mercoledì 30 gennaio 2008

Il lupo di Toscana non perde il pelo, e nemmeno il vizio

da:
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01-02-2001, 18:22
shelburn

Inverno di, ehm, qualche anno fa. I giovani lupi di Toscana scendono allegri e gioiosi su Foce Reno.
Si issano le tende militari, si va a dormire, tutto s’acquieta, nel silenzio della campagna. Tutto, meno il maltempo, che infuria.
Si parlerà della coda della bora, certo è che i venti si scatenano, e oltre a qualche tenda, crolla l’armeria, e l’infermeria, ed un camion viene scoperchiato dalla furia degli elementi.
Shelburn si sveglia in un frastuono isterico di grida, mentre pioggia e vento flagellano giovani smarriti, che seminudi cercano salvezza.
Sul suo petto è appoggiato, senza quasi toccarlo, un palo della grossa tenda da campo. Lui mantiene la calma (ormai, pensa tra sé, il peggio è passato) e si veste. Poi recupera la sua drop, e, visto che c’è, quelle degli altri, che le hanno abbandonate impauriti. Recuperate anche quelle, si occupa di vari oggetti lasciati in balia del vento; ma mentre sta recuperando questa roba altrui, lo chiamano perché un suo commilitone, che chiameremo Winters, si è rotto una gamba, e in quattro non riescono a tirarlo via dalla tempesta. Shelburn, che all’epoca è nel pieno della sua esuberanza fisica (30 chili fa), lo prende, da solo, e lo porta in salvo.
Winters gli resterà amico, e, divenuto cuoco, lo chiamerà spesso: “Shelburn, vieni a farti un panino!”
Mai riconoscenza fu più appetitosa.
Anche gli altri cuochi gli sono amici, e lo trattano bene a mensa; ma ogni tanto c’è qualcuno nuovo, che vuole sindacare sulle pantagrueliche quantità di cibo che è solito ingurgitare il nostro lupetto affamato.
Shelburn, che è un filosofo, non fa questioni, non si arrabbia, accetta quel poco cibo e va a mangiare. Quando ha finito, con altrettanta calma e serenità, fa un secondo giro.
Un giorno, però, un tenente lo prende in flagranza, e lo rimprovera; ma lui, con semplicità gli fa presente:
“Se dovessi mettermi lo stesso numero di scarpe degli altri, riuscirei ad infilarle? E allora perché dovrei mangiare come gli altri?”

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