrea memoria visiva permettono agli uomini rossi di non perdersi mai, di riconoscere ogni tronco e ogni cespuglio della foresta. A dieci anni un bambino è in grado di camminare per due giorni in zone sconosciute compiendo un cerchio perfetto e risbucando esattamente nello stesso punto da cui era partito. Questo ho visto, alcuni anni fa. La scoperta documentata dalle fotografie pubblicate ieri mi fa sentire contento. Quel mondo tanto antico e misterioso ancora resiste.

.ANCORA 40 TRIBÙ INTATTE

La tribù degli Yanomani nel nord del Brasile, al confine con il Venezuela. A lato la famosa immagine degli indios di una tribù appena scoperta che lanciano frecce verso l'elicottero che li ha individuati. Si calcola siano circa 40, in Brasile, i gruppi indigeni che ancora non hanno stabilito contatti con il mondo esterno.

1 commento:

Crystal ha detto...

Ho sentito in TV che sono autoimmuni nei confronti del veleno dei serpenti.