mercoledì 30 gennaio 2008

Catone

12-10-2000, 08:03
shelburn

Cari amici,
permettetemi di riportare un brano, scritto da una persona che vuole restare anonima, per cui, dato che lo condivido appieno, lo firmo io al suo posto, senza prendermi il merito di averlo scritto.
Ringrazio il giovane, gentile (e secondo me geniale) autore di questo pezzo, che sottopongo alla vostra attenzione:

L’economia schiavistica nell’Italia repubblicana
(da Il mondo antico e medievale, di E. Cantarella e G. Guidorizzi)
.. omissis ..
<< Il padrone, scrisse Catone nel De agricoltura, deve eliminare un arnese rotto, uno schiavo vecchio e uno schiavo malato >>

Catone fu disumano verso gli schiavi?
A giudicare dalla frase con cui finisce il paragrafo precedente, Catone fa la figura di un freddo e cinico serial killer autorizzato. Ma siamo sicuri che abbia veramente inteso dire quello che gli viene attribuito? La cosa non mi convinceva, non era nel carattere del personaggio. Per me, proiettato nel futuro, figlio delle tecnologie e di internet, Catone era il simbolo di un uomo ancorato al passato, quindi certamente diverso da me.
Catone fu un ostinato difensore del mos maiorum, delle tradizioni dei padri, censore per antonomasia, strenuo difensore della parca virtù romana contro l’inarrestabile avanzata dell’ellenismo, la cui cultura raffinata si opponeva alla rozzezza romana (a quei tempi la letteratura romana era quasi inesistente, dove c’era qualcosa non era romano de Roma, e comunque quella cultura era estranea al modo di essere romano) con la sua bellezza, la sua ricchezza, ma anche i suoi vizi, il malcostume, la corruzione.
Per capire cosa rappresentò Catone, bisogna pensare che Tito Quinzio Flaminino, ricco e potente patrizio romano, con grande abilità politica e militare, aveva trionfato in Grecia, contro il macedone Filippo, un risultato impensabile solo pochi anni prima. La vittoria contro la Macedonia, perfezionata poi da Paolo Emilio a Pidna, fu quella che più di ogni altra portò ricchezze a Roma. La Macedonia infatti, dopo le vittorie di Alessandro Magno, era lo stato più ricco e potente del mondo. Catone, plebeo di Tusculum, in qualità di censore, fece espellere dal Senato T.Q. Flaminino, il liberatore della Grecia! Questo non fermò l’ellenismo, però è difficile vedere il buon censore, simbolo di una virtù magari culturalmente inferiore a quella greca, ma saldamente ancorata ai valori tradizionali, nei panni dell’insensibile, freddo, disumano eliminatore di schiavi inservibili…
Quando una cosa non mi convince, mi documento.
Così mi sono procurato, e non è stato facile, il De agri cultura, dove, e ci voleva poco, ho subito capito il vero senso in cui fu detta quella famigerata frase. Basta leggere il paragrafo 2.7 che recita testualmente:
Auctionem uti faciat: vendat oleum, si pretium habeat; vinum, frumentum quod supersit, vendat; boves vetulos, armenta delicula, oves deliculas, lanam, pelles, plostrum vetus, ferramenta vetera, servum senem, servum morbosum, et si quid aliut supersit, vendat. Patrem familias vendacem, non emacem esse oportet.
(Faccia vendite all’asta: venda l’olio, se ha un prezzo; venda il vino, il frumento che sia di più; venda i buoi invecchiati, gli armenti e le pecore in cattivo stato, la lana, le pelli, il carro vecchio, i ferri vecchi, il servo vecchio, il servo che si ammala spesso, e se qualche altra cosa gli sia di più, la venda. Occorre che il capo famiglia sia venditore, non compratore.)
Si noti l’insistenza sul vendere; di eliminare non si parla proprio. Chi ha voluto subdolamente far apparire Catone come un mostro, forse per fare scandalo, oltre a trasformare il vendere in eliminare, che è tutt’altra cosa, si è ben guardato da far figurare parole come olio e vino, che non si buttano via, ma ha messo solo un arnese, e non lo ha definito vecchio, ed una cosa vecchia è comunque vendibile, ma rotto… chi compra un arnese rotto? Quindi la volontà di mistificare il pensiero di Catone è più che evidente!
Catone forse non fu un lupetto dei boy-scouts, e certamente il suo modo di pensare è più vicino al mondo imprenditoriale, che non a quello sindacale, ma quando si vende c’è un compratore, non la morte. E il senso del paragrafo è nel realizzo di qualsiasi cosa che si possa vendere, ma che comunque abbia un valore, almeno agli occhi di un compratore.
Non è molto diverso, credo, l’intento di quelle squadre di calcio che vendono giocatori vecchi o male in arnese… non mi sembra un crimine.
Nel De agri cultura si respira però tutt’altra aria, come si potrà vedere dagli esempi che citerò, e che chiunque può verificare sull’originale:
Par. 4.1, …omissis…Vicinis bonus esto: familiam ne siveris peccare. (Sii buono con i vicini: non permettere ai tuoi schiavi di comportarsi male [con loro]), seguono delle frasi che vogliono dimostrare che comportarsi bene con i vicini, in ogni caso, è conveniente; questo atteggiamento non implica falsità o malafede, anzi, è tipico di chi è buono di natura voler convincere chi non è buono che in fondo vale la pena di comportarsi bene, e che essere buoni ripaga.
Par. 5,1 Haec erunt vilici officia: disciplina bona utatur. Feriae serventur. Alieno manum abstineat, sua servet diligenter. Litibus familia supersedeat: si quis quid deliquerit, pro noxa bono modo vindicet.
(Questi saranno i doveri del massaro: sia di retti principi; sia osservante delle festività; tenga la mano lontana dalla proprietà altrui, curi con diligenza la propria; impedisca liti fra gli schiavi: se qualcuno avrà commesso una mancanza, lo punisca secondo la gravità della colpa, ma bono modo.)
Par. 5,2 Familiae male ne sit, ne algeat, ne esuriat: opere bene exerceat: facilius malo et alieno prohibebit. …omissis…
(Non sia fatto male agli schiavi, non soffrano il freddo, non soffrano la fame; li tenga sempre impegnati in qualcosa di buono: più facilmente [così] potrà tenerli lontani dalle cose altrui e dalle azioni cattive.)
Credo che tanto basti per dimostrare che lo spirito con cui è stato scritto il De agri cultura non è quello che si è voluto far credere. I militari moderni cercano di tenere sempre impegnati i soldati, e non credo che li si possa accusare di essere dei mostri per questo. Il ruolo degli imprenditori moderni illuminati non mi pare così lontano da certe frasi lette qui… il tutto è distante mille miglia dal concetto di eliminare lo schiavo non più utile…
Per quanto lontano da me su molte posizioni, ho scoperto così che Catone mi è vicino nel ritenere, e nel voler convincere gli altri, che vale più la pena di fare il bene che fare il male, anche perché il bene ripaga più del male. Non credo che Cantarella e Guidorizzi abbiano personalmente visto e tradotto l’originale di Catone, che come ho detto è di difficile reperibilità, ma hanno riportato la frase di non sappiamo chi, ignoto autore di questo falso scandalistico. Spero però che nelle prossime edizioni del loro libro, peraltro pregevole, vorranno tenere conto di questa mia fatica.

3 commenti:

duepassi ha detto...

suanshenna, fontha vintizon tauan, suankontishaa
Cato
fontha vintizon, konfor, konvintishaa, fara tauan a suaan
shelburn

She tuue kemi,
samen sho makeel timeferatan an toniflan, tonaar al an persi iy ton maranunshu beezetal, ponnon, andaar kuan lon thunkeray tueeneven, lon taltonay sanne u fine sheri, bez chapazan iy hakson lon hatan tonaar.
Shomay iy venche, meelivan (a vinte san farthane) fori un tehen fla, men kerevuzay u vessi kava:

Iy lethesur armeezha val iy liduaani Itaalia
(eton “Iy norman a bani evone kipsi”, un E. Cantarella a G. Guidorizzi)
.. envuzemaisur ..
<< Iy tuuron, tonus Cato val iy “De agricoltura”, fechevundu an varuzaar suppin, an tare lethes at an klefidi lethes >>

Cato sus sunpu envauki keban ee lethes ?
Namaisur eton iy fauka gi ton vegu iy koreser komokon, Cato fu iy finchi un an stude a huundigan valuzaar tazenni luperian. Saune deemo kale kuan hun jendeven shannar sevazan ven kuan fihin ankunnemu ?

Iy duz een on tokevin, een sevin val iy kedes un iy persan. Pon san, tanshotaar val iy shor, klan un ee gishevan at un fuanami, Cato sevin iy ikur un an vauka sidoraar u iy vataar, dakon naveereven daksan al san.
Cato sus an gojan stuvher un iy “mos maiorum”, un ee fanubian un ee parisaa, katon pon diontal, suthanviankoshan stuvher un iy kensani riman digon ellen iy enstamatunpor nastupion un iy hellasurayma, iy ton listiran bunka ellensevin u riman chanebunka (val vena aika iy riman buumentor sevin ponson enunimer, sthin essevin cheri \ een sevin riman un Rima, a vulain ven bunka sevin traaseran u iy riman satandishi) gi kaman sulion, kaman divia, deemo eshan kana peldigon, iy fushidaara, iy spillin.

duepassi ha detto...

Ertauan duz ponsus Cato, sumunnonsafu kuan Titus Quinctius Flamininus, divi a pervauka riman parkan, gi sundhe seje a sanki navika, hevin shorinaar val Hellas, ellen iy machedoonian Filippos E’, an eeremon ensumunpor olan chene fontha kor.
Iy kati ellen iy Machedoonia, vuchemaar tain eton Lucius Aemilius Paullus Macedonicus val Pydna, sus ven kuan \ mel un tove dion \ ferus divia pan Rima. Iy Machedoonia spoynikon, tain ee kati un Aleksandros iy sundha, sevin iy mel divi a pione kuni un iy kipsi. Cato, terevian un Tusculum, toksival un katon, avus Titus Quinctius Flamininus, iy lauterian un Hellas, huun visilemaar al iy chezaneeri! Tehen een stamatus iy hellasurayma, su zoor deemo senazan iy vaute katon, ikur un an digon sunpunna bunkeven pelsuper u ven helle, no jandineven sidoraar u she fanubiane sutha, val ee soin un iy ensunnavian, stude, envauki fechever un entukunpor lethes…
Kuane an duz een toku san, on bunshay.
Teeme on hay nondaar, a een hu saar duan, iy “De agri cultura”, sthin, a che shevin chan, hay staute hintaar iy jende sunna val ton hus sevaar ven chervinna fauka. Shedunjubonu iy komokon vin fen chin (2.7) kuan maltezu kimeneven:
Auctionem uti faciat: vendat oleum, si pretium habeat; vinum, frumentum quod supersit, vendat; boves vetulos, armenta delicula, oves deliculas, lanam, pelles, plostrum vetus, ferramenta vetera, servum senem, servum morbosum, et si quid aliut supersit, vendat. Patrem familias vendacem, non emacem esse oportet.
(Fuiynna kaupe anbian: anbuiynna iy abura, man shetu an nedan; anbuiynna iy vain, iy buza kuan su un mel; anbuiynna ee taraar inkon, ee muri at ee gathuman val pelvaute guani, iy leshi, ee skuron, iy tare pavooska, ee tare vashan, iy tare chuban, iy chuban kuan sepe klefidu, a man cher dion duz fihin suiynna un mel, lon anbuiynna. Nonsafu kuan iy vilhati suiynna anber, een kaimoner.)
Sho pahaneel iy gujaada suphun iy anbazan; un fechevazan een che falu akriyvon. Mi hu shaar keremachigeven avazan Cato novuun keman an abraasthin, sunpu fatan gonfeena, duon adevenatan iy “anbais” pan “fechevais”, kuan as tovi dion duz, on tuoon mirus al avais fincheren fal keman abura a vain, ee ton een che plujey des, hu deemo vuzaar olan an suppin, a een lon hu sutichaar “tare”, at an tare duz su vulain anbunpor, no varuzaar… mi kaimonu an varuzaar suppin?
Dakon iy shavan azamukatan iy suma un Cato as mel kuan minshaane!

duepassi ha detto...

Cato sunpu een sus an shinvayan un ee shintankenner, a naveereven fine dishi sumatan su mel chare u iy vaalleri kipsi, kuan een u ven bakerstuvhayme; kuane deemo che anbu essu an kaimoner, een iy maanima. At iy sunna un iy komokon su val iy jendonur un tonsuuni duz kuan che anbunpuun, no kuan vulain shetu an sutha, fooan u ee glazaa un an kaimoner.
Een as tuane daksan, veray, iy shanna un vena thuzeraane pankon ee ton anbey tare okon chervesuppinaar vanjerian… een samen vidu an buncha.
Val iy “De agri cultura” che duhhu deemo tovi dion kamos, keman che senunpiuus eton ee demi kuan talluaar, a men tonsuuna jendimunpu suphun iy alventi:
komokon bain fen an (4.1), …envuzemaisur…Vicinis bonus esto: familiam ne siveris peccare.
(Sho sahal vaute gi ee charevaukon: een sho makaal u dane lethes jeratan cherve [gi sen]), suiytey semma fauka ee ton dimunshey kuan jeratan vauteven gi ee charevaukon, tove mondaval, as sinferan; tehen postaava een tomunu gizon okon chervesintuan, sianfaan, su darani un mi su taipe vaute tokunshais mi een su vaute kuan faunde suthu iy chufa jeratan vauteven, a kuan sais vaute dionafizu.

Komokon shon fen an (5.1) Haec erunt vilici officia: disciplina bona utatur. Feriae serventur. Alieno manum abstineat, sua servet diligenter. Litibus familia supersedeat: si quis quid deliquerit, pro noxa bono modo vindicet.
(Tena soor ee dazanka un iy dailavon: suiynna un nandi kolla; suiynna mirener un ee maturion; mochuiynna iy shalla monte al dione shetan, flavimuiynna gi useerdion iy pionne; samatuiynna kauga fuaan ee lethes: man chere hiuus savershaar an ayaama, ben tupuiynna vinte iy poovezur un iy vinta, no “bono modo”.)

Komokon shon fen vin (5.2) Familiae male ne sit, ne algeat, ne esuriat: opere bene exerceat: facilius malo et alieno prohibebit. …envuzemaisur…
(Een huiynna faar cherve u lethes, een cherpeneyenna iy studon, een cherpeneyenna iy goda; she mochuiynna sanpen veronaar val cheeri un vaute: mel duaneven [teeme] piuus senna mochais monte eton ee dione duz a eton pelvaute akkuuza.)
Veray kuan somo jubonu dimatan kuan iy thuli gi ton hu tonemaar iy “De agri cultura” een su ven kuan che hu shaar verais. Ee danjin sankuraa bizey mochatan sanpen veronaar ee shibin, a een veray kuan senna zumunpu satan she abraasthin pon tehen. Iy nimon un ee danjin tindafaar vallerian een samen vidu teeme monte al chera fauka shedemaar kin… iy tovi su sterovher tiza mili al iy fogalon fechevatan iy lethes een mel panne…

Pon pane monte al san suphun tueena dachi, hay teeme pelgrifaar kuan Cato samen su chare shinjiratan, a shatan tokais ee dion, kuan suthu mel iy chufa fatan iy vauti kuan fatan iy chervian, eshan dozan iy vauti dionafizu mel kuan iy chervian. Een veray kuan Cantarella a Guidorizzi hey persooneven senaar a fuanaar iy alventi un Cato, iy ton keman hay sevaar su un zoor invenuunpora, hey deemo timeferaar iy fauka un een tudaune mi, entudemaar fori un tehen gonfeenefer gizon. Kibay aute kuan val ee tainishe desanderion un seman vanion, pondioon bechaane, shoor mochenais un tehen saman kuron.